Una moschea nel centro per una vera integrazione

Dopo gli attentati di Parigi si è posto il problema di quale possa essere la migliore risposta alla violenza.

Tomaso Montanari indica quale sia l’unica risposta nell’articolo pubblicato con questo titolo il 14 gennaio 2015 sulla cronaca di Firenze de quotidiano “La Repubblica”.

 Immagine.Tomaso Montanari

Tomaso Montanari

Quanti secoli ci ha messo il cristianesimo a ripudiare la convinzione che si possa uccidere in nome di Dio? 

Quando aveva l’età che ha ora l’Islam, in Europa scorrevano fiumi di sangue. 

E sembra che ci siamo dimenticati che, in nome del cristianesimo, solo vent’anni fa furono uccise decine di migliaia di musulmani bosniaci, a poche centinaia di chilometri da Ancona. 

Se vogliamo accelerare un simile ripudio nell’Islam italiano, se vogliamo che siano più numerose e più forti le voci di chi dice «not in my name» (come ha subito gridato Igiaba Scego, scrittrice musulmana di origine eritrea, che vive a Roma), abbiamo un’unica strada: accelerare l’integrazione.

Immagine.Igiama Scego

Igiaba Scego

Ma quella vera. 

Per far questo occorre radicalizzare la laicità, e dunque la terzietà religiosa, dello Stato: e contemporaneamente consentire il più pieno esercizio della vita religiosa delle comunità islamiche nel nostro Paese.  

Esattamente il contrario di ciò che propone la Destra (Lega e Forza Italia): che difende i presepi e i crocifissi nelle scuole (così che i bambini musulmani che ci studiano mai potranno sentirsi pienamente cittadini italiani) e al tempo stesso si oppone vigorosamente alla costruzione di nuove moschee. 

Ma anche la Sinistra, e l’intera classe dirigente italiana, non sembrano consapevoli che questa è una delle partite cruciali per il futuro del Paese.

Il caso di Firenze è emblematico. 

Qui la comunità islamica ha presentato un progetto per una grande moschea nel settembre del 2010.

Immagine.Progetto della moschea di Firenze

L’arcivescovo (cui certo non spettava esprimere un giudizio) sostenne che sarebbe stato meglio non pensare ad un unico tempio, ma a tanti piccoli luoghi di preghiera, possibilmente senza minareto. 

E il sindaco Matteo Renzi mise subito le mani avanti, dichiarando: «al momento non c’è un progetto, non c’è un’ipotesi di lavoro». 

Per poi chiudere ogni prospettiva: «Non vedo spazi nel centro storico di Firenze per farla, in questo momento». 

Oggi, cinque anni dopo questo esorcismo, tutto è ancora fermo: e l’assenza della moschea è assai eloquente sulle vere intenzioni di chi parla di integrazione.

Ebbene, è da questa miopia che dobbiamo liberarci: quando ci sembrerà finalmente venuto il momento di costruire l’Italia del futuro? 

Soffocati dagli eterni tatticismi della politica e prigionieri in un discorso pubblico inchiodato alla cronaca di un presente mortificante, sembriamo non sapere che presto anche in Italia si porranno le questioni che oggi agitano la Francia.

La sera del massacro di Charlie Hebdo, davanti a una televisione inevitabilmente accesa, mio figlio (che fa la prima elementare in una scuola pubblica fiorentina) mi ha detto che lui non ha paura dei suoi (tanti) compagni di classe musulmani. 

Mi sono chiesto quanto ci metteremo a rovinare questa naturale armonia: quanto ci vorrà perché cambi idea?

Tutto si deciderà nelle nostre città, così strettamente legate alla storia delle libertà (appunto) civili italiane. 

Come dimostra ciò che è successo nelle banlieuses francesi, le politiche urbanistiche hanno un peso straordinario nel futuro sociale di un Paese. 

Per secoli le città italiane hanno creato cittadini: italiani non per stirpe, ma per cultura. 

Siamo una nazione non per via di sangue, ma – letteralmente – iure soli: per la forza di un territorio che ci ha fatto comunità. 

Lo riconosce l’articolo 9 della Costituzione, uno dei pochissimi che spenda appunto la parola ‘nazione’: associandola al patrimonio storico e artistico e al paesaggio. 

Cioè allo spazio pubblico: luogo terzo in cui non siamo divisi né per fede né per censo, ma siamo cittadini ed eguali.

Oggi questo patrimonio può tornare a giocare nella direzione del futuro.

Quante chiese abbandonate potrebbero diventare moschee (invece che alberghi di lusso)? 

Quanti centri storici possono rinascere accogliendo anche un’altra cultura, invece che avviarsi ad un’imbalsamazione turistica? 

Una moschea nel centro di Firenze sarebbe un segno potente, capace di indicare la direzione del cammino che dobbiamo intraprendere. 

Un modo per dire che ora, sì, sappiamo come costruire un’integrazione vera. 

Che passa attraverso città che permettono l’incontro quotidiano, la mescolanza, la conoscenza. 

E non attraverso quartieri ghetto: periferie chiuse e separate, luoghi fatti apposta per fomentare il risentimento verso quella separazione e nutrire un’identità basata sull’alterità radicale.

È una partita che ci mette di fronte alle nostre antiche carenze: non siamo mai riusciti a formare veri cittadini, a costruire uno Stato impermeabile al pervasivo secolarismo della Chiesa, a dare un senso attuale e progressivo al patrimonio storico e artistico delle nostre città. 

Ebbene, è venuto il momento di farlo. 

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Il 28 novembre 2014 il Sindaco di Firenze Dario Nardella ha rilasciato a Roma Today di Firenze la seguente dichiarazione: Sì alla moschea ma su percorso condiviso dai fiorentini“.

Immagine.Dario Nardella

Dario Nardella

Firenze ha già detto di sì alla realizzazione di una moschea”.

Anche perché, sottolinea, “ogni essere umano ha il diritto sacrosanto di pregare in un luogo deputato a questo. E dunque una città universale come la nostra non può rimanere sorda ad un appello di questo tipo”.

Dal punto di vista delle modalità e dei tempi, penso però che questo obiettivo va raggiunto con i fiorentini. Perché sono convinto che solo coinvolgendo la comunità locale si possa ottenere un risultato che non sia vissuto come un’imposizione o una provocazione, ma come il segno di quella interculturalità tipica della storia di Firenze”.

 

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