Buone notizie per l’Artico: JPMorgan Chase non finanzierà più le trivellazioni di petrolio e gas e gli impianti a carbone

 

Per gli ambientalisti e i popoli indigeni dell’Artico è certamente una grande vittoria: il 24 febbraio la JPMorgan Chase ha annunciato che non finanzierà più l’estrazione di petrolio e gas nell’Arctic National Wildlife Refuge e che smetterà di finanziare molte compagnie legate al carbone, comprese miniere e centrali elettriche, in tutto il mondo. 

L’annuncio arriva dopo una lunga campagna di pressione da parte delle associazioni ambientaliste statunitensi e dei popoli indigeni, che insieme hanno invitato il gigante bancario – di gran lunga il principale investitore statunitense nei combustibili fossili – a abbandonare i progetti che minacciano il clima.

Gli executives di JPMorgan Chase hanno annunciato la decisione durante l’annual Investor Day della banca, promettendo che, oltre a non fornire finanziamenti per l’estrazione offshore e onshore di petrolio e gas nell’Artico, entro il 2024 interromperanno anche gli investimenti e la fornitura di servizi alle compagnie che traggono «la maggior parte dei loro ricavi dall’estrazione del carbone». 

Jennifer Piepszak, direttrice finanziaria di JPMorgan Chase, ha anche annunciato che la banca sta impegnando finanziamenti per 200 miliardi di dollari in tre aree di intervento: sostegno all’azione climatica, acqua pulita e gestione dei rifiuti; aumentare l’accesso a alloggi, istruzione e assistenza sanitaria; progresso delle infrastrutture, dell’innovazione e della crescita.

Le associazioni ambientaliste e i leader indigeni che avevano organizzato le proteste contro JPMorgan Chase questa volta hanno applaudito la decisione della banca che arriva dopo due mesi che un altro gigante bancario statunitense, Goldman Sachs, ha preso un impegno simile di non finanziare le trivellazioni petrolifere nell’Artico.

Bernadette Demientieff, direttrice del Comitato esecutivo della Nazione Gwich’in ha setto a Sierra, il magazine di Sierra Club: «E’ stato emozionante quando Goldman Sachs, e ora JPMorgan Chase, hanno dato il loro annuncio.

Sono davvero grata che qualcuno che abbia preso quella decisione, che ci abbia ascoltato e ringrazio Goldman Sachs e JPMorgan Chase per aver ascoltato la gente e le voci indigene della zona. 

Speriamo solo che più [banche] seguano l’esempio e più banche e compagnie petrolifere e del gas comprendano che le popolazioni indigene in questo Paese non permetteranno loro di venire nella nostra patria e fare quello che vogliono».

Ben Cushing, della campagna Beyond Dirty Fuels di Sierra Club, ha aggiunto: «Che la più grande banca del Paese, e il più grande banchiere mondiale di combustibili fossili, si stia allontanando dal finanziamento della trivellazione dell’Artico, dovrebbe inviare un potente messaggio al resto del settore finanziario e alle compagnie petrolifere che trivellare nell’Arctic Refuge è un investimento tossico. 

Qualsiasi company o banca associate alla distruzione di questo territorio unico dovrà affrontare un grande contraccolpo tra l’opinione pubblica e danni alla sua reputazione».

Per decenni, i Gwich’in e i loro alleati ambientalisti hanno combattuto per impedire lae trivellazioni di idrocarburi nella pianura costiera dell’Arctic National Wildlife Refuge, sulla quale le compagnie fossili vogliono mettere le mani per sfruttare grossi giacimenti di petrolio e gas.  

Sierra spiega che «la pianura costiera del rifugio è il terreno di parto del branco di caribù Porcupine, sul quale i Gwich’in fanno affidamento non solo come fonte di cibo ma anche come parte integrante della loro identità. 

Le comunità di Gwich stanno già avvertendo gli impatti dei cambiamenti climatici mentre la rotta migratoria storica del caribù si sposta più lontano da alcune delle loro comunità. 

I Gwich’in chiamano la pianura costiera  Iizhik Gwats’an Gwandaii Goodlit – il “Luogo Sacro dove inizia la vita”».

