Emissioni di CO2 in Italia: bilancio e previsioni

 

Un allegato al Def fa il punto della situazione sulle emissioni di CO2 e sugli impegni di riduzione presi dall’Italia. Centrati i livelli previsti dal Protocollo di Kyoto, anche per la crisi economica, è più complesso il rispetto degli obiettivi al 2030.

Il quadro degli impegni italiani

La legge n. 39 del 7 aprile 2011 prevede che, in allegato a ogni Documento di economia e finanza presentato dal governo, sia pubblicato anche un breve resoconto redatto dal ministero dell’Ambiente sullo stato di attuazione delle azioni di riduzione dei gas-serra in ottemperanza degli impegni assunti dal nostro paese a livello europeo e internazionale.

Per l’ultimo Def, presentato l’11 aprile, il rapporto è contenuto nell’Allegato IV.
Passato il quinquennio 2008-2012, primo periodo di riferimento degli obblighi previsti dal Protocollo di Kyoto (il secondo periodo è il 2013-2020), gli impegni internazionali assunti dall’Italia si riassumono nell’Accordo di Parigi del 2015, che il nostro paese ha ratificato l’11 novembre 2016.

L’Accordo ha effetto dal 2020 e prevede che i paesi firmatari formulino un piano di riduzione delle emissioni denominato Ndc – Nationally Determined Contribution.

I paesi che, come l’Unione europea, hanno già formulato piani con obiettivi al 2030 sono chiamati a confermare gli impegni o aggiornarli entro il 2020.

In quanto paese membro, l’Italia è chiamata a dare il suo contributo alla riduzione delle emissioni di CO2 nell’ambito di due programmi dell’Unione europea, che stabiliscono entrambi obiettivi vincolanti.

Il primo è il pacchetto clima-energia che al 2020 prevede una riduzione delle emissioni del 20 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Il secondo è il quadro clima-energia che indica per il 2030 un taglio delle emissioni di almeno il 40 per cento rispetto a quelle del 1990.

Gli impegni europei si declinano poi in un obiettivo aggregato di riduzione per i settori che fanno parte del sistema di permessi negoziabili noto come Ets (Emission Trading Scheme), gestito centralmente da Bruxelles, e in uno nazionale per ogni stato membro relativo ai settori non-Ets (trasporti, civile, piccola industria, agricoltura, rifiuti).

Per l’Italia l’obiettivo è -13 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005 e -33% entro il 2030 su base 2005 (questa è ancora allo stato di proposta).

Il secondo obiettivo comprenderà la riduzione di emissioni derivanti dagli assorbimenti derivanti dall’uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura (essenzialmente cambiamenti della copertura boschiva-forestale).

La situazione delle emissioni

Gli obiettivi del primo periodo di Kyoto sono stati centrati, soprattutto a seguito del rallentamento dell’economia.

Secondo i dati di consuntivo presentati nel documento allegato al Def, per il successivo triennio 2013-2015 la situazione non è molto incoraggiante: mentre nel biennio 2013-14 continua il calo delle emissioni di CO2, nel 2015 la tendenza pare invertirsi.

Questo vale per industria (energetica e non), residenziale e commerciale, mentre i trasporti registrano una leggera diminuzione.

Dati preliminari mostrano che nel 2016 le emissioni complessive sono tornate a scendere, ma queste dinamiche non lasciano tranquilli, visto il perdurante stato depresso del ritmo dell’attività economica.

Viene da chiedersi cosa succederà quando la crescita riprenderà, come ci si augura, vigorosa.

Stando allo scenario di riferimento, l’obiettivo al 2020 dovrebbe essere raggiungibile, ma non vi è garanzia circa le tendenze al 2030, dove l’obiettivo è decisamente più ambizioso.

Considerazioni analoghe si possono ritrovare anche nel recente documento Enea.

Nonostante le numerose azioni attuate dal governo, minuziosamente elencate nell’Allegato del Def, l’esecutivo deve intervenire in maniera più decisa e incisiva di quanto fatto finora, soprattutto in relazione agli obiettivi collegati sulla penetrazione delle fonti rinnovabili e gli incrementi di efficienza energetica.

Intanto, registriamo la positiva notizia che il Def per la prima volta riporta, accanto al Pil, un indicatore di sviluppo sostenibile messo a punto dall’Istat, il benessere equo e solidale (Bes).

Un indicatore che si declina provvisoriamente in quattro componenti: il reddito pro capite, il tasso di mancata partecipazione al lavoro, l’indice di distribuzione del reddito e le emissioni di gas-serra pro capite.

Per queste variabili, il Def presenta dati a consuntivo per il 2014-2016 e tendenziali nonché obiettivi programmatici per il 2017-2020.

Mostrano un sostanziale miglioramento degli indicatori considerati – in particolare, la disuguaglianza evidenzia un calo significativo, frutto della crescita dell’occupazione e dell’efficacia delle misure messe in campo in questi anni. Fanno però eccezione le emissioni, che risentono appunto degli effetti della ripresa economica.

In sostanza, benino finora, ma previsioni di cielo da velato a nuvoloso.

 

(Articolo di Marzio Galeotti e Alessandro Lanza, pubblicato con questo titolo il 27 aprile 2017 sul sito “lavoce.info”)

 

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