Le aree protette italiane ai tempi della post verità

 

Leggo il sottotitolo dell’allarme che il Wwf lancia in occasione dell’apertura delle consultazioni, alla Camera dei Deputati, sulla modifica della Legge quadro sulle Aree protette: “SE LA CAMERA NON CAMBIERA’ TESTO RIFORMA SU ALCUNI PUNTI ESSENZIALI POTREMO DIRE ADDIO AI PARCHI NAZIONALI” e faccio il classico salto sulla sedia.

Ohibò! Deve essermi sfuggito qualcosa perché il testo che ho in mano io, pur se criticabile e lacunoso, non mi era proprio parso rivolto all’assassinio dei parchi, men che meno di quelli nazionali.

Vado allora velocemente ai “punti critici evidenziati dal Wwf” per capire ciò che mi è sfuggito e trovo un elenco di lagnanze in dieci punti.

Lo esamino con la pignoleria dovuta alla gravità dell’allarme e alla rilevanza del tema che, per decennale attività amministrativa e professionale, penso di conoscere abbastanza in profondità.

Naturalmente la pignoleria comporta un po’ di lavoro e di pazienza, la stessa richiesta a chi volesse leggere queste note, che non possono evidentemente essere brevi come vorrei.

1 Al primo posto fra i pericoli del nuovo testo di legge il Wwf mette “la governance dei parchi con la mancanza di competenze specifiche per la gestione, la conservazione e la valorizzazione dei beni naturali e ambientali previste per la nomina del presidente e del direttore del parco e il difficile equilibrio nei consigli direttivi con l’ingresso nella componente riservata allo Stato di rappresentanti del mondo agricolo e la scomparsa della componente scientifica”.

Le cose stanno proprio così?

Vediamo.

Partiamo dal presidente.

Il testo incriminato prevede che il presidente debba essere “in possesso di comprovata esperienza nelle istituzioni, nelle professioni, ovvero di indirizzo o di gestione in strutture pubbliche o private”.

Forse è poco, ma è un grande passo avanti rispetto alla legge attuale che non prevede assolutamente nessun requisito per la carica in questione.

Il nuovo testo, inoltre, stabilisce una, fino ad oggi inesistente, “incompatibilità della carica di presidente con qualsiasi incarico elettivo, nonché con gli incarichi negli organi di amministrazione di enti pubblici.

Un altro passo avanti rispetto ad una situazione che, comunque, non sembra abbia portato fin qui alla cancellazione dei parchi nazionali.

Veniamo al direttore.

La sua nomina, da parte del consiglio direttivo, dovrebbe avvenire, secondo il nuovo testo, nell’ambito di una terna di soggetti, compilata a seguito di selezione pubblica, in possesso di laurea specialistica o magistrale, ovvero del diploma di laurea, e di particolare qualificazione professionale.

Alla selezione pubblica potranno partecipare dirigenti pubblici, funzionari pubblici con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica; persone di comprovata esperienza professionale di tipo gestionale; soggetti che abbiano già svolto funzioni di direttore di parchi nazionali o regionali per almeno tre anni nonché persone che abbiano esperienza di gestione di aree protette marine per il medesimo periodo.

Selezione pubblica tra persone qualificate, dunque.

E oggi?

Oggi la terna si fa scegliendo tra soggetti iscritti ad un albo di idonei all’esercizio dell’attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell’ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli.

Cioè, pescando da uno dei tanti albi che si vorrebbero far sopravvivere, costruito in anni ormai lontani e in base a criteri sui quali è bene stendere un velo pietoso, come sa chi ne fa parte, chi ha tentato o atteso invano di farne parte, chi lo critica da sempre.

E infine i consigli direttivi.

Lasciamo da parte il numero dei membri, che non sembra essere pericoloso.

Guardiamo alla designazione dei membri.

Nulla cambia, in pratica, per il 50 per cento di loro, che rimane competenza della Comunità del parco.

L’altro 50 per cento dovrebbe essere composto da esperti in materia naturalistica e ambientale, su designazione: nel caso di consigli direttivi con sei componenti, uno delle associazioni di protezione ambientale, uno del Ministro dell’ambiente e uno delle associazioni agricole nazionali più rappresentative individuato dal Ministro delle politiche agricole sulla base delle indicazioni provenienti dalle medesime associazioni; nel caso di Consigli direttivi con otto componenti, uno del Ministro dell’ambiente, uno dell’ISPRA indicato dal Ministro dell’ambiente, uno delle associazioni di protezione ambientale e uno delle associazioni agricole nazionali più rappresentative individuato dal Ministro delle politiche agricole sulla base delle indicazioni provenienti dalle medesime associazioni.

