Una birra a tutto pane

 

Il pane invenduto dei panifici milanesi diventa una birra locale, sociale, inclusiva e circolare.

È l’idea che hanno avuto nel 2018 quattro studenti del Politecnico di Milano.

Ibrida, questo è il nome della loro creazione, è tra i 21 vincitori del premio Vivere a #sprecozero 2020, gli Oscar della sostenibilità assegnati nell’ambito della campagna Spreco Zero.

L’iniziativa è stata premiata nella categoria imprese per aver ideato una buona pratica che dà una seconda vita al pane sfornato dai panettieri di quartiere, a Milano.

Si chiamano Elisa, Francesca, Akanksha e Simone, sono tutti e quattro designer e oggi, oltre a seguire il progetto di Ibrida, lavorano full time in azienda.

La loro avventura comune è cominciata al Politecnico, durante la laurea magistrale in Product Service System Design.

Il progetto di Ibrida è nato quando l’università ha assegnato loro il compito di creare una start up sostenibile a tema libero.

Ad averli colpiti nella loro ricerca iniziale è stato un dato: in Italia circa il 19% dello spreco alimentare è attribuibile al pane.

Sono stati proprio il ruolo tradizionale del pane, come alimento che non manca mai sulle tavole degli italiani, e i volumi di spreco a spingere il progetto in questa direzione.

L’IDEA IMPRENDITORIALE SI È STRUTTURATA nel corso del tempo: «Abbiamo avuto modo di fare test e prototipi e ci siamo confrontati con le persone», racconta Elisa Pirola, una dei quattro fondatori.

«Abbiamo cominciato a credere nel progetto quando sono emersi i primi feedback positivi», spiega.

A dare una spinta in avanti è stata la selezione nel bando Get It! di Cariplo Factory, in collaborazione con Fondazione Social Venture.

«Abbiamo vinto, tra i dieci progetti italiani, un percorso di incubazione: sei mesi di affiancamento con esperti del settore».

Il periodo in cui Ibrida muoveva i primi passi ha coinciso con le occasioni di stage ed esperienze all’estero: «Nessuno di noi si trovava a Milano, ma siamo riusciti a portare avanti ugualmente il percorso di incubazione».

Ibrida si chiama così per due motivi.

Da un lato perché non è la solita birra, ma mescola la bevanda e il pane.

«Volevamo rendere evidente la compresenza di due elementi molto diversi».

Il secondo motivo è connesso al ruolo sociale di Ibrida: «Abbiamo concepito il progetto come un aggregatore», dice Elisa.

«Ibrida non esiste senza partner territoriali: è completa solo quando si aggiungono i panifici del territorio e il birrificio che produce la birra».

Il primo «partner in crime», come lo definiscono, è il birrificio La Ribalta, presente nei quartieri di Bovisa e Barona.

LA BIRRA DIVENTA, QUINDI, UN AGGREGATORE sociale per i quartieri.

Oggi sono alla terza edizione di Ibrida.

«Tutto è nato con Ibrida X Bovisa, un’area della città dove abbiamo studiato, dove si trova il birrificio La Ribalta e dove abbiamo effettuato la raccolta presso 5 panifici», sottolinea Elisa.

Anche l’etichetta è stata pensata ad hoc per valorizzare i partner e il quartiere.

La birra, nell’idea dei quattro designer, ha lo scopo di incoraggiare forme di innovazione sul territorio.

Alla prima è seguita una seconda edizione: Ibrida X Chiaravalle, realizzata, in collaborazione con il panificatore Davide Longoni, con il pane di segale, proveniente dai campi di Chiaravalle.

La terza è dedicata al quartiere Barona.

Dalle collaborazioni intessute sul territorio sono nate edizioni limitate, come la birra con il luppolo coltivato nell’orto sociale del Politecnico, a km0.

«È stato un bel progetto per poter incontrare le persone dell’orto sociale e insieme utilizzare il luppolo fresco», sottolinea Elisa.

