Il ministro Fekl: “Ecco perché all’Italia, come alla Francia, conviene dire no al Ttip”

 

Ministro Fekl

Matthias Fekl

NOI francesi e voi italiani abbiamo molti interessi in comune, ma gli americani non vogliono ascoltare.

E noi, possiamo forse accettare che le cose non cambino?  

Se le condizioni sono queste, allora diciamo di no al trattato di libero scambio tra Europa e Usa“. 

Così parla la Francia, o meglio così parla Matthias Fekl, il 37enne che da Parigi regge le fila del dossier “Ttip”.

Il segretario di Stato per il commercio estero è al fianco di François Hollande in quella che chiama “la lotta“, e che lui combatte, diplomaticamente, dal Quai d’Orsay.

Gli americani devono aprire di più i loro mercati“, dice Fekl, che spiega le ragioni della contrarietà di Parigi al Ttip: le troppe poche concessioni fatte dagli Usa, la difesa del made in France (o del made in Italy) e di “una certa qualità della vita“, la tutela dell’ambiente e dell’accordo sul clima, l’equità, la trasparenza dei negoziati.

Perché la Francia dice “no” al Ttip?

Gli europei danno la sensazione, a volte, di considerare un onore il fatto stesso di negoziare con gli Usa, senza considerare con concretezza e precisione se i negoziati vanno o no in una direzione favorevole per le nostre economie.

Ad oggi, gli europei hanno fatto molte offerte assai precise, gli americani invece non hanno dato alcun segnale positivo.

Allo stadio attuale dei negoziati, ci sono ragioni di fondo per dire forte e chiaro ‘no’ al Ttip“.

Potenzialmente l’accordo può essere vantaggioso per l’Europa?

È una battaglia diplomatica in cui Francia e Europa hanno interessi ben definiti.

È nostro interesse che Ue e Usa lavorino insieme per fissare i grandi standard commerciali del secolo, perciò negoziamo.

Ma non ci sarebbe nulla di peggio che subire regole definite altrove, senza che Francia o Italia abbiano diritto di parola.

L’Europa è la prima potenza commerciale al mondo: deve affermarsi come tale, far valere i suoi interessi e la sua idea di società.

È una lotta.

Lo ha detto molto bene su Repubblica Carlo Petrini: spetta a noi difendere una certa idea di ‘qualità della vita’.

Spero che il dibattito sul Ttip avvii una presa di coscienza europea“.

Anche l’Italia ha buoni motivi per dire no al Ttip? Quale presa di posizione auspica dal nostro governo?

Francia e Italia hanno molti interessi in comune, interessi che non vengono tenuti abbastanza in conto.

Anzitutto, entrambi abbiamo a cuore le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche. Questa è una gran posta in gioco, ma gli americani non ne vogliono sapere!

L’Italia ha 280 prodotti a denominazione d’origine protetta (esclusi gli alcolici).

È il più gran numero d’Europa!

E non sono protetti, negli Usa.

Un rapporto di Montecitorio stima che, sui 24 miliardi di euro annui del giro d’affari di alimenti spacciati per essere italiani, solo 3 miliardi lo sono davvero.

È un problema che anche la Francia conosce bene.

Possiamo accettare che le cose non cambino?

Poi c’è la questione della reciprocità: i mercati pubblici europei sono aperti al 90% e passa, quelli Usa a meno del 50%.

Si tratta di una sfida chiave per le piccole e medie imprese, per le Pmi e le Eti dei nostri Paesi.

Perché i negoziati procedano, gli americani dovrebbero accettare di aprire di più il loro mercato.

Non c’è abbastanza coscienza, in Europa, delle restrizioni imposte ai nostri prodotti: non possiamo neppure esportare yogurt e burro, noi, negli Usa!

La Francia, nell’opporsi a “un certo tipo di libero scambio”, invoca anche la questione ambientale.

Le regole del commercio internazionale devono incorporare anche i vincoli per la protezione dell’ambiente: è cruciale.

Non avrebbe alcun senso aver plaudito al successo diplomatico dell’accordo sul clima di COP21 se poi, poco tempo dopo, venisse firmato un trattato che di fatto lo smantella.

L’ambiente è il tema del secolo: ho proposto ufficialmente alla Commissione che, negli accordi commerciali, le disposizioni ambientali e sociali vengano ritenute altrettanto vincolanti di quelle puramente commerciali“. 

Merkel ha detto che è favorevole ad accelerare i tempi dell’accordo. Come giudica questa presa di posizione?

Per quel che ci riguarda, non abbiamo alcuna intenzione di sacrificare la sostanza in nome del calendario“.

La Francia dice no, allo stadio “a noi noto” dei negoziati. E’ come ammettere che c’è un problema di trasparenza dei negoziati?

Alla crisi democratica europea bisogna rispondere con la trasparenza a tutti i livelli.

Succede troppo spesso, oggi, che le lobby scavalchino i cittadini e persino i parlamentari nell’accesso alle informazioni.

È inaccettabile: io sono per gli “open data” nei negoziati commerciali.

Se non puoi assumerti la responsabilità di un accordo davanti al popolo europeo, allora vuol dire che non va negoziato!

Attivisti e intellettuali hanno ragione a sostenere che il Ttip rappresenti un problema anche in termini di equità e democrazia ? Con il Ttip, dicono, un privato potrà far causa a un governo se ritiene i suoi interessi lesi: il riferimento è ai tribunali privati Isds (Investor-State Dispute Settlement), e alla versione alternativa, gli Ics (Investment Court System). E’ vero che il Ttip antepone gli interessi delle multinazionali ai diritti dei cittadini?

Questo è uno dei temi su cui c’è ancora una forte divergenza con gli Stati Uniti.

La Francia ha proposto di archiviare definitivamente il sistema ‘Isds’, che non era più accettabile proprio per le ragioni che lei ha richiamato.

Con l’aiuto di numerosi Stati membri tra cui l’Italia, la proposta alternativa francese è ormai nel cuore delle richieste europee, affinché vengano instaurate vere e proprie “Corti pubbliche d’investimento” (al posto dei tribunali privati).

Con l’elezione di Trudeau in Canada, questa proposta progressista è stata accolta nel Ceta, l’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Canada.

Ci aspettiamo che gli Usa facciano lo stesso, ovvero che accettino l’idea di una Corte pubblica multilaterale.

Con la globalizzazione degli scambi, serve anche quella delle regole.

Su questo l’Europa tiene saldo il proprio ruolo: dobbiamo far valere i nostri principi e valori per il futuro“.

 

(Articolo di Francesca Debenedetti, pubblicato con questo titolo l’11 maggio 2016 sul sito online de “la Repubblica”)

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