Piove microplastica

 

Lo studio “Plastic Rain in Protected Areas of the United States”, appena pubblicato su Science da un team di ricercatori statunitensi guidato da Janice Brahney, del Department of watershed sciences dell’Utah State University, ha utilizzato dati ad alta risoluzione sulla deposizione atmosferica e ha identificato campioni di microplastiche e altri particolati raccolti in 14 mesi in 11 parchi nazionali e aree selvagge degli Usa Occidentali.

I ricercatori hanno così identificato la composizione di plastica e polimeri per identificare le fonti di plastica emesse nell’atmosfera e seguirne gli spostamenti e il fallout e la Brahney racconta che  «siamo rimasti scioccati dai tassi di deposizione stimati e abbiamo continuato a cercare di capire dove i nostri calcoli fossero sbagliati.

Abbiamo quindi confermato attraverso 32 diverse scansioni di particelle che circa il 4% delle particelle atmosferiche analizzate in questi siti remoti erano polimeri sintetici».

Nel 2017 nel mondo sono state prodotte 348 milioni di tonnellate di plastica e la produzione globale non mostra segni di rallentamento. 

Negli Stati Uniti, la produzione pro capite di rifiuti di plastica è di 340 grammi al giorno. 

I ricercatori evidenziano  che «l’elevata resilienza e la longevità delle materie plastiche le rendono particolarmente utili nella vita di tutti i giorni, ma queste stesse proprietà portano alla loro progressiva frammentazione anziché al degrado nell’ambiente». 

Si sa che queste microplastiche si accumulano nelle acque reflue, nei fiumi e, alla fine, negli oceani di tutto il mondo  e, come dimostra il team della  Brahney, si accumulano anche nell’atmosfera.

La Brahney  ricorda che «diversi studi hanno tentato di quantificare il ciclo globale della plastica ma non erano a conoscenza della branca atmosferica.

I nostri dati mostrano che il ciclo della plastica ricorda il ciclo globale dell’acqua, con lifetimes atmosferiche, oceaniche e terrestri».

Lo studio ha esaminato le fonti e la life history della deposizione microplastica sia umida (pioggia) che a secco e ha scoperto che le città e i centri abitati rappresentano l’origine iniziale delle materie plastiche associate alla deposizione attraverso la pioggia, ma che ci sono anche fonti secondarie che comprendono la ridistribuzione delle microplastiche presenti nei suoli o nelle acque superficiali.

Invece, la deposizione a secco di materie plastiche mostrava indicatori di trasporto a lungo raggio ed era associata a modelli atmosferici su larga scala.

 Per i ricercatori «questo suggerisce che le microplastiche sono abbastanza piccole da essere trascinate nell’atmosfera per il trasporto transcontinentale».

Per ridurre al minimo la contaminazione da particelle, I ricercatori sul campo e in laboratorio hanno utilizzato apparecchiature di campionamento sterili, protezione personale e I protocolli adeguati e da questo lavoro è venuto fuori che «la maggior parte delle materie plastiche depositate nei campioni sia asciutti che umidi erano microfibre provenienti dall’abbigliamento e materiali industriali. 

Circa il 30% delle particelle erano microsfere dai colori vivaci, ma non quelle comunemente associate ai prodotti per la cura personale, queste microsfere erano acriliche e probabilmente derivavano da vernici e rivestimenti industriali. 

Altre particelle erano frammenti di pezzi di plastica più grandi».

Il rapporto fa notare che «questo risultato, insieme alla distribuzione dimensionale delle materie plastiche identificate e alla relazione con i modelli climatici su scala globale, suggeriscono che le fonti di emissione della plastica si sono estese ben oltre i nostri centri abitati e, a causa della loro longevità, si sono propagate a spirale attraverso il sistema terrestre».

Lo studio evidenzia la fonte, il trasporto e l’impatto della plastica sulle superfici terrestri, ma anche la contaminazione degli ambienti protetti degli Stati Uniti. 

L’esame di campioni umidi e a secco settimanali in 11 siti ha permesso agli autori dello studio di stimare che «ogni anno negli Stati Uniti occidentali si depositano più di 1.000 tonnellate di microplastiche, equivalenti a oltre 123 milioni di bottiglie d’acqua in plastica. 

Un incredibile 4% dei particolati atmosferici identificati raccolti da località remote erano polimeri plastici». 

Inoltre, lo studio evidenzia che «le particelle chiare e bianche non sono state incluse perché non soddisfacevano i criteri dei ricercatori per il conteggio visivo sotto ingrandimento … suggerendo che le nostre stime dei tassi di deposizione della plastica basate sui conteggi siano prudenziali».

Brahney stava conducendo uno studio pilota su un nuovo tipo di attrezzatura da campo e  non pensava proprio di scoprire quantità così sorprendenti di microplastiche: «Avevo progettato i campionatori e stavo conducendo uno studio pilota quando ho trovato la plastica.

E’ stato un momento meravigliosamente fortuito trovare qualcosa di straordinario e di avere le persone giuste al momento giusto per poter contribuire con le loro capacità e conoscenze ad alcuni aspetti del progetto sui quali non avevo esperienza».

Infatti, tra i coautori dello studio ci sono l’ex tecnico di laboratorio della Brahney, Eric Heim, e Margaret Hallerud, una studentessa ricercatrice che ha scritto il  computer code per collegare i modelli delle traiettorie atmosferiche ai dati della popolazione, cosa che ha aiutato i ricercatori a interpretare i dati climatici. 

Heim, che attualmente lavora all’Università del Colorado – Boulder. ha gestito i modelli della Hallerud e ha prodotto i dati spaziali. 

Gli altri co-autori dell’articolo sono Maura Hahnenberger nel dipartimento di geoscienze del Salt Lake Community College e Suja Sukumaran nella divisione scienze dei materiali di Thermo Fisher Scientific.

La Brahney conclude: «La stessa tempistica fortunata ha portato Maura e Suja nel progetto. In effetti, nessuno dei coautori si è mai incontrato. 

Sto cercando di organizzare un happy hour virtuale in modo che possano incontrarsi e festeggiare lo studio».

L’ubiquità delle microplastiche nell’atmosfera ha conseguenze sconosciute per la salute degli organismi viventi, ma le dimensioni dei particolati osservate sono  simili a quelli che si accumulano nel tessuto polmonare. 

Inoltre, la deposizione di plastica in corso nelle aree selvagge e nei parchi nazionali può potenzialmente  influenzare questi ecosistemi, dalla composizione della comunità vivente alle dinamiche della catena alimentare.

La Brahney conclude: «Questa ubiquità delle microplastiche nell’atmosfera e la successiva deposizione in ambienti terrestri e acquatici remoti destano diffuse preoccupazioni ecologiche e sociali. 

L’identificazione dei meccanismi chiave dell’emissione di plastica nell’atmosfera è un primo passo nello sviluppo di soluzioni su scala globale».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 12 giugno 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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