Renzo Piano e la città messa ai margini della vita quotidiana

Articolo di Emanuele Piccardo pubblicato con questo titolo il 30 dicembre 2014 su “Il Manifesto”, di cui condividiamo la problematica che solleva perché in piena sintonia con le battaglie di VAS.

Emanuele Piccardo (Genova 1972), architetto, fotografo e critico di architettura è curatore della rivista digitale di architettura, arti visive e culture Archphoto.it. La sua ricerca si basa sulla definizione di un fabbisogno di architettura nella società contemporanea, attraverso l’organizzazione di workshop e conferenze tematiche itineranti in Italia.

Fin dal 2002 si occupa dei quartieri residenziali pubblici Ina-Casa genovesi, attraverso progetti che mettono in relazione le architetture e le comunità che le abitano usando l’arte contemporanea per interagire con gli abitanti.

 Immagine.Emanuele Piccardo

Emanuele Piccardo

Sono vent’anni che urba­ni­sti, archi­tetti, socio­logi, si inter­ro­gano sulle sorti della peri­fe­ria ita­liana senza tro­vare solu­zioni accet­ta­bili che ne miglio­rino le con­di­zioni. 

La «poli­tica» con­si­dera i quar­tieri di edi­li­zia pub­blica solo come bacino elet­to­rale, usa parole ina­de­guate per con­fron­tarsi con le istanze, sacro­sante, degli abi­tanti, impe­dendo di fatto a chiun­que di pro­porre solu­zioni pro­get­tuali ade­guate. 

Poi nel 2013 Napo­li­tano nomina sena­tore a vita un archi­tetto: Renzo Piano. 

Come prima azione del suo man­dato attiva il pro­getto del «ram­mendo» della peri­fe­ria ita­liana, dove coin­volge un gruppo di gio­vani archi­tetti seguiti da tutor per lavo­rare su tre casi: Torino, Cata­nia, Roma.

L’idea ini­ziale con­si­ste nel ricu­cire, attra­verso fun­zioni pub­bli­che, il tes­suto diso­mo­ge­neo e fram­men­ta­rio delle peri­fe­rie ita­liane. 

Pur­troppo que­sta inten­zione di buona volontà non si attua come ci si aspet­tava. 

Se da una parte gli archi­tetti hanno deter­mi­nato la peri­fe­ria odierna, brac­cio armato di una poli­tica incom­pe­tente e arre­trata cul­tu­ral­mente, dall’altra cer­cano di rime­diare pro­po­nendo vie di fuga dal degrado sociale e spa­ziale. 

È sba­gliato e pre­sun­tuoso pen­sare che l’architettura da sola rie­sca a sal­vare la peri­fe­ria, occorre che la poli­tica inter­preti i desi­deri e i biso­gni dei cit­ta­dini senza dema­go­gia. 

Ser­vono soldi e idee.

Sui soldi Renzi ha messo a dispo­si­zione 200 milioni di euro per il «ram­mendo», un ter­mine con­so­la­to­rio da vec­chia nonna con nipoti un po’ riot­tosi (i periferici).

Il pro­getto Peri­fe­rie ela­bo­rato da Piano è stato pre­sen­tato come un qual­cosa di sal­vi­fico, invece è una ope­ra­zione media­tica che non solo non risolve i pro­blemi, ma non con­si­dera nem­meno i pro­getti ante­ce­denti che sono stati fatti sulla peri­fe­ria, un impor­tante archi­vio di idee da cui par­tire. 

I costi soste­nuti per l’operazione par­lano chiaro: 96.998 per i com­pensi dei gio­vani pro­get­ti­sti, 25mila euro per rim­bor­sare i loro viaggi, quelli dei tre tutor e di 11 con­su­lenti. 

In tutto il 2014 si è chiuso con una per­dita, rispetto ai 153.641 euro dello sti­pen­dio da sena­tore a vita, di 62.759 euro (fonte Il Sole 24 ore). 

Forse con le stesse cifre si poteva pro­durre di più. 

Da un archi­tetto della bra­vura di Piano ci si poteva aspet­tare un’azione par­la­men­tare per far appro­vare la legge sulla qua­lità dell’architettura, in iti­nere dal 1998, o linee guida per il recu­pero delle peri­fe­rie avendo una visione glo­bale del pro­blema. 

Invece ci tro­viamo con ana­lisi super­fi­ciali dei luo­ghi, senza com­pren­dere quali siano i reali pro­blemi, con esiti banali e scon­tati dei pro­getti presentati.

Al di là dell’architettura, il pro­cesso di miglio­ra­mento della peri­fe­ria non può avve­nire senza un chiaro pro­getto poli­tico. 

La poli­tica deve ren­dersi conto che sono mutate le esi­genze delle comu­nità, occorre inse­rire nuove fun­zioni nei quar­tieri (ska­te­park, spazi per con­certi, pale­stre, biblio­te­che, verde pub­blico, tea­tri), pen­sare a forme di dira­da­mento degli edi­fici esi­stenti cam­bian­done la tipo­lo­gia.

Non è un caso che lad­dove ci sia una esten­sione in oriz­zon­tale degli alloggi e minor numero di per­sone, i con­flitti siano molto minori. 

