Il dibattito di questi tempi sulla possibilità per l’Italia di uscire dalla moneta unica europea, sviluppatosi a vari livelli (e soprattutto politico, ma non solo), rischia di far perdere all’opinione pubblica il senso della realtà. Innanzitutto, è bene precisare che l’Euro, per tutti i Paesi che lo hanno adottato, è strettamente ed indissolubilmente ancorato al c.d. Patto di Stabilità, i cui due elementi fondamentali costituiscono le due facce della stessa medaglia: da un lato, il deficit non può superare il 3% del PIL, dall’altro il debito non può superare il 60% del PIL. Solo nel rispetto di questi parametri, fissati dal Trattato di Maastricht del 1992, l’Euro corrisponde ragionevolmente alla ricchezza reale (e non fittizia), costituita dalle riserve auree della BCE e delle Banche centrali dell’Eurozona e non rappresenta invece un valore solo approssimativo ed apparente e soggetto ad inflazione continua, fino a svalutarsi quasi completamente e a non rappresentare più nulla, come l’esperienza sudamericana di qualche decennio fa insegna. L’Italia ha aderito all’Euro, limitando la sua sovranità, come consentito da un principio fondamentale della Costituzione, nell’art. 11, in quanto teso ad assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Detta limitazione di sovranità, per la sua stessa natura e per il patto (appunto di stabilità) contratto con gli altri Paesi dell’Eurozona, è irrevocabile ed irreversibile (ciò che di recente il Governatore della BCE, Mario Draghi, ha opportunamente osservato in proposito vale ancor di più per l’Italia). L’uscita dall’Euro, che il nostro Paese dovesse in qualunque forma deliberare, costituirebbe pertanto una lesione di un principio fondamentale della Costituzione (come tale indisponibile per chiunque, siccome definitorio della forma repubblicana) e altro non sarebbe che un colpo di Stato. Ne consegue l’impossibilità giuridico – costituzionale, prima ancora che tecnica, di tale eventualità. Ma detta uscita sarebbe anche disastrosa, oltreché inutile […]