Cosa cambia rispetto ad ora?

Che il nominato dal Ministro delle politiche agricole deve essere espressione del mondo agricolo e che il rappresentante dell’Ispra è designato dal Ministro dell’Ambiente.

Bene, si può essere in disaccordo su queste modifiche (personalmente credo che in certi parchi l’economia agricola sia decisamente meno rilevante rispetto alla pesca) ma vedervi un attentato alla vita dei parchi sembra davvero eccessivo.

Riassumendo su questo punto: perché dovrebbero essere pericolosi una maggiore qualificazione dei presidenti, l’allargamento della platea – comunque qualificata e costruita con trasparenza – dei possibili direttori e una limitata partecipazione – migliorabile in quanto a rappresentatività – del mondo della produzione primaria?

2 Al secondo posto tra i motivi di allarme e pericolo il Wwf mette “le Aree Marine Protette, per le quali, nonostante insistano sull’ambito demaniale per eccellenza, il mare, non è previsto nessun ruolo nella gestione per lo Stato”.

Anche in questo caso, pur pensando che si possa fare di più e di meglio rispetto a quanto previsto, per esempio sulla strada della semplificazione, dell’uniformità e del coordinamento, non vedo come il più e il meglio potrebbe passare attraverso un ruolo attivo dello Stato nella gestione diretta.

Intanto perché stiamo parlando di aree che, in media, contano pochissime migliaia di ettari di mare, spesso ricadenti sotto le competenze di un solo comune; in secondo luogo perché la gestione dovrebbe attuarsi secondo una convenzione con il Ministero dell’Ambiente che ne definisce obblighi e modalità e prevede esplicitamente indirizzi e controlli da parte del Ministero stesso.

Insomma: Stato gestore?

Per me, no grazie!

Perché dovrebbe spaventare una gestione affidata prioritariamente ad un consorzio di gestione costituito tra enti locali, enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni di protezione ambientale riconosciute, come recita il testo?

Fino ad oggi si è visto ben di peggio e, nonostante tutto, le Aree Marine Protette sono ancora lì.

Forse così potranno vivere un po’ meglio in futuro.

3 Terzo punto: le dotazioni organiche dei parchi.

Preoccupa – dice il comunicato – il totale silenzio sul potenziamento della sorveglianza e delle dotazioni organiche dei parchi, drammaticamente insufficienti…

Dunque non è una eventuale nuova legge il pericolo su questo punto, ma la situazione attuale.

Non si può che essere d’accordo sull’inadeguatezza degli organici e sarebbe senz’altro opportuno che il testo non si limitasse, come ora, a stabilire chi approva le piante organiche, ma determinasse anche criteri logici e uniformi per la loro dotazione.

Ma perché non concentrarsi su questo, allora, invece di gridare ‘al lupo’ nei confronti della legge?

4 Quarto punto: le Riserve Naturali dello Stato “che, anche quando sono comprese all’interno dei parchi nazionali restano in capo al Ministero delle politiche agricole, con una evidente contraddizione gestionale”.

Sembra un punto messo lì per fare massa.

Non serve alcuna nuova legge per ordinare che la gestione delle Riserve dello Stato sia affidata ai parchi in cui sono comprese: le leggi lo prevedono già, e chiaramente, da decenni.

Serve un provvedimento regolamentare ed esecutivo.

Alcuni (pochi) governi lo hanno tentato; tutti hanno desistito sotto il fuoco incrociato di petizioni ‘ambientaliste’, di minacce di dimissioni di ministri (anche verdi), di interessi più o meno trasparenti.

Lo stesso Wwf è stato per tanti e tanti anni sordo (diciamo ‘sordo’ per amor di patria) di fronte alle richieste dei parchi nazionali.

Anche in questo caso, quindi, dove sta la pericolosità di una nuova legge?

Non sarebbe più semplice e limpido chiedere quel che serve a chi ha il compito di provvedere?

5 e 6 I punti cinque e sei – “la gestione della fauna” e il “Piano del Parco” sono semplicemente enumerati nel comunicato, senza alcuna spiegazione di merito.

E infatti non ne capisco la presenza poiché dal mio punto di vista non c’è alcun dubbio che la nuova normativa costituirebbe un passo avanti, rispetto alla situazione attuale.

Per quel che riguarda la gestione della fauna rafforzerebbe le capacità dei parchi di operare in difesa della biodiversità e secondo una programmazione fondata scientificamente.

