Energia solare: l’altro fronte dello scontro Usa-Cina

CONTRADDIZIONI DEL RIMPATRIO DELLE FILIERE CRITICHE. per Biden, la «rivoluzione verde» non è soltanto un modo per salvare il pianeta dai gas serra ma soprattutto il mezzo per affermare la supremazia industriale dell’America sulla Cina

DI MARCO DELL’AGUZZO, IL MANIFESTO, 14 MAGGIO 2022

Più di trecento progetti di energia solare previsti per quest’anno negli Usa sono a rischio cancellazione. La causa è l’indagine aperta a marzo dal dipartimento del Commercio, che – su reclamo di un’azienda manifatturiera californiana, Auxin Solar – vuole vederci chiaro sui pannelli importati dal Sud-est asiatico, che valgono ben l’80 per cento delle forniture americane.

Washington pensa che dietro alla Malaysia, al Vietnam, alla Thailandia e alla Cambogia si nasconda la Cina, che sfrutterebbe la regione come base produttiva per entrare nel mercato statunitense aggirando i dazi sui dispositivi fotovoltaici cinesi: arrivano fino al 250 per cento, ma di solito si fermano al 30-20. Se l’accertamento dovesse venire sostenuto da prove – un primo verdetto ci sarà a fine agosto –, l’amministrazione Biden potrebbe applicare dazi anche verso quella parte d’Asia. Le tariffe saranno retroattive e ammonteranno a un massimo di 3,6 miliardi di dollari, secondo una recente stima della società di consulenza energetica Rystad Energy. Il timore dei dazi, combinato alle confische di componenti sospettati di provenire da Hoshine Silicon, compagnia cinese messa al bando perché accusata di sfruttare il lavoro forzato degli uiguri, ha però già spinto gli operatori americani del settore solare a ripensare i loro piani.

Per raggiungere gli obiettivi della Casa Bianca sul dimezzamento delle emissioni al 2030 e sulla decarbonizzazione della rete elettrica al 2035, le installazioni di capacità rinnovabile negli Stati Uniti dovranno aumentare molto, e in fretta: solo di fotovoltaico sono necessari circa 50 gigawatt all’anno da oggi a fine decennio. Il 2022 avrebbe dovuto dare un contributo importante, ma dei 27 nuovi GW previsti, secondo Rystad se ne realizzeranno forse solo 10. I dati delle associazioni di categoria sono anche più neri.

La segretaria al Commercio Gina Raimondo ha difeso l’indagine del suo dipartimento, benché abbia spaccato in due l’industria solare nazionale e fatto emergere le difficoltà e le contraddizioni dell’agenda di Biden per l’energia pulita e per il rimpatrio delle filiere critiche.

Da una parte ci sono le piccole imprese americane che fabbricano pannelli come Auxin Solar, che non riescono a reggere la concorrenza cinese e asiatica e vedono nei dazi un’opportunità di crescita; dall’altra ci sono invece le società come NextEra Energy che installano il fotovoltaico sui terreni e sui tetti delle case, e che hanno bisogno di tanti apparecchi a basso costo. Il presidente vorrebbe favorire le prime, ma senza le seconde la transizione ecologica non si può fare.

Il punto è che, per Biden, la «rivoluzione verde» non è soltanto un modo per salvare il pianeta dai gas serra ma soprattutto il mezzo per affermare la supremazia industriale dell’America sulla Cina. È però Pechino a dominare l’intera catena del valore dell’energia solare, dal materiale grezzo al prodotto finito.

Mentre la manifattura statunitense, nel migliore degli scenari elaborati da Rystad, raggiungerà una scala sufficiente a compensare la perdita delle importazioni asiatiche nel 2024. Nel frattempo, però, il calo della realizzazione di parchi fotovoltaici mette a rischio decine di migliaia di posti di lavoro.

George Hershman, il capo della grande società di impianti solari Solv Energy, ha addirittura accusato Biden di aver «fatto più danni alle rinnovabili dell’amministrazione precedente» – quella di Trump, un negazionista dei cambiamenti climatici – con il suo approccio «disfunzionale, un po’ schizofrenico» alla questione energetica.

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