Lobby e interessi frenano le ambizioni green dell’Ue

La riforma delle quote di Co2. Pressioni e scontri: va riscritta

DI VIRGINIA DELLA SALA, IL FATTO QUOTIDIANO, 10 GIUGNO 2022

Anche se l’attenzione mediatica è stata assorbita dallo stop alle auto a diesel e benzina dal 2035, la bocciatura di mercoledì dell’Europarlamento alla riforma del sistema di tassazione delle emissioni di C02 (Ets, Emission trading scheme) è stata un duro colpo per l’immagine delle ambizioni ambientali dell’Ue. La proposta del pacchetto Fit for 55 dovrà infatti tornare in commissione Ambiente, i tempi si allungheranno (c’è chi dice che il riesame della proposta potrebbe non arrivare prima di settembre, ma in generale si punta a riuscire per luglio) e senza non potranno iniziare i negoziati con il Consiglio europeo. Lo stop, poi, si è esteso anche al Fondo sociale per il clima che è connesso alla riforma e che avrebbe dovuto essere alimentato dal 25% degli incassi dell’Ets nonché alla tassa alle frontiere sulle importazioni di prodotti ad alto contenuto di CO2, il cosiddetto Cbam, Carbon border adjustment mechanism, bocciato anch’esso.
La frenata è ovviamente il frutto dell’attivarsi di diverse forze, quelle dei portatori di interesse e quelle dei Paesi in cui quegli interessi sono preponderanti, ancor più in un momento in cui governi e industrie affrontano la crescente preoccupazione per l’inflazione e l’aumento dei costi energetici. La riforma, ad esempio, prevedeva la graduale eliminazione delle quote gratuite di Co2 di cui beneficia la grande industria europea. Christian Ehler, un membro tedesco del Ppe (che era riuscito a far approvare un emendamento che la spostasse dal 2030 al 2034, portando così la maggioranza a preferire un testo bocciato anziché annacquato) ha ad esempio sostenuto che la sinistra “volesse promuovere un’agenda radicale” che avrebbe danneggiato l’economia europea. Altri, come Michael Bloss (Verdi, Germania) e Delara Burkhardt (S&D, Germania) si sono lamentati delle pressioni da parte dell’industria che “sta usando le paure della gente” sulla carenza di cibo o sui prezzi dell’energia per ridimensionare l’ambizione dell’Ue. Già qualche settimana fa, in verità, il relatore della riforma Peter Liese (Ppe) aveva messo in guardia contro le eccessive ambizioni sulla politica climatica precisando che “abbiamo il problema di avere un disperato bisogno di sostituire il gas russo” e che “per un periodo di tempo limitato potremmo dover utilizzare più carbone”. In mezzo, le lobby: “Posso condividere un fatto – aveva detto qualche giorno prima Pascal Canfin, presidente della Commissione per l’ambiente del Parlamento Ue – c’è uno tsunami di lobby”. A raccontare come è il sito Euractiv: secondo i dati raccolti da InfluenceMap, un’associazione senza scopo di lucro, il solo settore automobilistico ha tenuto 32 incontri con i parlamentari europei che lavoravano sulla proposta di legge sulla CO2 per le automobili, tra settembre e marzo. Di questi, 22 erano con associazioni o enti contrari ai piani dell’Ue. Allo stesso modo, i registri dei deputati europei che si occupavano della riforma del mercato del carbonio mostrano che si sono tenute 52 riunioni. Il produttore siderurgico tedesco ThyssenKrupp, l’associazione siderurgica Eurofer (che include ArcelorMittal, SSAB, ThyssenKrupp) e la Federazione delle industrie tedesche (Bdi) sono stati i gruppi che si sono incontrati più frequentemente coi deputati. Bdi, ad esempio, rappresenta Airbus Group, Bayer, BMW Group, Daimler, Shell, Siemens, ThyssenKrupp, Volkswagen, Volvo e altri. Ma gli incontri hanno coinvolto anche la German Chemical Industry Association (Vci) e la FuelsEurope (BP, Eni, Equinor, Lukoil, Omv, Repsol, Shell, TotalEnergies).
“Le lobby sono state molto attive sul pacchetto Fit for 55 e in molti casi hanno suggerito emendamenti che poi alcuni solerti colleghi hanno presentato – spiega al Fatto Laura Ferrara, europarlamentare M5S e membro della commissione Envi –. Per fortuna sul voto per lo stop alle auto inquinanti non hanno prevalso”. Intanto ieri il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha commentato l’esito europeo, dicendo che “la bocciatura della proposta di riforma del mercato Ets dimostra che la transizione ecologica è complessa, perché interseca giustizia sociale ed emergenza ambientale”. Insomma, mentre deve “accelerare” pare debba anche andare più lenta di quanto non chieda l’Ue. Al punto che anche sull’auto elettrica avrebbe preferito frenare.

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