Rispetto alla lacunosissima situazione attuale, infatti, il testo introdurrebbe la definizione di chiari piani di gestione, finalizzati al contenimento della fauna selvatica che può determinare un impatto negativo sulla conservazione di specie e habitat della rete “Natura 2000” e di specie della fauna e flora selvatiche o habitat ritenuti particolarmente vulnerabili.

Inoltre consentirebbe finalmente di procedere all’eradicazione o al contenimento di tutte le specie alloctone.

Considerando che i piani dovrebbero avere il parere obbligatorio e vincolante dell’ISPRA e che tutti gli interventi per la gestione dovrebbero avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza del parco ed essere attuati dal personale del parco o da personale autorizzato e abilitato con corsi di formazione validati dall’ISPRA, non si vede proprio dove stia il grave pericolo.

Per quel che riguarda il Piano del parco, oltre a superare l’incongrua duplicazione con il Piano economico e sociale, garantirebbe procedure più snelle e tempi certi per l’entrata in vigore dello strumento, rispetto ai molti lustri di attesa dei Piani mai adottati o mai approvati in passato.

Ben lontane dal costituire un pericolo, le modifiche in discussione farebbero del Piano uno strumento più moderno, cioè riferito a fattori che la più recente cultura ambientale ritiene indispensabili, come i servizi ecosistemici forniti dal territorio del parco, la valutazione delle pressioni e delle minacce per i valori naturali e culturali e per i servizi ecosistemici stessi, la migliore definizione degli obiettivi di conservazione, il mantenimento e il recupero degli ecosistemi e delle caratteristiche del paesaggio, delle attività agro-silvo-pastorali tradizionali direttamente connesse alla conservazione di specie selvatiche e agli habitat naturali, la promozione dell’agricoltura biologica e biodinamica.

Per non parlare dell’ottima, quasi rivoluzionaria, disposizione che estende alle aree contigue la potestà regolamentare del parco sulle attività consentite.

Riguardo alla procedura di approvazione del Piano, sarebbe semmai da cogliere un grave appesantimento, costituito dalla previsione della Valutazione ambientale strategica, svolta dalla stessa autorità – la Regione – che approva il Piano!

7 Il punto sette si riferisce all’utilizzo dei loghi/marchi del parco “che deve essere omogeneo”.

Il richiamo all’omogeneità è sempre opportuno, anche se in questo caso, ma è certamente una mia lacuna, non sono riuscito a riscontrare nel testo in discussione alla Camera elementi di disomogeneità.

Ho trovato d’altra parte una formulazione che supporta meglio e rafforza le tante (disomogenee) iniziative che i parchi hanno in questi anni assunto autonomamente in mancanza di riferimenti precisi.

Anche su questo aspetto, dunque, nessun rischio, anzi…

8 L’ottavo pericolo riscontrato dal documento è costituito dalle “royalties che devono confluire in un apposito fondo gestito dal Ministero dell’Ambiente, dedicato ad attività di conservazione”.

Per chi non lo sapesse, ci si riferisce al versamento di somme da parte di titolari di concessioni, autorizzazioni e attività ricadenti nell’area del parco (e, per alcune attività, anche nelle aree contigue).

Somme da considerarsi contributi alle spese per il recupero ambientale e della naturalità.

Qui va innanzitutto notato che è finalmente cessata la falsa denuncia, che ci ha afflitto per anni, della diabolicità di questi contributi.

Ora si prende atto che la norma non è preordinata all’apertura di nuove attività perché è esplicitamente riferita – come è sempre stata- a concessioni e autorizzazioni esistenti.

Ma soprattutto si concorda finalmente sul fatto che, visto che le concessioni e le autorizzazioni esistono e comportano un corrispettivo, è bene che questo corrispettivo vada in parte a chi deve preoccuparsi di contenerne, e possibilmente recuperarne, gli effetti ambientali.

Fino ad oggi tutti hanno avuto corrispettivi, tranne l’ambiente.

Ma per il Wwf, che finalmente accetta l’esistenza dei contributi, essi non dovrebbero andare ai parchi in cui si esercitano le attività in questione, ma a un fondo gestito dal Ministero dell’Ambiente.

Con quale logica, non è dato sapere.

Con buona pace delle risorse per i parchi, dell’autonomia degli enti parco, dell’ambiente specifico probabilmente compromesso dalle attività rischiose e, non ultimo, della lotta alla burocrazia.

9 Nono punto: il “silenzio assenso previsto dall’articolo 12 del testo approvato dal Senato è un punto di estrema delicatezza che rischia…” eccetera.

