Giusto il biglietto se serve a salvare i nostri tesori

 

In decisioni come queste non esistono un torto e una ragione, nemmeno un meglio e un peggio, tutti sono animati dalle migliori intenzioni, divisi solo da due concezioni, forse potrei dire da due urgenze. L’annuncio di far pagare un biglietto per il Pantheon ha suscitato polemiche, vivaci quelle dell’assessore Luca Bergamo da noi intervistato ieri.

Gli aspetti pratici della questione sono parecchi e vanno chiariti.

Il Pantheon è arrivato quasi intatto fino a noi perché usato come chiesa dai primi cristiani – Bernini si portò via i bronzi per farne il baldacchino di San Pietro, ma pazienza.

Ancora oggi il monumento è anche una chiesa ed è opportuno distinguere il turista dal fedele; sarà logisticamente possibile farlo?

Oppure: far pagare un biglietto implica ingaggiare il personale addetto e predisporre una biglietteria.

Sarà possibile una collocazione che non offenda il monumento né quel gioiello della piazza antistante? Spero che prima dell’annuncio gli uffici ministeriali abbiano impostato la soluzione di questi e di altri possibili problemi.

Resta il merito delle obiezioni, in particolare quella dell’assessore Bergamo, che può essere riassunta in questi termini: Roma non è un museo per turisti, il ministro guarda al patrimonio della città «come a un giacimento da sfruttare per la bigliettazione» (sic).

Altrove Bergamo ha anche aggiunto che «si può fare molto di più e di meglio che un parco archeologico nell’area centrale di Roma».

Muove l’assessore una nobilissima visione idealistico-romantica.

Dietro le sue parole traspare l’immagine di Chateaubriand che contempla immalinconito la mole del Colosseo illuminato da una pallida luce lunare.

Ho fatto a tempo a conoscerla anch’io la Roma di quando le rovine erano parte stessa della città, il fascino del Grand Tour poggiava anche su questo: la vita brulicante e chiassosa nelle strade e il grandioso silenzio del passato.

Quella Roma, quel silenzio, quella convivenza non ci sono più né torneranno più.

Viviamo in anni in cui ovunque nel mondo, in particolare a Roma, è difficile perfino garantire la normale, ordinaria protezione dei monumenti – di manutenzione a Roma non è nemmeno il caso di parlare.

Quando attraverso a piedi Valle Giulia, Villa Borghese, il Pincio e vedo gli scempi commessi durante la notte mi chiedo sempre se sia una fatalità a volere una capitale così derelitta o se dipenda solo da un’amministrazione incapace o sopraffatta dagli eventi.

Presa ogni possibile precauzione, coordinati gli intenti tra Stato e Comune, ricavare un profitto da alcuni monumenti per destinarlo ad altri monumenti in un momento in cui le casse pubbliche sono vuote, mi sembra solo un volersi adeguare alla drammaticità del momento.

 

(Articolo di Corrado Augias, pubblicato con questo titolo il 13 gennaio 2017 su “la Repubblica”)

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