La minaccia all’integrità ecologica dell’Arctic National Wildlife Refuge si è fatta evidente con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e, infatti, nel dicembre 2017 la senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski ha fatto introdurre nella legge sui tagli fiscali per i ricchi voluta da Trump una disposizione che ha aperto alle trivellazioni di petrolio e gas nell’area che erano state boccate da Barack Obama. 

La Demientieff e altri leader della Nazione Gwich’in erano andati a Washington – DC, ripetutamente per chiedere ai parlamentari di non consentire le trivellazioni nelle loro terre ancestrali, ma il loro appello non era stato ascoltato dai repubblicani che aveva tutti – meno la Murkowski – disertato le audizioni.

La Demientieff ricorda che «solo quando è arrivato il momento di votare, si sono ammassati per votare qualcosa che non avevano nemmeno ascoltato. 

Era offensivo; non solo per me, ma per il mio popolo e per i miei antenati. 

A queste persone non interessano i nostri diritti umani, la nostra sicurezza alimentare, né la nostra patria. 

Le nostre generazioni future vivranno con la distruzione provocata dalle decisioni che prendono».

E’ apparso subito evidente che l’Amministrazione Trump era disposta a dare rapidamente il via libera all’esplorazione di petrolio e gas nel rifugio artico indipendentemente dai rischi che correva l’ambiente e fregandosene della sovranità indigena.

E’ allora che una coalizione di gruppi guidata dal Comitato direttivo dei Gwich’in, Rainforest Action Network, Sierra Club e 350.org ha concentrato le sue energie sul settore finanziario. 

Durante l’ultimo anno, gli attivisti hanno organizzato proteste e sit-in davanti alle filiali di JPMorgan Chase, così come altre di fronte ad alte banche, per chiedere la sospensione del finanziamento di progetti sui combustibili fossili. 

La campagna ha avuto successo: oltre a Goldman Sachs e JPMorgan Chase, anche il più grande gestore di denaro al mondo, BlackRock, ha affermato che uscirà da investimenti che presentano alti rischi per la sostenibilità. 

Intanto, il Dipartimento degli interni di Trump non è ancora riuscito a bandire un’asta per le concessioni dell’esplorazione di combustibili fossili nell’Arctic National Wildlife Refuge.

Mentre esultano per l’annuncio della Chase, gli ambientalisti fanno notare che la politica bancaria non è all’altezza delle più ampie richieste del movimento per il clima di fermare completamente l’investimento di nuovi combustibili fossili: un’analisi dettagliata di Sierra Club e Rainforest Action Network conclude che, «sebbene la nuova politica Chase abbia molti punti di forza, è anche piena di punti deboli. 

Ad esempio, la politica di Chase copre solo progetti “greenfield” nell’Artico, il che significa che la banca è disposta a prendere in considerazione il finanziamento dell’espansione dei giacimenti esistenti di petrolio e gas nella regione polare. 

Chase continuerà inoltre a finanziare progetti nelle sabbie bituminose canadesi, nonché il fracking del gas e la costruzione di impianti di gas naturale liquefatto».

Jason Opeña Disterhoft, senior campaigner clima ed energia di Rainforest Action Network, ha aggiunto che «la nuova politica che è alla pari con quella della Goldman Sachs e notevolmente più debole di quella di BlackRock, non dimostra una vera leadership climatica.

La banca deve smettere di finanziare l’espansione dei combustibili fossili, con l’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose e le pipeline che rappresentano una chiara cartina di tornasole. Diciassette banche globali limitano già il finanziamento delle sabbie bituminose, ma nei tre anni successivi all’adozione dell’accordo di Parigi, JPMorgan Chase ha fornito più finanziamenti al settore rispetto ai suoi cinque principali concorrenti statunitensi messi insieme».

Anche secondo Caroline Henderson, Senior Climate Campaigner di Greenpeace Usa, «il cambiamento della politica della Chase è solo un piccolo passo avanti quando si tratta di combattere la crisi climatica. 

Mentre questo recente annuncio dimostra che le banche e gli altri istituti finanziari sono in allerta, non è abbastanza per affrontare il problema urgente e crescente.

