RICOSTRUIRE KOBANE LIBERATA : una speranza per tutta l’Umanità

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo le seguenti riflessioni che ci sono state trasmesse da Antonio Lupo di ritorno dal Kurdistan, dove ha incontrato un popolo che lotta e si difende, pur non parlando di eserciti, si organizza e vince.

Su questo stesso sito il 1 settembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo “Iraq-Siria, i 30 punti dei Wu Ming: è il PKK Kurdo che sta fermando gli islamisti dell’ISIS” (http://www.vasonlus.it/?p=6861)

Ad esso ha fatto seguito iI2 settembre 2014 un altro articolo dal titolo “La guerra all’#ISIS, il ruolo del #PKK e la zona autonoma del #Rojava” (http://www.vasonlus.it/?p=6875).

Entrambi i suddetti articoli danno il quadro di fondo entro cui vanno lette le riflessioni trasmesse.

Un esteso prato verde, qualche gruppetto di pecore sparse, alcune case basse. 

In un grande spazio erboso, migliaia di persone festeggiano l’arrivo della primavera, del nuovo anno, la promessa di fertilità della terra dopo l’inverno trascorso, in un tripudio di giallo, rosso e verde.     

È il Newroz, grande festa del popolo curdo. Siamo a Suruç (Kurdistan turco). 

Immagine.Newroz

Ad un paio di chilometri, si vede una collina con una alta antenna, ai suoi piedi si estende una città, o meglio, le macerie di una città.     

Su quella collina, qualche mese fa sventolava la bandiera nera dell’ISIS.   

La città è Kobanê, che la resistenza del popolo curdo, organizzato dalle brigate YPG e YPJ siriane (le brigate di donne partigiane di cui hanno parlano tutti i media occidentali), è riuscita a liberare dalle mani dei feroci invasori. 

Ma non chiamiamolo Stato Islamico” dicono i curdi “non concediamogli nessuna rappresentanza del mondo islamico che in verità non hanno.

Il Corano non permette che un mussulmano uccida una altro mussulmano, mentre loro lo fanno. Non sono Stato Islamico, sono solo Daesh (asini) !”. 

Abbiamo combattuto per liberare la nostra città” dicono ”ma anche per difendere l’intera civiltà dalla barbarie dei Daesh”.   

 Immagine.Daesh

Ora Kobanê vuole rinascere dalle proprie macerie, novella fenice, c’è già un progetto di ricostruzione ad impatto ambientale quasi a zero, che sarebbe tecnologicamente all’avanguardia.  

Ma al momento mancano l’acqua potabile, gli impianti delle fognature e di depurazione e la corrente elettrica. Le zone circostanti sono ancora piene di campi minati. 

Si teme l’arrivo del caldo che potrebbe far dilagare gravi epidemie (alcuni cadaveri sono ancora sotto le macerie). 

Kobanê è uno dei tre cantoni del Rojava, regione nel nord della Siria; a 35 km da Kobanê e nel cantone di Cizîre si combatte ancora. 

Abbiamo visto i campi dei profughi di Kobanê a Suruç ed altri, dove hanno trovato rifugio gli Ezidi (altra popolazione curda) che sono riusciti a scappare da Şengal, cittadina irachena ormai circondata dai Daesh, grazie ad un corridoio umanitario creato dai combattenti del YPG e YPJ. 

Sono campi creati dalle amministrazioni locali curde, grazie alla solidarietà popolare, tutti molto ben organizzati.  

Una grande differenza: parecchi profughi di Kobanê stanno già smontando le tende per tornare a ricostruire le loro case, invece molti dei profughi di Şengal non se la sentono di tornare nel loro paese, in Iraq, dove le donne sono state rapite e violentate dai loro “vicini” di casa, prima ancora che arrivassero i Daesh!  

Abbiamo visto da lontano l’enorme campo profughi gestito dal governo turco, circa 16.300 persone, presidiate da oltre 330 guardie armate, più simile ad un carcere che ad un campo profughi, lontano dal paese, dove solo una delegazione di osservatori accreditati dall’ONU è potuta entrare. 

Una giovane donna italiana, avvocata, che ne faceva parte, ci ha detto che le tende, il vitto, tutto, è molto più scadente rispetto ai campi gestiti dalle municipalità. 

Abbiamo avuto l’onore di incontrare la co-presidente del Rojava (co-presidente perché tutti gli incarichi sono affidati sia ad una donna che ad un uomo – il confederalismo democratico prevede che ogni sesso abbia una rappresentanza almeno del 40%). 

I curdi sono un grande popolo ed hanno un leader, Abdullah Öcalan, riconosciuto ed amato da tutti loro, in carcere da 15 anni, anche per responsabilità dell’Italia che nel 1999, in seguito alle pressioni dei governi di Turchia e USA, durante il governo D’Alema, lo ha estradato in Kenya, dove è stato catturato.

Negli ultimi anni Öcalan ed il PKK turco (Partito dei Lavoratori Curdi) hanno rielaborato il progetto di liberazione del popolo curdo, ispirandosi al Confederalismo Democratico, che vuole superare l’idea di Stato Nazione.

I concetti chiave del Confederalismo Democratico sono:

  • la partecipazione democratica diretta della società civile, anche nella gestione delle risorse che appartengono al popolo e nell’economia, che deve essere indirizzata al bene sociale e non verso l’accumulazione del capitale ed il consumismo;
  • la parità donna/uomo;
  • la tutela dell’ambiente.

Per realizzare il Confederalismo Democratico, sostenere la resistenza di Rojava e la ricostruzione di Kobanê è indispensabile il sostegno internazionale, il NOSTRO sostegno. 

Cosa possiamo fare?  

Certamente almeno due cose:                                                                              

1) sostenere la campagna già esistente per chiedere la liberazione diÖcalan e fare pressione perché il PKK sia tolto dalla lista delle organizzazioni terroristiche (anche da quella UE).                                       

La liberazione di Öcalan sta al processo di pacificazione in Turchia, come quella di Mandela è stata per il Sudafrica.

2) aiutare la ricostruzione, inviare fondi per Kobanê, lasciando decidere a loro quali sono le priorità (vedi “Rapporto sulle necessità urgenti ed essenzialai a Kobanê”).

Immagine.Ricostruire Kobane

Coordinate bancarie per donazioni:

IBAN: IT63 P033 5901 6001 0000 0132 226

Conto: 1000 / 00132226 Intestato a Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus

 

 

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