INTERVISTA AL SEGRETARIO FIOM. Il leader dei metalmeccanici Cgil: siamo l’unico paese che non affronta il passaggio all’elettrico: da Giorgetti solo incentivi all’acquisto. Noi sindacati siamo uniti: presto un’assemblea continentale dei delegati. Siamo un sindacato ambientalista, i lavoratori sono consapevoli di essere dentro un cambio storico DI MASSIMO FRANCHI, IL MANIFESTO, 10 GIUGNO 2022 Michele De Palma, da due mesi segretario generale della Fiom, il voto del parlamento europeo sullo stop ai motori endotermici dal 2035 ha provocato molte reazioni negative in Italia, sia da Confindustria che da Fim e Uilm. Voi siete il sindacato più ecologista fra i metalmeccanici: quale giudizio date?Siamo sicuramente il sindacato che punta di più sull’equilibrio ambiente-innovazione ma dobbiamo dirci la verità: il voto di mercoledì non cambia il quadro. Non ha senso imprecare contro l’Ue. È esattamente il contrario: noi in Italia avevamo già 67 milioni di ore di cassa integrazione nel 2021 e anche le grandi multinazionali (Volkswagen e Stellantis) avevano già deciso autonomamente di bloccare le produzioni con motori endotermici. Il problema è che l’Italia arriva tardi: nel passato la Fiat, nel presente il governo hanno rallentato la transizione verso l’elettrico. E l’Italia è l’unico paese europeo a non avere un piano per la gestire la transizione verso l’elettrico. A febbraio con Fim e Uilm e addirittura Federmeccanica formaste un’inedita alleanza per chiedere interventi al governo. Sono passati tre mesi ma i problemi sono rimasti.Sì, a quel grido di dolore il governo con i ministri Giorgetti e Cingolani ha risposto solamente prevedendo degli incentivi all’acquisto di auto. Nessun piano per la transizione: qualcuno evidentemente è rimasto sotto vuoto. Per questo ribadiamo la richiesta che ora sia palazzo Chigi, sia Draghi a convocare un tavolo sull’automotive per recuperare il ritardo accumulato e dare risposte ai lavoratori e alle imprese e gestire la transizione. Ma, […]
ENERGIE
INTERVISTA AL PRESIDENTE DI LEGAMBIENTE, STEFANO CIAFANI. «Il governo dovrebbe investire su tutta la filiera: centraline, software, batterie per auto, bus e tir, impianti di riciclo. Di questo non sentiamo mai parlare il ministro Cingolani» DI ADRIANA POLLICE, IL MANIFESTO, 10 GIUGNO 2022 «La presa di posizione del ministro della Transizione ecologica Cingolani, rispetto al voto in Ue sullo stop della vendita dei motori endotermici entro il 2035, è incomprensibile e fa il paio con quello che disse un anno fa quando affermò che la transizione ecologica sarebbe stata un bagno di sangue per l’automotive»: a Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, le parole del ministro non sono piaciute. Perché la via «gradualista» del Mite non vi convince?Cingolani dovrebbe avere il coraggio di affrontare un’onda che sta montando: le grandi aziende stanno decidendo da sole quando smettere di produrre i motori endotermici, i cittadini in giro per il mondo si stanno orientando verso le auto a minori emissioni. Se stiamo fermi saremo travolti, se prendiamo coraggio proviamo a cavalcarla. Siamo un paese che, con altri, ha fatto la storia del settore nel secolo scorso, non si capisce perché il ministro continui a prendere tempo quando tempo non c’è. L’elettrico utilizza un numero inferiore di componenti rispetto all’endotermico e il 30% di manodopera in meno. C’è un tema occupazione?I lavoratori del carbone, quelli che facevano Tv col tubo catodico o telefonia analogica hanno ricollocato le proprie competenze sull’innovazione, lo stesso vale per l’automotive. I ministri dello Sviluppo economico, Lavoro e Infrastrutture con il Mite devono organizzare e gestire la conversione di produzioni e professionalità. C’è il rischio che l’Asia, più avanti su questo terreno, ci sottragga quote di mercato?Se andiamo avanti con calma, come vuole Cingolani, perdiamo la partita con le produzioni asiatiche e tedesche. Il governo deve lavorare alla filiera: dispositivi, […]