Scritto così sembrerebbe proprio di dover convenire.

Con la pratica del silenzio assenso sono state commesse numerose nefandezze nel nostro Paese.

Occorre giustamente vigilare.

Senonché, al contrario di quel che potrebbe apparire, nell’articolo 12 citato non si parla di silenzio-assenso da parte di un Ente gestore nei confronti di una persona fisica o giuridica che chieda il nulla osta per qualche attività, ma del silenzio-assenso che si introduce, a favore delle istanze – intese, pronunce o nulla osta – rivolte dalle Aree marine protette e dai parchi nazionali con estensione a mare, nei confronti di altre amministrazioni pubbliche!

Un atto dovuto e assai poco pericoloso, dunque.

Semmai, parlando sempre di silenzio assenso, sarebbe bene sottolineare con piacere che il nuovo testo consentirebbe di cancellare quello, davvero pericoloso e in vigore da anni, che riguarda il rilascio dei nulla osta da parte dei parchi.

10 Decimo e ultimo punto: “l’istituzione del Parco del Delta del Po, rispetto al quale non era necessaria una ulteriore previsione normativa”.

Anche questo è nell’elenco per far numero.

Abbiamo appena visto, al punto quattro, l’accusa alla nuova legge di non occuparsi del trasferimento ai parchi delle Riserve naturali dello Stato, già prevista da altre leggi.

Qui, all’inverso, c’è la critica per una decisione che la legge già prevede.

Non c’è solo contraddizione, c’è un doppio errore.

Di quello riguardante le Riserve ho detto (e aggiungo qui che lo Stato può agire senza problemi trattandosi di farlo nell’ambito delle proprie esclusive competenze); quello che invece riguarda il Delta del Po è presto detto: sul territorio del costituendo Parco del Delta insistono, da molti anni, i due parchi regionali veneto e emiliano-romagnolo.

Non può sfuggire che lo Stato debba preoccuparsi della relazione con essi, con le due Regioni interessate, con i rapporti giuridici instauratisi in questi anni.

Una delega al governo a provvedervi entro sei mesi non sembra, in definitiva, un attentato all’ambiente nazionale.

11 C’è dell’altro.

È stata una lunghissima trattazione, che immagino nessuno avrà avuto la costanza di seguire fin qui.

E gli amici del Wwf mi scuseranno se ho preso l’avvio dal loro documento; in effetti avrei potuto prenderne altri a caso fra quelli prodotti da molte associazioni in tutto questo tempo.

Eppure ci sarebbe ancora qualcosa (forse molto) da dire.

Ad esempio sul miglioramento – non completo, ancora – che il testo fa della classificazione delle aree protette (quelle terrestri con estensione a mare, quelle marine, quelle transfrontaliere); sull’integrazione – che non mi sembra venga risolta in modo definitivo – nel sistema nazionale delle aree della rete “Natura 2000”; sulla questione delle risorse – che non saranno comunque assolutamente certe, nemmeno con la nuova legge – alle quali si provvede in modo un poco più ordinato e con qualche innovazione; sull’incremento degli strumenti giuridici per l’operatività dei parchi; sulla pressione nei confronti delle Regioni al fine di contenere la deriva revisionista e banalizzatrice in materia di aree protette; sul recupero – un poco timido, in verità – ai parchi delle competenze in materia di paesaggio; sull’introduzione di un sistema volontario di remunerazione dei servizi ecosistemici; sulla istituzione dei Parchi nazionali di Portofino e del Matese (ma come, non si stanno uccidendo i parchi nazionali?).

E soprattutto sulla ricostituzione di quel Comitato nazionale delle Aree Protette e sulla – ancora troppo generica e lasca, a mio avviso – riproposizione di quella programmazione pluriennale e “di sistema” che erano stati cancellati nel 1998, con un vero atto di controriforma, nel più assoluto silenzio di tutti gli allarmisti di professione.

12 Domande.

Alla fine, però, vengono spontanee alcune domande.

A cosa servono allarmi come questo?

Perché sono così ambigui?

Perché troppo spesso puntano in modo corrivo sull’ignoranza dei contenuti e sul diffuso discredito delle istituzioni?

A cosa servono davvero?

E in questo caso: servono a salvare parchi nazionali falsamente minacciati o a salvare rendite di posizione?

 

(Articolo di Luigi Bertone, ex direttore di Federparchi e presidente del Parco regionale Ticino Lombardo, pubblicato con questo titolo il 13 gennaio 2017 sul sito online “greenreport.it”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas