Il Consiglio di Stato afferma la predominanza del paesaggio sull’attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi

 

Cormorano

Pronuncia di grande interesse da parte del Consiglio di Stato in materia di tutela ambientale e ricerche ed estrazione di fonti energetiche di natura fossile.

Con la sentenza Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2016, n. 3059 ha confermato quanto statuito in primo grado con sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 2 ottobre 2015, n. 1057, respingendo il ricorso della Saras s.p.a. contro la dichiarazione di improcedibilità (prot. n. 19132 del 9 settembre 2014) emessa dal Servizio S.A.V.I. della Regione autonoma della Sardegna quale drastica conclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativa al progetto di perforazione esplorativa per la ricerca di gas naturale a due passi dallo Stagno di S’Ena Arrubia.

Il Giudice amministrativo di appello ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso della Società energetica, accogliendo le argomentazioni della Regione autonoma della Sardegna, del Comune di Arborea e dell’interveniente associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus con un’ampiamente argomentata gamma di motivazioni, a iniziare dalla presunta tardività della pronuncia regionale di improcedibilità: “nessuna illegittimità dal punto di vista procedimentale è configurabile se la valutazione negativa sia stata espressa non già in sede di esame preliminare dell’istanza di valutazione di impatto ambientale, ma all’esito di un approfondimento istruttorio. Infatti, il giudizio risulta in questo modo maggiormente ponderato, a tutela degli interessi della Saras stessa ad un esame non superficiale del proprio progetto”.

Il Consiglio di Stato fa giustizia anche della tesi secondo cui “la valutazione di impatto ambientale negativa non possa fondarsi su aspetti diversi da quelli propriamente ambientali”, differenziando le materie “ambiente” e “paesaggio”.   

Il massimo Consesso di Giustizia amministrativa segnala un vero e proprio sintetico compendio del tema: “sul piano definitorio ambiente e paesaggio sono concetti fortemente compenetrati, al punto che il secondo costituisce l’aspetto visibile del primo.  

‘Paesaggio’’ indica «la morfologia del territorio», cioè «l’ambiente nel suo aspetto visivo» (cfr. Corte cost., 21 ottobre 2011, n. 275; 22 luglio 2009, n. 226, 30 maggio 2008, n. 180; 7 novembre 2007, n. 367; 5 maggio 2006, n. 182 e 183; 14 dicembre 1993, n. 430; 11 luglio 1989, n. 391; 30 dicembre 1987, n. 641).  

Entrambi rappresentano profili strettamente connessi della salvaguardia della preesistenza del contesto naturale e si correlano a esigenze primarie dell’individuo, trovando ciascuno un fondamento costituzionale nell’accezione ampia di tutela del paesaggio (art. 9), per la complessità dell’ambiente in combinazione con quella della salute (art. 32)”.   

E ancora: “a questo riguardo, è da richiamare la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale espressasi con riguardo all’art. 9 o al riparto di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni nella materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», enumerata alla lett. s) del secondo comma dell’art. 117 Cost. (tra le altre si ricordano – oltre le già citate – le sentenze 23 marzo 2012, n. 66; 23 giugno 2008, n. 232; 30 maggio 2008, n. 180; 6 febbraio 2006, n. 51)”.

La stessa giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che nell’ambito della valutazione di progetti aventi impatti ambientali, enti e amministrazioni pubbliche competenti “siano titolati ad esprimere il loro giudizio anche su profili di carattere paesaggistico”.[1]

Né le opere proposte dalla Società energetica potrebbero qualificarsi meri “volumi tecnici” autorizzabili ai sensi dell’art. 12 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero, promulgato con decreto Presidente R.A.S. 7 settembre 2006, n. 82): infatti, l’art. 12 delle N.T.A. ”permette negli ambiti tutelati dal piano, tra cui la fascia costiera, interventi edilizi di manutenzione e consolidamento statico, ed inoltre di ristrutturazione e restauro, a condizione che essi non incrementino la volumetria esistente o alterino lo stato dei luoghi”.

Solo in tali casi ristretti ”è consentita la realizzazione di eventuali volumi tecnici di modesta entità, strettamente funzionali alle opere e comunque tali da non alterare lo stato dei luoghi”.                         

La nozione di “volume tecnico” recepita dal P.P.R. “corrisponde dunque a quella ampiamente consolidata presso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui rientrano in essa solo le opere prive di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, ma destinate in via esclusiva all’alloggiamento di impianti serventi rispetto alla costruzione principale (es.: impianto idrico, termico, ascensore), purché in ogni caso di ridotta consistenza volumetrica (da ultimo: Cons. Stato, VI, 31 marzo 2014, n. 1512; 8 maggio 2014, n. 2363; 21 gennaio 2015, n. 175;¸13 maggio 2016, n. 1945)”.

Privi di pregio anche i riferimenti a supposte analogie fra  “le infrastrutture autorizzabili in fascia costiera ed il pozzo esplorativo progettato dalla Saras”: infatti, “sussiste una differenza sostanziale, data dal fatto che quest’ultimo è «funzionale al rinvenimento di materie prime da utilizzare in separato ciclo produttivo (anche non necessariamente “soltanto energetico”: si pensi alla produzione di derivati plastici del petrolio, che proprio Saras s.p.a. esercita notoriamente in Sardegna)».”    

Ricorda il Consiglio di Stato, riprendendo un ragionamento già svolto dal T.A.R. Sardegna, “l’elemento determinante per escludere che il pozzo possa essere assimilato alle infrastrutture realizzabili in fascia costiera sarda è il fatto che il primo ha carattere autonomo (cioè appunto, produttivamente «separato») e non è necessariamente finalizzato come le seconde a servire attività che fanno esse fronte a esigenze della collettività, le sole che secondo le scelte pianificatorie in esame consentono un limitato sacrificio del bene-paesaggio rispetto ad attività antropiche di trasformazione territoriale”.

Men che meno si può ritenere che “anche il pozzo esplorativo in questione risponde ai bisogni della collettività, essendo funzionale al processo di «metanizzazione della Sardegna»”: l’art. 102 delle N.T.A. del P.P.R. consente esclusivamente eventuali infrastrutture e anche “dalla nozione di comune esperienza si ricava infatti la necessità che, per trattarsi di “infrastruttura”, la finalizzazione della struttura sia mediata, e cioè che questa rappresenti un’opera fisica servente a un complementare servizio pubblico o a una complementare attività economica, questi svolti essenzialmente e in modo diretto ad utilità della collettività.  

Ciò che nel caso del gas metano si addice di certo agli impianti di distribuzione dell’idrocarburo presso l’utenza, ma non già ad un pozzo esplorativo che per sua natura è solo prodromico all’avvio, industrialmente autonomo, della successiva estrazione e commercializzazione da parte della società privata titolare del permesso di ricerca”.

Nemmeno i rimanenti motivi di ricorsi, vertenti su aspetti secondari, e l’istanza risarcitoria hanno, quindi trovato accoglimento presso il Consiglio di Stato, segnando una pagina giurisprudenziale importante per una migliore salvaguardia del Bel Paese. 

Dott. Stefano Deliperi

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[1]  Vds. Cons. Stato, Sez. IV, 24 marzo 2016, n. 1225; 20 maggio 2014, n. 2569; 9 gennaio 2014, n. 36; 24 gennaio 2013, n. 468; Cons. Stato, Sez. V, 9 aprile 2015, n. 1805; 12 giugno 2009, n. 3770; Cons. Stato, Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4775; 26 marzo 2013, n. 1674.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo oggi 16 luglio 2016 sul sito online del “Gruppo d’Intervento Giuridico”)

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