A SCOPPIO RITARDATO. L’anomalia del ministro della transizione ecologica DI GIULIANO SANTORO, IL MANIFESTO, 10 GIUGNO 2022 Dopo il voto del Parlamento europeo di mercoledì che ha approvato il bando per i motori a combustione delle auto a partire dal 2035 la palla passa ai ministri competenti. Si incontreranno il 28 giugno al Consiglio europeo. In seguito, prima della fine dell’anno, spetta a Commissione, Parlamento e ministri dei singoli stati cercare una sintesi sulle emissioni. Ciò significa che in questa fase per l’Italia il ruolo del pivot spetta al ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani. Cioè una figura dai tratti paradossali: la conformazione stessa della sua delega e la scelta della sua persona si devono a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle, che ne fecero motivo dirimente per far nascere la maggioranza Draghi. È tuttavia evidente da tempo che su molti dossier Cingolani esprima sensibilità diverse dalla forza politica che lo ha espresso. IN QUESTA OCCASIONE ha manifestato vicinanza alla proposta dei popolari di attenuare il passaggio ai motori a zero emissioni. Tanto che è a lui che si appella, il giorno successivo, il vicepresidente del Ppe e coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani,. «Ho chiesto un incontro al presidente del consiglio – fa sapere Tajani – Chiediamo al governo di seguire Cingolani, che condivide quello che noi abbiamo votato al Parlamento europeo. Si può bloccare questa scellerata decisione della sinistra». Le destre contrappongono la ragione economica a quella ambientale. «Chi ha votato a favore di questo scempio vuole smontare il nostro sistema pezzo per pezzo e rappresenta un pericolo per il nostro paese», aggiungono i capigruppo della Lega Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo. L’ANOMALIA CINGOLANI balza agli occhi dei portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli ed Eleonora Evi: «È bizzarro vedere un ministro della transizione ecologica fare la guerra alla transizione […]
La riforma delle quote di Co2. Pressioni e scontri: va riscritta DI VIRGINIA DELLA SALA, IL FATTO QUOTIDIANO, 10 GIUGNO 2022 Anche se l’attenzione mediatica è stata assorbita dallo stop alle auto a diesel e benzina dal 2035, la bocciatura di mercoledì dell’Europarlamento alla riforma del sistema di tassazione delle emissioni di C02 (Ets, Emission trading scheme) è stata un duro colpo per l’immagine delle ambizioni ambientali dell’Ue. La proposta del pacchetto Fit for 55 dovrà infatti tornare in commissione Ambiente, i tempi si allungheranno (c’è chi dice che il riesame della proposta potrebbe non arrivare prima di settembre, ma in generale si punta a riuscire per luglio) e senza non potranno iniziare i negoziati con il Consiglio europeo. Lo stop, poi, si è esteso anche al Fondo sociale per il clima che è connesso alla riforma e che avrebbe dovuto essere alimentato dal 25% degli incassi dell’Ets nonché alla tassa alle frontiere sulle importazioni di prodotti ad alto contenuto di CO2, il cosiddetto Cbam, Carbon border adjustment mechanism, bocciato anch’esso.La frenata è ovviamente il frutto dell’attivarsi di diverse forze, quelle dei portatori di interesse e quelle dei Paesi in cui quegli interessi sono preponderanti, ancor più in un momento in cui governi e industrie affrontano la crescente preoccupazione per l’inflazione e l’aumento dei costi energetici. La riforma, ad esempio, prevedeva la graduale eliminazione delle quote gratuite di Co2 di cui beneficia la grande industria europea. Christian Ehler, un membro tedesco del Ppe (che era riuscito a far approvare un emendamento che la spostasse dal 2030 al 2034, portando così la maggioranza a preferire un testo bocciato anziché annacquato) ha ad esempio sostenuto che la sinistra “volesse promuovere un’agenda radicale” che avrebbe danneggiato l’economia europea. Altri, come Michael Bloss (Verdi, Germania) e Delara Burkhardt (S&D, Germania) si sono lamentati delle […]
