Non vale la pena

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo di Piergiorgio Paterlini, giornalista, scrittore, saggista, pubblicato con questo titolo il 7 aprile su “L’Espresso”.

  Immagine.Pier Giorgio Paterlini

Piergiorgio Paterlini

Per questo Paese, dico. 

Non vale la pena sbattersi. 

Non vale forse nemmeno la pena continuare a prendersela con la politica e con i politici, comunque impresentabili. 

Non che sia un discorso nuovo, lo so bene. 

Che la famosa “gente” non sia meglio dei politici che manda in Parlamento, che la classe politica sia (anche) specchio della società, che i rappresentanti siano come i rappresentati, non il Male appeso là in alto, chissà come, e noi, la base della piramide, i Buoni, non è analisi esattamente originale. 

Già Cuore, e prima di tangentopoli, se la prendeva con “la gente” più ancora che con la politica, con la “mutazione antropologica”, con il brutto e il cattivo che imperversavano in ogni angolo, e questa fu probabilmente la piccola rivoluzione che con quel giornale compimmo. 

Ma ci sono momenti in cui la vergogna di essere italiani (o forse esseri umani e basta, ma qui parliamo di esseri umani italici, non si scappa) è così visibile, schiacciante, incommentabile che appunto uno si chiede se valga la pena, e per chi, prima ancora del fatidico che cosa. 

Come si fa a leggere lo striscione contro la mamma di Ciro Esposito e non invocare su quello stadio i fulmini degli Dei?

 Immagine.Striscione contro la mamma di Esposito

Come si fa, ancora, ancora, e ancora a leggere (commentare) che dei genitori si sono lanciati in cori razzisti contro dei campioncini di calcio di 11 anni a Forte dei Marmi, calciatorini che giocavano “con” prima che “contro” i loro figli, come si fa senza avere voglia di espatriare, più per questo che per la mancanza di lavoro? 

E come si fa a credere ai propri occhi leggendo che ancora dei genitori di ragazzi sospesi da scuola perché avevano violentato un compagno  – sì violentato, non c’è un’altra parola, violentato poi filmato la violenza e postato il video sui social – che quei genitori, dunque, invece di interrogarsi sul proprio ruolo educativo e comunque prendere a sputi in faccia quelle bestie di figli li abbiano difesi, poveri cocchini di mamma, che le vittime erano loro, e che la punizione era troppo pesante per uno “scherzo da ragazzi”? 

Come si fa a leggere una storia del genere e non pensare che questo Paese, tutto, sia senza speranza, irriformabile come diciamo – giustamente – della politica? (Quando perfino un ministro come Stefania Giannini – dio mi perdoni, che, con tutto il rispetto, non le farei fare nemmeno la bidella – riesce a capire e a dire che se i genitori smettessero di difendere sempre la propria indifendibile progenie la scuola andrebbe meglio, capisco che il fondo lo abbiamo toccato, perché ha ragione il ministro, ovviamente). 

Incendiare la baracca, poi scappare. 

Forse bisogna fare questo. 

Per salvarsi. 

Salvarsi. 

Forse è rimasto l’ultimo dovere. 

Mettersi in salvo. 

Entrare nell’Arca, prima che il diluvio spazzi via ogni cosa. 

Se ne riparla fra un centinaio di anni, quando le acque si saranno ritirate e il sole sarà tornato a splendere. 

Ci fosse un solo giusto, a Gomorra  la città potrebbe ancora farla franca, scamparla, evitare la collera. 

Ma un giusto, uno solo, non si trova. 

E allora.

E allora, vieni via, vieni via con me. 

Via, via, vieni via di qui / niente più ti lega a questi luoghi / neanche questi fiori azzurri…

 

 

 

 

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