Onu: la Libia non è un porto sicuro. «Migranti e richiedenti asilo detenuti in condizioni abominevoli»

 

La riunione di alto livello co-presieduta da Onu e Germania tenutasi il 5 ottobre ha riaffermato che la soluzione della crisi libica resta una priorità assoluta.

Ma la Libia, dopo la caduta di Muhammar Gheddafi nel 2011 e in preda a una guerra civile, tribale e settaria tra bande armate sostenute e armate da potenze che fanno parte dell’Onu e che siedono anche nel Consiglio di Sicurezza.

Il segretario generale dell’Onu António Guterres, ha sottolineato che «il conflitto dura da troppo tempo e oggi abbiamo l’occasione di impegnarci di nuovo per mettervi fine».

Guterres si è detto incoraggiato per l’affievolirsi dei combattimenti nelle ultime settimane, ma ha ammesso che esiste un’impasse intorno a Sirte, a circa 450 km a est di Tripoli, anche se «il confronto diretto tra le parti è limitato».

Ad agosto, dopo l’intervento della Turchia e dei mercenari jihadisti siriani, il quasi ex primo ministro Fayez Serraj e il presidente della Camera dei rappresentanti  Aguila Salah Issa hanno lanciato appelli per il cessate il fuoco e per togliere i blocchi agli impianti petroliferi, azioni essenziali per tornare al tavolo delle trattative di pace tra i due governi libici.

Dichiarazioni apprezzate da Guterres che a chiesto a tutte le parti coinvolte nella guerra libica  di «impegnarsi in maniera costruttiva in un processo politico inclusivo»

I rappresentanti delle fazioni libiche si sono riuniti a Montreux, in Svizzera, dove hanno formulato raccomandazioni per risolvere i problemi critici e poter arrivare a una dichiarazione politica sulla crisi libica.

Delegazioni dell’Alto Consiglio di Stato e della Camera dei Rappresentanti si sono riuniti a Bouznika, in Marocco, per discutere dei criteri della tregua e delle competenze territoriali e politiche.

Per il capo dell’Onu, «le dimissioni del governo “parallelo a interim” nell’est della Libia il 13 settembre e l’annuncio del primo ministro Serraj, il 6 settembre, di lasciare il potere entro la fine d’ottobre, danno un impulso supplementare ai protagonisti libici perché riprendano il dialogo politico e diano forma a un processo che ricondurrà il Paese verso una pace, una stabilità e uno sviluppo durevoli».

Intanto, l’United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL) si prepara a organizzare una serie di riunioni e consultazioni per facilitare la ripresa del dialogo politico inclusivo intra-libico, gestito dai libici e sotto la loro responsabilità.

La settimana scorsa dei rappresentanti della polizia e dei militari del Governo di accordo nazionale e della Libyan National Army si sono riuniti a Hurghada, in Egitto, sotto l’auspici dell’UNSMIL, per stilare le raccomandazioni per le commissioni militari che, nelle prossime settimane, dovranno confrontarsi nuovamente a Ginevra per l’ultima serie di colloqui che affronteranno le questioni di sicurezza, la creazione di un a zona demilitarizzata e la sorveglianza degli impianti petroliferi.

Guterres a lanciato un appello per il rispetto di tre punti: «La continuazione di un cessate il fuoco durevole, il rispetto dell’attuazione degli impegni presi all’inizio dell’anno durante la conferenza di Berlino e il ripristino dei servizi di base e della sicurezza per la popolazione libica».

Il segretario generale dell’Onu ha ricordato ai Paesi che hanno foraggiato la guerra libica «la necessità di applicare in maniera integrale e incondizionata l’embargo sulle armi deciso dal Consiglio di sicurezza.

Le violazioni dell’embargo sono uno scandalo e rimettono in questione l’impegno fondamentale per la pace preso da tutte le parti interessate. Le forniture straniere di armi e alter soluzioni militari devono cessare immediatamente.

Gli impegni presi a Berlino comprendono anche il ristabilimento del rispetto del diritto e la prevenzione della detenzione arbitraria grazie all’attuazione di un sistema di controllo giudiziario. Anche questo è altrettanto essenziale».

Per Guterres,  «il blocco della produzione e delle esportazioni di petrolio del Paese, che ha avuto un impatto paralizzante sull’economia, deve essere tolto immediatamente e in maniera permanente e incondizionata.

Un milione di libici hanno bisogno di un aiuto umanitario e più di 425.000 persone sono sfollate dalle loro case a causa del conflitto.

Contiamo sulle parti libiche perché si assumano pienamente le loro responsabilità. Anche tutte le parti straniere influenti devono mettere la pace in primo piano».

Ma la situazione in Libia resta tragica e, durante un dibattito tenutosi ieri al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, la rappresentate speciale in Libia dell’Onu e capo ad interim dell’UNSIMIL, Stephanie Williams, ha chiesto «la chiusura immediata dei centri di detenzione per migranti, visto che quest’ultimi continuano a essere detenuti in condizioni abominevoli in questo Paese dell’Africa del Nord.

