Everest in lockdown. Gli sherpa: “Andiamo a togliere i rifiuti: senza alpinisti è più facile”. Il “no” di Katmandu

 

Niente da fare.

Quest’anno l’Everest – la più alta vetta del mondo, ormai in classifica anche tra le più vaste discariche rifiuti del pianeta – non verrà ripulito.

Lo ha ribadito il governo nepalese, rigettando una richiesta che fondava sull’urgenza della rimozione dei materiali di scarto dalle aree oltre quota 5mila.

Il progetto faceva leva proprio sul divieto di accesso al re degli 8mila, inteso come un extra capace di garantire la massima efficacia con il minimo rischio: il lockdown avrebbe infatti consentito agli sherpa e ai militari coinvolti di operare indisturbati, senza l’intralcio della folla di escursionisti che, in condizioni normali, si accampano e si accalcano sulle vie che portano alla cima.

Tende, bombole vuote, attrezzatura da arrampicata buttata via perché rotta o perché ormai non più utile – zavorra da eliminare, laddove l’altitudine e la rarefazione dell’aria obbligano a minimizzare gli sforzi, a rischio la stessa sopravvivenza – deiezioni umane.

Senza dimenticare i cadaveri degli alpinisti che non sono riusciti a vincere la loro battaglia, e che i loro colleghi utilizzano come punti di riferimento.

L’Everest è ormai un immondiziaio che quest’anno, prima dello scoppio della pandemia, il Nepal aveva pensato di sanare, promuovendo un ambizioso programma di ripulitura.

Il clean-up sarebbe dovuto cominciare a marzo: avrebbe dovuto interessare altre cinque vette e coinvolgere esercito nepalese e guide locali.

Purtroppo non sarà possibile, questa stagione“, ha detto all’agenzia France Presse Danduraj Ghimire, direttore del dipartimento governativo del turismo del Paese himalaiano.

L’anno scorso, un team di 14 persone ha trascorso sei settimane tra il campo base (5.364 metri) e il campo 4 (a quasi 8mila metri), impegnato in un’operazione analoga.

Hanno riportato a fondovalle oltre 10 tonnellate tra bombole d’ossigeno, bottiglie di plastica e attrezzatura da arrampicata, oltre ai resti di quattro alpinisti deceduti.

Ma quest’anno, con il lockdown per l’intera area, si sarebbe potuto fare anche di più.

Le organizzazioni alpinistiche locali, facendo leva su questo, si erano offerte per avviare una campagna che avrebbe dovuto prendere il via a metà marzo.

Ora, il “no” definitivo.

Il governo dovrebbe permettere a un team nepalese di salire, esclusivamente per ripulire la montagna – ha detto Santa Bir Lama, presidente dell’associazione locale di alpinisti -.

Oltre ai benefici di natura ambientale, si tratterebbe di dare lavoro agli sherpa, che andranno a perdere per intero il loro introito del 2020“.

La comunità montanara locale è convinta che l’enorme raccolto di rifiuti recuperato nel 2019 non sarebbe che una parte di quello che si trova a monte.

Portare a valle l’immondizia – e ancora di più le salme – è un’impresa tanto più difficile e rischiosa quanto maggiore è il traffico di escursionisti e alpinisti impegnati nell’arrampicata o nello scollinamento.

Con la montagna deserta il nostro lavoro sarebbe stato molto più facile e veloce: potremmo riportare in basso anche rifiuti vecchi di anni – racconta Pasang Nuru Sherpa, uno dei membri del team che ha ripulito l’Everest nel 2019 -. Stando così le cose, la prossima stagione, troveremo solo più neve e materiale sedimentato, e il lavoro si farà molto più duro“.

Gli scalatori stranieri pagano almeno 30mila dollari (27.500 euro) per salire sul tetto del mondo, 11mila dei quali per il solo permesso.

Ma non sembrano prestare molta attenzione all’ambiente che troverà chi arriva dopo di loro.

Basti pensare che il governo nepalese esige, come extra, un deposito di 4mila dollari, che viene restituito solo a chi riporta a valle almeno 8 chili di rifiuti, e che solo un turista-alpinista su due chiede e ottiene il rimborso a fine avventura.

L’anno scorso, nella finestra primaverile in cui è consentita l’ascesa – di regola tra aprile e l’inizio del monsone, a fine maggio – la cima dell’Everest ha ospitato la cifra record di 885 alpinisti.

Quest’anno, solo una cordata cinese sta arrampicando sul tetto del mondo, dal versante Nord, quello tibetano.

(Articolo di Arturo Cocchi, pubblicato con questo titolo l’11 aprile 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

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