Articolo di Marco Boschini, coordinatore della associazione Comuni Virtuosi, pubblicato con questo titolo il 24 agosto 2010 su “Il Fatto Quotidiano”. I vigili hanno l’ordine di girare in bicicletta per inquinare meno, e gli scuolabus sono alimentati dal biodiesel derivato dall’olio che usano le nonne dei bimbi per friggere in cucina. Grazie all’ecoeuro, una moneta coniata dal Consiglio comunale dei ragazzi, le famiglie virtuose della comunità acquistano prodotti sfusi senza imballaggi, consumano prodotti locali e di stagione, si scambiano beni e saperi. La banca che fa affari d’oro si chiama “Banca del racconto”, e gli operatori attivano quelli che chiamano focolari narrativi per non disperdere col tempo l’enorme patrimonio di storia e memoria che portiamo ognuno dentro al nostro percorso di vita. Da un anno il comune si è convinto che il porta a porta non si fa solo in televisione, ma anche in oltre millecinquecento comuni italiani nella gestione dei rifiuti: le cifre di raccolta differenziata sono schizzate all’85%, e già il 20% delle circa 1.500 famiglie ha acquistato una compostiera domestica. Non contenti, gli amministratori ne hanno creata una di comunità, più grande, dove ogni cittadino può portare scarti alimentari che nel giro di qualche mese si trasformeranno in ottimo fertilizzante per gli orti urbani del paese. Grazie alla fontana pubblica che eroga l’acqua del sindaco, la comunità ha eliminato l’uso (e il trasporto) di circa 200.000 bottigliette da mezzo litro in PET, per non parlare della montagna di flaconi e contenitori vari messi al bando grazie alla vendita di prodotti alla spina (detersivi, alimentari, ecc.). Grazie alle modifiche introdotte nel regolamento edilizio, le case possono essere costruite o ristrutturate a patto che seguano specifiche prescrizione per il risparmio e l’efficienza energetica, e per dare il buon esempio una volta tanto i primi a far qualcosa sono stati […]
Archivi Giornalieri: 20 Febbraio 2015
Editoriale di Giorgio Nebbia pubblicato con questo titolo il 15 febbraio 2015 su “Eddyburg”. La grande esposizione universale di Milano sta viaggiando verso l’imminente inaugurazione (che avverrà il prossimo Primo Maggio) in mezzo a vasti dibattiti che vanno dalle speranze di crescita del prestigio internazionale dell’Italia produttiva e dell’arrivo di soldi in modo da alleviare la nostra crisi economica, alle critiche sulla organizzazione e a domande su quello che succederà dei vasti spazi occupati dall’EXPO quando sarà finita. In questi dibattiti, a mio parere, si parla poco della vera finalità dell’esposizione che, come dice il nome, dovrebbe proporsi di ”esporre” i mezzi per raggiungere i grandi generosi obiettivi di “Nutrire il pianeta” e di assicurare “Energia per tutti”. L’EXPO 2015 rientra nel filone delle esposizioni e fiere merceologiche che si propongono di far conoscere e diffondere manufatti e tecnologie sviluppate nei vari paesi. Per “nutrire il pianeta” occorrono trattori e concimi, processi per trasformare i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia attraverso innumerevoli operazioni di conservazione e di modificazione fisica e chimica (si pensi alla trasformazione del latte in burro e formaggio, dei chicchi di grano in pasta e pane, delle carcasse degli animali in carne in scatola, dei pomodori in conserve, eccetera). E occorre acqua ricavata dalle sorgenti o distribuita dagli acquedotti, e energia, la merce per eccellenza ricavata da carbone o petrolio, da gas naturale o dal moto delle acque o dai pannelli fotovoltaici. E poi occorrono navi e camion che trasportano i prodotti ai supermercati e alle botteghe fino ai mercatini di villaggio, tutta una catena di scambi in cui si formano scorie e rifiuti inquinanti. Questa è la storia naturale del cibo che arriva alle famiglie e alla ristorazione collettiva. Le esposizioni di merci hanno radici antichissime da quando i mercanti hanno cominciato a presentare le proprie […]
Articolo di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci pubblicato con questo titolo il 15 febbraio 2015 su “La Repubblica”. Un regalo ai concessionari, l’ennesimo. Un danno agli utenti. C’è una partita da cinque miliardi di euro all’anno che si sta giocando in queste ore in Italia: la gestione delle autostrade. Una partita che ruota attorno a un articolo del decreto Sblocca Italia, il numero cinque, e che vede da una parte il Governo e dall’altra il presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, il quale ha già scritto una lettera al ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, e domani sarà ascoltato in commissione Ambiente alla Camera. «Se non si cambia quella norma — sostiene Cantone — si rischia che vengano affidate concessioni senza alcun tipo di procedura ad evidenza pubblica, in violazione, tra l’altro, dei principi di concorrenza ed economicità ». La storia, dunque. Grazie all’articolo 5 gli attuali concessionari (Benetton, Gavio, Toto oltre a una serie di enti locali pubblici e privati) potranno chiedere il rinnovo degli attuali permessi nel caso decidano di unificare la gestione di tratte interconnesse. «Il senso della norma — spiegano dall’Anticorruzione — è dare la possibilità di accorpare le concessioni, che al momento sono 25 e fruttano in media cinque miliardi netti all’anno, per favorire gli investimenti e una riduzione delle tariffe al casello». Nei fatti però si può arrivare al risultato opposto. «Accorpando le concessioni si prende come data di scadenza, chiaramente, quella più lontana. Se ce n’è una che si chiude nel 2015 e un’altra nel 2025, la scadenza viene portata automaticamente al 2025 per entrambe. Di fatto è una proroga mascherata». Dei 25 concessionari, almeno 9 hanno il contratto in scadenza (ad esempio quello del gruppo Gavio per la Torino-Milano finisce nel 2017), e per l’Autobrennero è addirittura già scaduto nel 2014. Lontano invece […]