L’allarme del direttore dell’AIE per il prossimo inverno. Il governo ha stilato una lista di misure e ha preallertato i prefetti DI MARCO PALOMBI, IL FATTO QUOTIDIANO, 10 GIUGNO 2022 Non siamo ancora lì, ma in giro se ne comincia a parlare e al più alto livello: non è affatto escluso che l’Europa debba razionare l’energia il prossimo inverno. Alla fine lo ha detto esplicitamente al Financial Times il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) Fatih Birol: “Se abbiamo un inverno rigido o lungo e non vengono prese misure di contenimento della domanda, non posso escludere il razionamento del gas in Europa, a partire dai grandi impianti industriali”.La tesi dell’AIE, in sostanza, è che se la domanda cinese sarà sostenuta, il conflitto in Ucraina continuasse a lungo e il meteo non ci venisse in soccorso ci troveremmo “corti” nelle forniture di gas (ma, bisogna aggiungere, a questi prezzi e con le sanzioni anche di prodotti petroliferi). Tanto più che Mosca ha già “staccato” il metano a Polonia, Bulgaria, Finlandia, Olanda e Danimarca: il piano RePowerEu prevede solidarietà intra-Ue sulle forniture e, in caso servano, pure razionamenti concordati a livello europeo.A chi ha buona memoria, questo ricorderà una frase di Mario Draghi di metà marzo: finora tutto bene, ma “se le cose dovessero peggiorare dovremmo sicuramente entrare in una logica di razionamento”. E le cose stanno peggiorando se non altro perché la guerra russa in Ucraina non accenna a finire e le sanzioni Ue hanno coinvolto il settore energetico: per questo, coordinati da Palazzo Chigi, alcuni ministeri – a partire da quelli della Transizione ecologica (che ha le deleghe all’energia), dello Sviluppo economico e dell’Economia – stanno mettendo insieme le modalità operative e i vari passi degli eventuali razionamenti. Niente di male, anzi un’iniziativa doverosa, che nel merito ricorda la famigerata […]
ENERGIA. È la risposta alla richiesta di Macron di dichiarare l’intenzione di voto sulla proposta della Commissione che include l’atomo tra le fonti per la transizione ecologica DI SEBASTIANO CANETTA, IL MANIFESTO, 17 MAGGIO 2022 Pollice verso della Germania sul regolamento europeo sulla tassonomia energetica. Lo ha confermato ieri a Berlino il ministero delle Finanze, ufficializzando la sua risposta alla richiesta del governo Macron di dichiarare l’intenzione di voto sulla proposta della Commissione Ue che include il nucleare tra le fonti per la transizione ecologica. «Le centrali atomiche non sono sostenibili. Primo, perché non si possono escludere incidenti con effetti su vasta scala; secondo, perché resta irrisolto il problema di come, dove e per quanto tempo stoccare le scorie tossiche» è la netta, inequivocabile, posizione della Coalizione Semaforo. Dominata sempre più dai Verdi, veri vincitori del voto di domenica in Nordreno-Vestfalia, il Land più popoloso della Bundesrepublik con 17,9 milioni di abitanti nonché cuore industriale della Germania. Il 18,1% del consenso al partito ambientalista vuol dire terzo posto ma anche l’11,7% in più dalle ultime elezioni. Coincide con il ritorno politico della Cdu, primo partito al Parlamento di Düsseldorf con il 35,8% (+2,8% rispetto al 2017), e il clamoroso schianto alle urne della Spd, fermatasi al 26,7% (meno 4,5%) e destinata a incassare la seconda batosta elettorale in otto giorni dopo il tonfo nello Schleswig-Holstein. Gran bella grana per il cancelliere Olaf Scholz, specialmente se è finita malissimo anche l’altro partner nel governo federale: Fdp a quota 5,6% (meno 7%) segnala la fine della luna di miele dei liberal con gli elettori. Anche per questo effetto collaterale la Germania chiederà formalmente al Consiglio europeo a guida francese di opporsi al documento sulla tassonomia predisposto dalla Commissione. «Se il Consiglio, oppure l’Europarlamento che si esprimerà a luglio, solleveranno obiezioni sull’atto, allora sarà […]
