Da dove arriva l’inquinamento da microplastiche?

 

Le microplastiche – ovvero minuscoli pezzi di materiali plastici, solitamente inferiori ai 5 millimetri – sono un tipo d’inquinamento relativamente nuovo ma altamente pervasivo, dato che la loro presenza è stata accertata ormai ovunque: dall’atmosfera sopra remote aree dell’Atlantico all’interno del corpo umano.

Un fenomeno che ha finito per catalizzare un’ondata crescente di sdegno e numerose politiche all’insegna del plastic free, in molti casi però tarate sul bersaglio sbagliato.

Da dove arrivano infatti tutte queste microplastiche?

L’analisi pubblicata ieri dall’Europarlamento aiuta a fare chiarezza.

Ad esempio, il lavaggio di indumenti sintetici «rappresenta il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente».

Un unico carico di bucato di abbigliamento in poliestere può dunque «comportare il rilascio di 700.000 fibre di microplastica che possono finire nella catena alimentare».

A seguire, le principali fonti di microplastiche primarie sono l’abrasione dei pneumatici durante la guida (28%) e quelle (2%) aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (per esempio, le micro-particelle dello scrub facciale).

A loro volta però le microplastiche primarie si stima rappresentino il 15-31% delle microplastiche presenti nell’oceano.

Il 68-81% delle microplastiche presenti nei mari – e il Mediterraneo non è certo esente dal problema, tanto che recenti studi valutano in 200mila le tonnellate di plastiche che vi riversiamo ogni anno – si ritiene vengano prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pescato.

È utile ricordare dunque che, quando si parla di inquinamento da plastiche, il problema degli imballaggi è quello più visibile al cittadino come al decisore politico ma è solo una piccola parte del totale.

Su questo fronte è importante ridurre dove possibile l’impiego del monouso – nel merito sarà necessario seguire quanto indicato dalla direttiva Ue SUP –, incentivare l’avvio a riciclo e l’effettivo re-impiego delle materie prime seconde.

Soprattutto, per evitare che gli imballaggi in plastica finiscano in mare, semplicemente basterebbe conferirli nel cestino anziché abbandonarli in natura: la responsabilità, qui, è dunque soprattutto dei cittadini.

(Articolo pubblicato con questo titolo il 30 dicembre 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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