Il piano inviato da Draghi dimentica la biodiversità

Il piano inviato da Draghi dimentica la biodiversità

“Il Piano nazionale di ripresa e resilienza inviato dal governo Draghi alla Commissione europea ha ‘dimenticato’ la natura italiana”, con questo inizio tranciante inizia la lettera che la commissione Lipu-BirdLife Italia e BirdLife Europa hanno inviato alle autorità governative italiane ed europee per denunciare la “scarsità di interventi a favore della biodiversità italiana in contrasto con quanto stabilito dal Recovery Plan” accompagnando la denuncia con un dossier. Altre associazioni nei giorni scorsi hanno lamentato le carenze del Recovery Plan italiano rispetto alle esigenze ambientali del Paese, ma si tratta di associazioni che vorrebbero piantare ovunque pale eoliche e coprire di specchi fotovoltaici, come sta avvenendo, ad esempio, nella zona di Tuscania, interi pascoli fondamentali per il bestiame bovino, ovino e caprino. Nei quali, secondo gli Atlanti lasciatici dal grande economista e sociologo rurale, Corrado Barberis, scomparso di recente, abbiamo superato la Francia con oltre 400 fra formaggi freschi e stagionati, mozzarelle, caciotte e caciotte miste, ecc. La cifra stanziata per la transizione ecologica non raggiunge infatti – denunciano Lipu, BirdLife Italia ed Europa – il 37 per cento dei fondi complessivi richiesti quale quota minima dal Regolamento europeo, l’investimento per la biodiversità si ferma a 1,19 miliardi di euro sui 231 totali, corrispondenti allo 0,51 per cento. Orbene, questi fondi sono destinati alla “rinaturalizzazione” del fiume Po (360 milioni di euro), alla digitalizzazione dei parchi (100 milioni), a interventi sui sistemi marini e costieri (400 milioni) e alla tutela e valorizzazione del verde urbano ed extra-urbano (330 milioni). Troppo poco se pensiamo all’estesissimo patrimonio italiano della biodiversità o agli stanziamenti di Paesi paragonabili al nostro: la Spagna, evidenzia il documento, su 69,528 miliardi totali dedica alle opere di conservazione e restauro di ecosistemi e biodiversità ben 1,642 miliardi ai quali si aggiungono 2,091 miliardi investiti nella tutela delle coste e nelle risorse idriche. Per un totale di 3,733 miliardi pari al 5,37 per cento delle risorse complessive. Cioè una quota che risulta di oltre 10 volte superiore a quella italiana e più mirata su obiettivi e azioni strategiche. Senza contare che in questi ultimi anni o decenni l’Italia ha seguito a livello regionale una politica di sbriciolamento della pianificazione tentata o realizzata in passato. Si pensi al bel Piano Salvacoste che la Giunta Soru aveva approvato, realizzato da una grande équipe di urbanisti sotto la guida del rimpianto Eduardo Salzano, e che le Giunte successive si sono ostinate a demolire favorendo. Si pensi al “tradimento” di buone leggi per il paesaggio come la legge Galasso del 1985 rispettata da poche Regioni, della quale, per fortuna, ci teniamo i vincoli paesaggistici che, sommati a quelli della lontana legge Bottai del 1939, coprono quasi il 50 per cento del Paese. Ancor più clamoroso il caso del Codice per il Paesaggio che nella versione più recente (ministro Francesco Rutelli, 2008) prescriveva la co-pianificazione Stato-Regioni e che soltanto un pugno di Regioni hanno attuato, la Toscana per prima, presidente fino al 2020, Enrico Rossi, assessore Anna Marson, fra furiosi attacchi di cavatori delle Apuane ormai dissestate, costruttori di porticcioli turistici, speculatori edilizi urbani, ecc. Altre tre Regioni per ora hanno co-pianificato, la Puglia, quando era presidente Nichi Vendola, il Piemonte con Sergio Chiamparino, Renato Soru per le coste sarde. Alcune Regioni, come il Lazio, hanno proceduto a elaborare il loro Piano facendo a meno del ministero dei Beni culturali e quindi vedendosi bocciare il medesimo. Altre Regioni “ci stanno lavorando” (dal 2008), altre, come la Sicilia, dove l’abusivismo la fa da padrone, rifiutano addirittura l’idea della co-pianificazione trattandosi di Regioni “a statuto speciale”. Quindi, tornando alla biodiversità, il nostro Paese, fino al 900, era uno dei più grandi serbatoi di biodiversità. Che però si sta grandemente impoverendo con un consumo dissennato di suolo. Per il Rapporto 2020 del Wwf Italia, l’Italia ha circa la metà di tutte le specie vegetali esistenti e un terzo delle specie animali presenti in Europa. Il rischio è quello di dar spazio e terreno a piattaforme per prodotti di importazione: un suicidio. Ma di tutto questo e delle carenze del Piano italiano del tutto disallineato alle strategie europee sulla biodiversità per il 2030, della debolezza in materia del governo Draghi parlano forse gli organi di informazione, parla forse la tv pubblica e privata? No, quasi nessuno. Eppure una legge nazionale che regoli il consumo di suolo giace da anni in Parlamento e nel frattempo le Regioni ne stanno sfornando di pessime. Lipu e BirdLife Italia ed Europa propongono di aumentare al 2,5 per cento il budget destinato a progetti mirati per la biodiversità, specie e habitat e ai siti della rete Natura 2000, mettendo mano al ripristino degli ecosistemi danneggiati a cominciare dalle zone umide. Ma ogni tentativo di dare vita a un Parco nazionale unico che unifichi il Delta del Po non si riesce a giungere.

Il ministro dell’Ambiente e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, uomo vicino a Confindustria, al solito se la prende “con la burocrazia” che bloccherebbe le fonti rinnovabili da sole e vento e ci viene a parlare dell’idrogeno come fonte di energia rinnovabile del futuro. Biodiversità ti saluto. Al ministero sono ricomparsi i personaggi che formavano lo staff di un ministro dell’Ambiente fra i peggiori, il bolognese Gian Luca Galletti, casiniano: solo un caso?

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