All’opposto, nei sistemi edi­lizi inten­sivi come Tor Bella Monaca o Tor Sapienza, il con­flitto nasce dall’assenza di spa­zio e dalla sovrap­po­si­zione dei nuclei fami­gliari misce­lando lega­lità con ille­ga­lità nella spe­ranza che fac­ciano comu­nità. 

Qui sta l’errore sto­rico della poli­tica che usa lin­guaggi vec­chi e obso­lete pra­ti­che ope­ra­tive, igno­rando i desi­deri degli abi­tanti. 

Per com­pren­dere meglio una pos­si­bile via di fuga c’è un inte­res­sante stu­dio del 2004 sulle peri­fe­rie fran­cesi rea­liz­zato dagli archi­tetti Laca­ton e Vas­sal, del quale sono stati rea­liz­zati tre pro­getti. 

Il pro­getto con­si­ste nella ristrut­tu­ra­zione degli edi­fici costruiti negli anni Set­tanta, ridu­cendo il con­sumo ener­ge­tico, ridi­se­gnando le fac­ciate per ren­derle più armo­ni­che, modi­fi­cando le piante degli alloggi e inse­rendo nuove fun­zioni comuni.

Nel caso Roma del gruppo G124 (il cui nome deriva dal numero della stanza del senatore-architetto), il pro­getto riguarda il sot­to­via­dotto della tran­via che doveva col­le­gare Saxa Rubra alla Lau­ren­tina.

L’esito pro­get­tuale, che scim­miotta i pro­getti del col­let­tivo di artisti-architetti Stal­ker (attivi dal 1995 e autori del pro­getto Osser­va­to­rio Nomade al Cor­viale con buoni esiti pro­get­tuali) è il col­lo­ca­mento di due con­tai­ner (al cui interno sono pre­vi­sti un labo­ra­to­rio urbano e uno spa­zio per la manu­ten­zione del micro parco) una serie di gomme-fioriere, pal­let rici­clati come pavi­mento, con l’intenzione di ricreare uno spa­zio «pub­blico».

 Immagine.Sottovia di Renzo Piano

Un approc­cio discu­ti­bile di fronte ad un pro­blema sto­rico della mobi­lità tra il quar­tiere e il resto della città, dove il vero pro­getto poteva essere, come dalla deli­bera di ini­zia­tiva popo­lare (11mila firme rac­colte) rati­fi­cata dal con­si­glio comu­nale nel feb­braio 2006, il com­ple­ta­mento della tran­via. 

Ma ancora più sto­nata è l’idea di ricon­ver­tire il sedime della tran­via in una pista cicla­bile, quando dall’altra parte della strada c’è il mera­vi­glioso parco delle Sabine tutto da ripensare.

Nel quar­tiere Librino a Cata­nia pro­get­tato su piano di Kenzo Tange (1970) erano pre­vi­sti ser­vizi sociali e spazi pub­blici, immersi nel verde, che ogni archi­tetto aveva pro­get­tato in ogni quar­tiere della peri­fe­ria ita­liana, fin dal periodo Ina-Casa. 

Ma come sem­pre non erano stati rea­liz­zati tra­sfor­mando in poco tempo il quar­tiere, com­plice il solito mine­strone di pro­blemi, in un ghetto sociale. 

Qui il G124 indi­vi­dua ancora il verde quale ele­mento cen­trale della pro­po­sta, ma da solo non può reg­gere l’assenza di spazi e poli­ti­che per la comu­nità. 

Anche a Cata­nia si dimen­tica il grande lavoro svolto, fin dal 2002, da Anto­nio Pre­sti, che ha inne­scato un pro­cesso di rin­no­va­mento iden­ti­ta­rio di Librino attra­verso un nuovo imma­gi­na­rio defi­nito dagli arti­sti visivi.

 Immagine.Librino Catania

La Porta della Bellezza – 2009

Quello che si vuole segna­lare è il totale disin­te­resse da parte di Piano per chi, come Pre­sti, Stal­ker e molti altri hanno fatto espe­rienze nella peri­fe­ria con buoni risul­tati. 

Affron­tare la peri­fe­ria solo con lo sguardo dell’architetto è un pec­cato ori­gi­nale che ne impe­di­sce una let­tura com­plessa e articolata.

Infine nel caso tori­nese le dimen­ti­canze riguar­dano il pro­getto Peri­fe­rie del Comune di Torino (1997–2005) all’interno del pro­gramma Urban II dell’Unione Euro­pea che, tra gli altri, ha coin­volto il quar­tiere di Mira­fiori. 

Lì l’associazione a.titolo ha rivi­ta­liz­zato il quar­tiere con opere degli arti­sti Lucy Orta, Mas­simo Bar­to­lini, Ste­fano Arienti, Clau­dia Losa, all’interno del pro­getto della Fon­da­tion de France «Nou­veaux Com­man­di­taire». 

Un pro­getto di media­zione tra arti­sti e comu­nità, dove l’artista invi­tato rea­lizza un’opera per­ma­nente che rimane nel quar­tiere. 

Nel caso tori­nese gli arti­sti hanno costruito spazi archi­tet­to­nici. 

Invece il G124 ha ana­liz­zato la Bor­gata Vit­to­ria par­tendo da un parco. 

L’esito. 

Un work­shop sulla città bene comune, appare ancora una volta debole evi­den­ziando come il pro­getto di recu­pero di un quar­tiere non possa basarsi uni­ca­mente sul verde pubblico.

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