Cittadinanza inclusiva, se il Papa vede l’arte come la via maestra

 

Il Papa e Shagall.

Un Papa cittadino: è questa l’immagine, davvero inedita, con cui Francesco si è presentato tra noi.

Abbiamo conosciuto pontefici condottieri e pontefici teologi: ma Francesco è il primo Papa che mostra di aver profondamente introiettato i valori della democrazia, considerando anche se stesso come membro della comunità civile, oltre che di quella religiosa.

I credenti sono cittadini – ha scandito ieri Francesco – E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta“.

Arte e cittadinanza!

Quanto si vorrebbe veder affiorare questo nesso essenziale sulle labbra di chi governa il nostro Paese, e la nostra città.

Un nesso che – per Francesco – non è reso esclusivo o parziale dalla terza forza che ha invocato: quella per lui più importante, quella della fede.

Il Papa si è fatto portare in Battistero l’opera d’arte che ama di più, il Crocifisso bianco di Marc Chagall: e qui non conta il giudizio estetico o storico artistico, conta il fatto che quel Gesù non è stato pensato e dipinto da un cristiano, ma da un ebreo, che per di più aveva partecipato alla Rivoluzione Russa del 1917.

Crocifisso bianco di Shagall.

E da un ebreo nel 1938: dietro al Cristo si vedono le sinagoghe in fiamme, i patriarchi dell’Antico Testamento che urlano il loro dolore per il Popolo Eletto che precipita nell’Olocausto, l’Armata Rossa come unica speranza di riscatto.

Bergoglio vede dunque davvero l’arte come una via maestra per costruire una cittadinanza inclusiva. Pochi giorni fa un giornalista ‘di strada’ olandese ha chiesto al Papa: «Il Suo omonimo San Francesco scelse la povertà radicale e vendette anche il suo evangeliario. In quanto papa, e vescovo di Roma, si sente mai sotto pressione per vendere i tesori della Chiesa?»

Il papa ha risposto così: «Questa è una domanda facile. Non sono i tesori della Chiesa, ma sono i tesori dell’umanità. Per esempio, se io domani dico che la Pietà di Michelangelo venga messa all’asta, non si può fare, perché non è proprietà della Chiesa. Sta in una chiesa, ma è dell’umanità. Questo vale per tutti i tesori della Chiesa».

È una risposta straordinariamente importante: tanto più se si rammenta che, nel 1978, Paolo VI tentò di vendere proprio la Pietà vaticana di Michelangelo, lacerato dall’immagine di se stesso seduto su un trono dorato mentre il mondo moriva di fame.

Ma ora Francesco dice tre cose nuove.

La prima è che non c’è solo la fame materiale: se quel Michelangelo rimane di tutti, può saziare la fame di conoscenza e cultura anche dei più poveri, che è una fame di eguaglianza e giustizia.

La seconda è che sulle opere sacre in proprietà della Chiesa c’è una sorta di superproprietà collettiva morale e spirituale di tutta l’umanità (e dunque anche dei musulmani, degli atei, davvero di tutti), e che questa superproprietà vincola le scelte, e limita la libertà del proprietario giuridico: e questa è un’assoluta novità nel rapporto tra la Chiesa e i suoi tesori d’arte.

La terza è che il patrimonio culturale non è riducibile al mercato: letteralmente e funzionalmente.

Il denaro non può comprare tutto, e il patrimonio culturale non può e non deve essere mercificato, se vogliamo che continui a renderci esseri umani.

Lo dice anche la Costituzione, ma in Italia sembriamo averlo dimenticato.

Il Papa venuto dalla fine del mondo parla a Firenze, al suo rapporto malato con l’arte del passato ridotta a merce.

Come dice lui stesso, è una denuncia ed è una proposta: accogliamole entrambe, e niente sarà più come prima.

(Articolo di Tomaso Montanari pubblicato con questo titolo l’11 novembre 2015 sulla cronaca di Firenze del quotidiano online “la Repubblica”)

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