Continuiamo a ricevere rapporti di detenzioni arbitrarie o illegali, di torture, di sparizioni forzate, di esecuzioni extragiudiziarie e di violenze sessuali in tutti i luoghi di detenzione».

L’UNSIMIL dice che in Libia ci sono almeno 3.291 migranti e rifugiati, tra i quali donne, bambini e minori non accompagnati, detenuti nell’ovest del Paese – quindi dal governo appoggiato, armato e finanziato dall’Italia – mentre nella parte orientale della Libia ci sarebbero 371 migranti e rifugiati imprigionati.

Ma la Williams ha ricordato che «molti periscono in mare tentando di fare il periglioso viaggio verso l’Europa».

Poi l’invaiata Onu ha accusato direttamente l’Italia e gli altri Paesi europei: «Benché la Libia non sia un porto sicuro per il ritorno dei migranti e dei richiedenti asilo, questi continuano a essere rinviati in Libia dove vengono arrestati al loro arrivo o semplicemente scompaiono».

L’UNSIMIL ha documentato numerosi casi di violenze sessuali nelle carceri libiche dive vengono ammassati i migranti e dice che «si tratta in particolare di casi di stupro o di molestie sessuali di donne migranti e richiedenti asilo per mano dei trafficanti e dei passeurs.

Ma degli abusi sarebbero stati commessi anche da funzionari e da uomini armati».

Ma l’Onu stima che in Libia i casi di violenza sessuale e sessista sarebbero molti di più di quelli segnalati per paura di rappresaglie, di intimidazioni e della stigmatizzazione delle donne che subiscono violenza a causa delle norme discriminatorie in materia di genere.

Per questo l’UNSIMIL  sta documentando tutti gli abusi di cui viene a conoscenza con l’obiettivo di creare dei sistemi che permettano di identificare e proteggere i sopravvissuti alle violenze sessuali.

«Il nostro controllo mette in evidenza che le violenze sessuali legate al conflitto, compreso lo stupro di bambini, per mano delle milizie è in aumento – ha denunciato la Williams – Intanto, migliaia di detenuti, compresi dei migranti e dei rifugiati intercettati in mare, sono ancora detenuti in centri teoricamente sotto il controllo dei ministeri libici degli interni e della difesa.

Altri si trovano nei centri gestiti direttamente da gruppi armati.

Questi luoghi ad alto rischio sono dei luoghi di riproduzione per il Covid-19».

Di fronte a queste terribili condizioni l’UNSIMIL chiede «la chiusura immediata dei centri di detenzione per migranti gestiti dal ministero degli interni nonché dei centri di detenzione illegale sotto il controllo di gruppi armati che sono legati al traffico di migranti e alle reti criminali che estorcono soldi ai più vulnerabili. 

Questo deve cessare, i migranti e i richiedenti asilo devono essere protetti e i responsabili delle violazioni dei diritti umani devono essere assicurati alla giustizia».

Tra aprile e la fine di agosto 2020, le autorità libiche hanno annunciato il rilascio di circa 3.200 detenuti da diverse prigioni ma la Williams fa notare che «purtroppo non è stato possibile verificarlo in modo indipendente e, secondo le informazioni ricevute, nessuna donna o bambino era tra i detenuti rilasciati».

L’Onu ribadisce quindi il suo invito alle autorità a «rilasciare più detenuti, in particolare donne e bambini, persone con problemi di salute e altri gruppi vulnerabili, come gli anziani. 

Chiediamo anche l’accesso incondizionato a tutti i luoghi di detenzione».

La Williams ha inoltre fatto notare che, dal suo ultimo briefing al Consiglio per i diritti umani a giugno, «ci sono stati alcuni sviluppi positivi sul terreno in Libia», come i progressi nel processo di pace e l’allentamento di una guerra che ha già ucciso e ferito innumerevoli civili e ha prodotto 430.000 sfollati interni.

La Williams si è detta soddisfatta per la conclusione a giugno del bombardamento di Tripoli, durato 15 mesi, e per il fatto che Tarhouna sia stata riconquistata dalle forze del governo di accordo nazionale, ma ha aggiunto che «l’attenzione è ora rivolta a Sirte, dove le forze opposte si confrontano in una tregua precaria e dove, ancora una volta, i civili sono intrappolati tra queste fazioni in guerra».

Il monitoraggio dei diritti umani da parte dell’UNSMIL mostra una diminuzione del numero di vittime civili in Libia. 

Tra il 19 giugno e il 30 settembre 2020, la missione Onu ha identificato almeno 19 vittime civili, mentre tra il 1 aprile e il 30 giugno 2020 NE aveva verificato almeno 358.

L’inviata Onu ha però ricordato che «L’unico modo per proteggere i civili è che i combattimenti  e che tutte le parti depongano le armi e si impegnino per la pace.

Quando regna l’impunità e l’ingiustizia e la mancanza di responsabilità mette radici, allora, sfortunatamente, esecuzioni sommarie e illegali, privazioni arbitrarie della libertà, rapimenti, sparizioni forzate, torture la violenza diffusa e sessuale e di genere possono solo persistere. 

Punire i responsabili delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario è l’unico modo per garantire giustizia per questi crimini e una pace duratura in Libia».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 6 ottobre 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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