In Italia 4 reati ambientali ogni ora, ma mancano ancora leggi fondamentali contro il crimine

A marzo scorso, alcuni predatori di datteri di mare hanno devastato, nel tentativo di estrarli dalle scogliere, la parte sommersa dei faraglioni di Capri. Fino ad alcuni anni fa, sarebbero stati punti con una semplice contravvenzione. Oggi, invece, grazie alla legge sugli ecoreati, che proprio in questi giorni compie sei anni, saranno processati per “delitto di inquinamento e disastro ambientale”. Pochi lo sanno, ma nel contrasto ai reati contro l’ambiente, in crescita continua su tutti i fronti- cemento, rifiuti, incendi, beni culturali – c’è una normativa davvero spartiacque, quella n. 68 del 2015. “Prima di quella data, il nostro paese aveva solo il delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, il resto dei reati erano solo di tipo contravvenzionale e per lo più finivano prescritti”, spiega Enrico Fontana, Responsabile dell’Osservatorio nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente, associazione che ogni anno cura la pubblicazione più dettagliata in Italia sui reati ambientali, Il Rapporto Ecomafia 2020. “Dopo, si passa finalmente, nel codice penale, dal concetto di contravvenzione, con le relative pene irrisorie, a quello di ‘delitto’: di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, di omessa bonifica, di impedimento al controllo, di traffico di materiale ad alta radioattività”.

Italia, 4 reati ambientali all’ora

Dall’entrata in vigore della legge, ci sono stati ben 3.753 procedimenti penali, 10.419 persone denunciate, 3.165 ordinanze di custodia cautelare. Tutto questo all’interno di un contesto in cui i reati ambientali aumentano: sono 95 a giorno, 4 all’ora, sempre secondo il Rapporto Ecomafie 2020, e con essi anche gli arresti – più 112,9% negli arresti in ambito di rifiuti (198 persone) nel 2019 rispetto all’anno precedente -, di sequestri nell’ambito dei reati su beni culturali – più 238,6%, con ben 905.472 oggetti recuperati (+1397,7%). Il business potenziale legato a questi reati è di 19,9 miliardi di euro e le regioni con più reati ambientali, manco a dirlo, sono quelle a tradizionale insediamento mafioso, Campania, Puglia, Sicilia, Calabria, che hanno raccolto il 44,4% delle infrazioni. “Ma se si va a vedere quante volte sono state applicate dalle procure e dalle forze dell’ordine le nuove sanzioni introdotte nel Codice penale, ai primi posti ci sono anche le regioni del nord, dove vengono contestati in maniera forte quei delitti legati all’attività di impresa”, spiega il responsabile dell’Osservatorio sulla legalità di Legambiente.

Una legge nata grazie all’Europa

Ma come si è arrivati alla legge del 2015? Ricostruisce l’iter travagliato di questa normativa storica l’avvocato penalista Stefano Palmisano, specializzato in reati contro l’ambiente e la salute. Palmisano ricorda che, prima del 2015, “mancava l’elemento fondamentale della deterrenza, era come se lo stato potesse agitare contro chi deturpava l’ambiente solo una pistola giocattolo, tanto che spesso la giurisprudenza si era dovuta inventare, ad esempio nel caso del Petrolchimico di Marghera, il concetto di disastro ambientale attingendolo a quello di ‘disastro innominato’”. A costringere l’Italia ad andare verso una legge sui reati ambientali fu l’Europa, con una direttiva del 2008 che imponeva agli stati membri di garantire una tutela penale serie ed effettiva del bene ambiente. “Ci sono poi voluti ancora ben sette anni, una spinta importante è stata data dal processo Eternit, finito con la prescrizione degli imputati. Nell’ultimo tratto legislativo infine”, racconta Palmisano, “non mancarono opposizioni feroci alla legge: penso all’atteggiamento dei vertici di Confindustria”.