«Prima di avventurarci in un altro quartiere dobbiamo capire bene i consumi e la situazione legata al Covid.

Non vogliamo fare il passo più lungo della gamba», evidenzia la designer.

Ma l’intenzione è quella: approdare in nuovi contesti, trovare nuovi partner ed espandersi attraverso rivenditori locali.

«Siamo andati a bussare alla porta dei panettieri per capire quali fossero gli sprechi e come potessimo andargli incontro», racconta Elisa.

«La raccolta non è complicata: presentiamo il progetto e riportiamo le birre per renderli partecipi del prodotto finale.

Li avvisiamo con anticipo e poi cominciamo la fase di recupero dell’invenduto».

Il pane viene donato e, come sottolinea Elisa, i panifici sposano volentieri l’idea: «Sono ben contenti di dare una seconda vita al pane avanzato, attraverso la birra».

Hanno scelto di rivolgersi ai piccoli negozi e non alla grande distribuzione perché, spesso, i supermercati sono già inseriti in circuiti di recupero dell’invenduto.

«I piccoli forni, che avanzano molto pane, sono esclusi dalle raccolte.

Ogni giorno rimangono invenduti dai 3 ai 7 kg di pane, in ognuno dei 500 forni della città» spiega.

ECONOMIA CIRCOLARE, KM0, PARTECIPAZIONE: sono questi i valori che i ragazzi di Ibrida cercano anche nei partner.

La loro birra, infatti, oltre a connettere realtà del territorio e stimolare la partecipazione grazie ad un progetto comune, punta a promuovere filiere corte, prodotti locali e riuso.

Più di 250 kg di pane per 6 mila litri di birra: circa una fetta e mezza a bottiglia da 33.

È questo l’obiettivo che hanno già raggiunto in questo primo anno di sperimentazione.

Grazie al pane riescono ad ottenere un risparmio del 30% di malto.

Meno materia prima vergine, sostituta dal pane invenduto, in ottica di economia circolare.

Per le altre materie prime si affidano al Birrificio La Ribalta, di cui sposano filosofia e produzione artigianale.

Prima di avviare la produzione, a novembre 2019, si sono sperimentati tutti e quattro nella creazione di birra, per capirne il processo.

Il pane viene utilizzato come fosse un infuso. Viene messo all’interno della cotta, spezzettato in grossi crostini e poi filtrato.

Al momento si sono concentrati nella raccolta di pane bianco.

«Si tratta di unire pane di diverse provenienze e tipologie, in quello bianco è più facile individuare gli ingredienti e quindi il livello di salinità», spiega Elisa.

L’importante è conoscere il tipo di pane che viene inserito e la sua composizione per bilanciare gli altri ingredienti.

LE RESTRIZIONI LEGATE ALLA PANDEMIA di Covid-19 hanno reso difficile portare avanti l’anima sociale del progetto.

L’attività di Ibrida, come sottolinea Elisa, è fondata sugli eventi, sull’organizzazione di incontri con gli abitanti e con chi vive i quartieri.

«abbiamo potuto sfruttare solo gli ultimi mesi del 2019 per entrare in contatto con le persone».

«Il nostro canale di vendita prediletto è quello che prevede il rapporto diretto con il cliente, quindi il negozio».

Tramite il birrificio è stato attivato anche l’e-commerce, per continuare a distribuire la birra anche durante il confinamento.

«Ci piacerebbe collaborare con punti vendita che condividano i nostri valori, espanderci, allargare la comunità. in molti ci contattano, non solo a milano. adesso spediamo in tutta Italia: 20 rivenditori in cinque città», racconta Elisa.

Gli obiettivi per il futuro sono chiari: rafforzare il modello di business per poterlo replicare e tenere la porta aperta a nuove collaborazioni.

(Articolo di Marta Gatti, pubblicato con questo titolo il 3 dicembre 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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