La guerra energetica alla Russia pare già sopita DI VIRGINIA DELLA SALA, IL FATTO QUOTIDIANO, 17 MAGGIO 2022 La guerra energetica alla Russia pare già sopita. Bruxelles ha fatto sapere che si potrà continuare a pagare il gas di Mosca senza violare le sanzioni e, dopo ormai 13 giorni dalla sua presentazione, non è arrivata a un accordo sul sesto pacchetto di sanzioni, che prevede l’embargo del petrolio russo. La Commissione Ue venerdì ha inviato alle aziende petrolifere una nota in cui precisa che si può aprire un conto bancario presso Gazprombank, ma a patto che i pagamenti non avvengano in Rubli. Un decreto del Cremlino obbliga infatti gli importatori dei Paesi “ostili” a saldare gli acquisti di gas ricorrendo a due conti presso Gazprombank, uno in euro/dollari e uno, appunto, in rubli. Inoltre considerava conclusa la transazione solo nel momento in cui si fosse concluso il cambio.La bozza delle linee guida della Commissione Ue, però, sembra chiarire che, per non infrangere le sanzioni, alle aziende basterà pagare in euro o dollari, come previsto dai contratti, e dichiarare che con quel versamento avranno adempiuto ai propri obblighi, lasciando ai russi la conversione in rubli. Un modo, insomma, per dare un via libera ‘ufficiale’ ai colossi europei (l’italiana Eni compresa) di procedere ai pagamenti senza però chiarire cosa succeda dopo. Nelle scorse settimane, Gazprom aveva assicurato che la valuta estera ricevuta sarebbe stata cambiata in rubli tramite conti del National Clearing Center russo, senza apparentemente coinvolgere la Banca Centrale (per non violare le sanzioni), mentre a fine aprile la banca centrale aveva chiarito che se gli acquirenti di gas stranieri avessero pagato in buona fede in valuta estera, il gas avrebbe continuato a fluire anche se Gazprombank non fosse riuscita a convertire quei fondi in rubli. Era anche stato stabilito un […]
RIFIUTI. Storia del più grande impianto d’Italia, che ogni anno e per 30 anni è costretto ad incenerire 750 mila tonnellate di rifiuti (più della metà arrivano da fuori) DI MARINO RUZZENENTE, IL MANIFESTO-EXTRATERRESTRE, 12 MAGGIO 22 L’inceneritore di rifiuti è una macchina complessa e costosa: non a caso è sempre stata accompagnata da finanziamenti pubblici, un tempo i cip 6, poi i certificati verdi, ora il Pnrr. L’amministratore delegato di A2A, in un’intervista del settembre scorso, l’ha detto a chiare lettere: per nuovi inceneritori al centro-sud «serve un fondo di garanzia pubblico… per sostenere i costi di investimento per i nuovi impianti e di un servizio che non si può interrompere». QUINDI SOLDI PUBBLICI da un lato e grande dimensione dell’impianto dall’altro per le necessarie economie di scala: A2A lo sa bene, grazie all’esperienza maturata con il più grande inceneritore d’Italia, entrato in funzione alla fine del secolo scorso a Brescia, pagato interamente con i Cip 6 in quell’epoca di euforia inceneritorista. ALLORA I RIFIUTI PROVINCIALI, in assenza di raccolta differenziata, erano circa 450 mila tonnellate, cui si aggiunsero con una evidente forzatura altre 300 mila tonnellate di possibili «biomasse» che in realtà erano rifiuti speciali camuffati: il risultato fu una megamacchina da 750 mila tonnellate annue di rifiuti da incenerire. Scattò così la trappola tecnologica in cui i bresciani si trovano ancora oggi imbrigliati: infatti, se un inceneritore nasce necessariamente sovradimensionato, non per questo poi se ne può ridurre l’utilizzo in funzione del fabbisogno territoriale di smaltimento dei rifiuti a valle della raccolta differenziata, come logica vorrebbe. L’IMPIANTO DEVE FUNZIONARE a pieno regime almeno per i circa 30 anni di vita tecnologica dello stesso, sia per abbattere i costi di gestione, sia perché i forni devono sviluppare il massimo delle temperature evitando fermate e riavvii critici per le emissioni, sia perché va […]