Tuttavia, ciò che dimostra il piccolo spostamento della Chase è il potere della pressione pubblica. 

La coalizione Stop the Money Pipeline è impegnata ad aumentare questa pressione fino a quando Chase adotterà una politica che elimini gradualmente il finanziamento dei combustibili fossili nel suo complesso. 

Noi, l’opinione pubblica, li teniamo d’occhio e siamo pronti a ritenere gli executives  delle banche responsabili delle loro azioni tossiche».

Comunque un bel passo avanti è stato fatto e l’annuncio di JPMorgan Chase è solo l’ultima prova che la finanza internazionale è preoccupata per l’impatto dei cambiamenti climatici sull’economia globale e che è sempre più riluttante a sostenere la continua estrazione di combustibili fossili. 

L’annuncio della banca arriva pochi giorni dopo che Rupert Read di Extinction Rebellion ha fatto trapelare su The Guardian un rapporto di due economisti di JPMorgan dal quale emerge che e gli investimenti fossili della banca, se continuassero, finirebbero in una catastrofe climatica.

Le 22 pagine dello “Special Report Risky business: the climate and the macroeconomy” partono dal riconoscimento che i livelli di CO2 nell’atmosfera stanno aumentando a velocità più elevate che mai e che questo sta influenzando il clima e che la colpa è degli esseri umani. 

Gli economisti di JPMorgan dichiarano che «la terra è su una traiettoria insostenibile. 

Qualcosa a un certo punto dovrà cambiare se la razza umana vuole sopravvivere». 

Nel rapporto, gli economisti di JPMorgan Jessica Murray e David Mackie fanno una serie di osservazioni che potrebbero sembrare ovvie a degli ambientalisti ma che sembrano radicali per degli economisti addetti ai lavori.  

Sierra fa l’esempio del passo in cui si afferma che «se non vengono prese misure per modificare il percorso delle emissioni, la temperatura globale aumenterà, i modelli della pioggia cambieranno creando siccità e inondazioni, gli incendi diventeranno più frequenti e più intensi, il livello del mare aumenterà, la morbilità e la mortalità legate al caldo aumenteranno, gli oceani diventeranno più acidi e tempeste e cicloni diventeranno più frequenti e più intensi. 

E quando si verificheranno questi cambiamenti, la vita diventerà più difficile per l’uomo e le altre specie del pianeta».

Gli economisti, citando quelle che chiamano «stime conservative», evidenziano anche il grave impatto dei cambiamenti climatici sulla salute: «Tra il 2030 e il 2050, i cambiamenti climatici causeranno circa 250.000 morti in più all’anno», con oneri ineguali percepiti dai più vulnerabili, compresi i bambini, gli anziani e chi vive nei Paesi in via di sviluppo.

Il rapporto riconosce anche che «la natura è la linfa vitale del pianeta e fondamentale per l’esistenza umana, fornendo cibo, energia e medicinali e svolgendo anche un ruolo fondamentale nelle comunità e nelle culture. 

L’attività umana ha un’influenza fuori misura sull’ambiente naturale e gli scienziati hanno documentato un declino e un degrado significativi degli ecosistemi e della biodiversità (…) lo stato della natura si sta deteriorando a un ritmo senza precedenti nella storia umana».

A Sierra Club sottolineano che «non è chiaro quanto tempo ci vorrà affinché il settore finanziario globale segua la logica naturale di tali terribili avvertimenti e prometta un blocco totale di tutti gli investimenti in combustibili fossili». 

Intanto gli ambientalisti dicono che «continueremo a fare tutto il possibile per spingere per promesse climatiche più ambiziose da parte dei principali finanziatori del mondo».

E la Demientieff promette: «La Gwich’in Nation non si arrenderà mai, non abbiamo questa opzione E per il movimento c’è ncora molto lavoro da fare. 

Continueremo a prendere di mira le banche, a usare la nostra voce e a far diventare più responsabili coloro che pensano di poter fare tutto ciò che vogliono».

(Articolo pubblicato con  questo titolo il 26 febbraio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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