Beni culturali e Made in Italy: gli ambiti dimenticati

Ad oggi disponiamo di tutti gli strumenti legislativi per la lotta ai reati ambientali? In realtà no. Per completare il sistema di tutela ambientale mancano ancora alcuna riforme fondamentale. Resta ancora fuori, ad esempio, la tutela degli animali, così come mancano all’appello due leggi fondamentali, quella sull’agropirateria, cioè i reati su filiere alimentari (licenziata dal governo a febbraio e ferma alla Camera); e una legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale e artistico del paese (approvata dalla Camera e ora in Senato). “Insomma, è come se l’Italia non difendesse il suo patrimonio storico e il made Italy”, nota Enrico Fontana. Sulla stessa linea Stefano Palmisano. “Le sembra logico che, ad esempio, per la frode in commercio la pena prevista sia la reclusione fino a due anni o la multa fino a euro 2.065? Come si fa a pensare di tutelare compiutamente l’ambiente senza pensare anche a un’effettiva tutela penale dell’alimentazione e dell’agricoltura virtuosa? Penso a quell’altro tema dolentissimo che è la (mancata) repressione penale dell’abuso di pesticidi”. Anche i numeri relativi all’agromafia sono, tra l’altro, in crescita esponenziale: sempre nel “Rapporto Ecomafia 2020”, l’aumento dei controlli in un anno è stato del 45% (614.840) mentre quello dei reati accertati del 54,9% (69.369).

Bracconaggio, il peso delle lobby

Ma l’importantissima riforma del 2015 esclude anche la questione cruciale della tutela della fauna, ma anche alla flora, selvatiche. “Può sembrare un tema minore ma non lo è affatto perché dietro tutti reati connessi alla fauna e alla biodiversità si nascondono traffici e interessi criminali”. spiega Domenico Aiello dell’ufficio legale Wwf Italia “Eppure il traffico di animali selvatici, soprattutto esotici, si pone al quarto posto per i profitti illeciti generati, dopo quello di droga, armi ed esseri umani. E c’è anche il traffico illecito di legname, sia internazionale sia interno”. Mancano, denuncia l’associazione, strumenti legislativi e sanzionatori realmente efficaci a contrastare questi crimini, mentre il potere delle lobby è molto forte. Gli atti di bracconaggio contro gli uccelli selvatici, ad esempio, hanno fatto sì che la Commissione Europea aprisse una procedura di pre-infrazione per il nostro paese, che ha portato al varo di un Piano nazionale di contrasto agli illeciti contro gli uccelli selvatici. “Ci vuole un adeguamento delle sanzioni alla portata del danno che questi crimini producono: pensi che il meccanismo dell’oblazione consente persino, con il versamento di una somma di denaro l’estinzione del reato, la possibilità di avere la fedina penale pulita”, fa notare ancora Aiello, che spiega che c’è un disegno di legge fermo in Senato a causa di migliaia di emendamenti presentati dalla Lega a scopo ostruzionistico, visto che il testo prevede modifiche alla legge sulla caccia. “Ci sono zone del paese dove ancora si mangiano pettirossi e fringuelli protetti. E ancora esiste la cattura illegale uccelli protetti di richiami vivi di specie, i cosiddetti uccelli canori, tenuti in minuscole gabbie in condizioni precarie e usate come richiami vivi, cioè per attirare i loro simili che poi vengono fucilati. Per non parlare della protezione dei grandi carnivori come il lupo e l’orso ancora oggi oggetto di pregiudizi ingiustificati, del bracconaggio ittico fino ad arrivare alla mancata tutela per la nostra esistenza come le api. Purtroppo gli illeciti contro la fauna selvatica sono ancora considerati di serie b”.

Ma inserire la tutela dell’ambiente in Costituzione servirebbe contro gli ecoreati? “Chiuderebbe il cerchio, certo”, sostiene Fontana. Più scettico invece Stefano Palmisano: “I padri costituenti non potevano pensare all’ambiente con un paese da ricostruire, ma introdussero la tutela del paesaggio e il fondamentale diritto alla salute. E se da un lato non sarebbe male introdurre la sostenibilità in costituzione, dall’altro in questi periodi quando si mette mano alla nostra Carta fondamentale non è detto che ne venga fuori una cosa migliore: forse lasciare le cose come sono è il male minore”.

 

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