CONTRADDIZIONI DEL RIMPATRIO DELLE FILIERE CRITICHE. per Biden, la «rivoluzione verde» non è soltanto un modo per salvare il pianeta dai gas serra ma soprattutto il mezzo per affermare la supremazia industriale dell’America sulla Cina DI MARCO DELL’AGUZZO, IL MANIFESTO, 14 MAGGIO 2022 Più di trecento progetti di energia solare previsti per quest’anno negli Usa sono a rischio cancellazione. La causa è l’indagine aperta a marzo dal dipartimento del Commercio, che – su reclamo di un’azienda manifatturiera californiana, Auxin Solar – vuole vederci chiaro sui pannelli importati dal Sud-est asiatico, che valgono ben l’80 per cento delle forniture americane. Washington pensa che dietro alla Malaysia, al Vietnam, alla Thailandia e alla Cambogia si nasconda la Cina, che sfrutterebbe la regione come base produttiva per entrare nel mercato statunitense aggirando i dazi sui dispositivi fotovoltaici cinesi: arrivano fino al 250 per cento, ma di solito si fermano al 30-20. Se l’accertamento dovesse venire sostenuto da prove – un primo verdetto ci sarà a fine agosto –, l’amministrazione Biden potrebbe applicare dazi anche verso quella parte d’Asia. Le tariffe saranno retroattive e ammonteranno a un massimo di 3,6 miliardi di dollari, secondo una recente stima della società di consulenza energetica Rystad Energy. Il timore dei dazi, combinato alle confische di componenti sospettati di provenire da Hoshine Silicon, compagnia cinese messa al bando perché accusata di sfruttare il lavoro forzato degli uiguri, ha però già spinto gli operatori americani del settore solare a ripensare i loro piani. Per raggiungere gli obiettivi della Casa Bianca sul dimezzamento delle emissioni al 2030 e sulla decarbonizzazione della rete elettrica al 2035, le installazioni di capacità rinnovabile negli Stati Uniti dovranno aumentare molto, e in fretta: solo di fotovoltaico sono necessari circa 50 gigawatt all’anno da oggi a fine decennio. Il 2022 avrebbe dovuto dare un contributo importante, […]
A dividere i partiti è stato un emendamento presentato dal vicepresidente del M5S DI GIACOMO SALVINI, IL FATTO QUOTIDIANO, 10 MAGGIO 2022 Il governo ha rischiato di nuovo sull’ex Ilva di Taranto. Dopo l’incidente parlamentare di metà febbraio, che aveva portato Mario Draghi a minacciare la crisi salendo al Quirinale, domenica notte la maggioranza si è spaccata in commissione Industria al Senato e, solo grazie all’astensione dell’opposizione di Fratelli d’Italia, l’esecutivo non è stato battuto.A dividere i partiti di maggioranza è stato un emendamento presentato dal vicepresidente del M5S, Mario Turco, al decreto “Taglia prezzi” che chiedeva di sopprimere la norma del governo per spostare 150 milioni dai fondi destinati alla bonifica del siderurgico di Taranto all’attività produttiva di Acciaierie d’Italia, la società tra Invitalia e Arcelor Mittal che controlla il gruppo. La proposta M5S aveva avuto il parere contrario del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ma i 5 Stelle l’hanno voluta mettere ai voti lo stesso. La norma è stata bocciata, ma in extremis: 14 voti a 14. Il regolamento del Senato prevede che, in caso di parità, la proposta non passi. Hanno votato a favore (e quindi contro il governo) M5S, Pd e LeU mentre Lega e Forza Italia hanno votato contro. Astenuti Italia Viva e Fratelli d’Italia. La maggioranza si è spaccata. Il M5S, con Turco, accusa il centrodestra di aver dato “uno schiaffo alla città di Taranto”: “La prospettiva della transizione ecologica con questa maggioranza sta diventando un’impresa improba”, dice. Italia Viva accusa i senatori del M5S di “demagogia”, dice il senatore Mauro Marino. La Lega invece parla di “fatto grave” e chiede a Draghi di “fare chiarezza”. FdI si giustifica così: “Ci siamo astenuti per dimostrare le spaccature nella maggioranza”, dice Andrea De Bertoldi.L’imbarazzo maggiore, però, è del Pd, costretto a una retromarcia comica […]