12^ Giornata nazionale “Mangiasano – grani antichi: per un’agricoltura che tutela la salute e l’ambiente”

 

RENDE (CS) – L’evento organizzato dall’Associazione Verdi Ambienti e Società (VAS), ha visto la partecipazione di Pino Boccia, coordinatore dell’Associazione VAS per Cosenza e Rende, Melio Cordoano, produttore di grani antichi di Altomonte, Mario Coscarello del Centro Studi per lo sviluppo rurale UNICAL e Rosanna Labonia, Dirigente SIAN Rende – ASP Cosenza.

Nel suo intervento introduttivo Pino Boccia ha ricordato che l’associazione ambientalista anche quest’anno riprende la sua campagna focalizzata sul mangiare sano con un’attenzione particolare verso le nuove produzioni dei cosidetti “grani antichi”, processi di coltivazione oramai abbandonate a favore di una produzione agricola industrializzata di grani che garantiscono grandi rese ma scarsa qualità nutrizionale.

I vecchi grani, coltivati fino a 70 anni fa soprattutto qui nel sud dalla Sicilia alla Puglia, contengono, invece, meno glutine e risultano più digeribili.

Per questo, ha proseguito Boccia, ben vengano questi progetti di produzione alternativa che consentono di mangiare bene e mangiare sano, senza dimenticare che in questo modo si privilegia la filiera corta e i produttori locali, il processo produttivo e il prezzo trasparenti.

È intervenuto, successivamente Mario Coscarello, sociologo dell’ambiente e del territorio all’Unical, che ha ricordato: “l’associazione “Il seme che cresce” propone un modello di produzione finalizzata a tutelare e nel contempo a salvaguardare un’agricoltura naturale e biologica diversa da quella agroindustriale.

L’obiettivo principale dell’associazione è di ricostruire la filiera produttiva del bene primario, il grano, alla base della nostra alimentazione attraverso la costruzione di un percorso trasparente che veda coinvolti diversi piccoli produttori locali.  

C’è bisogno – ha proseguito Coscarello – di ritornare alle conoscenze della nostra storia contadina, di trovare il modo di tutelare l’ambiente, i lavoratori del settore e di ottenere alla fine del processo un cibo sano a un prezzo equo”.

Dobbiamo chiederci – ha aggiunto Coscarello – se il cibo debba essere considerato solo una merce o un diritto per noi consumatori.  

Nel primo caso dobbiamo esercitare questo diritto potendo scegliere una produzione che riesca a salvaguardare la biodiversità agricola e, nel contempo, salvaguardi la qualità nutrizionale.

Nel secondo caso avremo solo conseguenze negative sulla nostra salute a fronte di una ricerca del profitto da parte delle multinazionali alimentari.  

Queste –  afferma Coscarello – è certo che non si pongono assolutamente il problema della ricerca della qualità ma seguono solamente la logica di una produzione industriale che garantisca redditività a fronte di cibo, anche se a prezzi bassi, di scarsa qualità nutrizionale”.

L’esperienza portata avanti dall’associazione ragiona, invece, più sulla quantità da produrre in base alle esigenze dei compratori piuttosto che sul prezzo, richiamando processi già avviati in altri paesi nei quali il produttore si accorda con il consumatore per produrre e trasformare in maniera logica e partecipata.

Riportando, poi, sullo stesso piano gli interessi del consumatore e del produttore e rendendo trasparente l’intero processo si riesce a evidenziate eventuali criticità.

Ad esempio, per risolvere la produzione di imballaggi di plastica da riciclare successivamente si è deciso di produrre pasta sfusa, venduta con un etichetta a parte contenente tutti i dati richiesti per legge, e di fatto è stata eliminata totalmente la plastica dell’imballo.

I consumatori, da parte loro, si sono organizzati con contenitori propri accentando in pieno questo esperimento produttivo.

Contro un prodotto industriale, infine, che massimizza i costi ma offre prodotti di provenienza ignota e di scarsa qualità nutrizionale viene offerto, invece, un prodotto più digeribile, con meno glutine e con più capacità nutrizionali.

La dottoressa Labonia, dirigente del SIAN (Igiene, Alimenti e Nutrizione) dell’ASP ha messo in evidenza il fatto che in questi ultimi anni gli alimenti sono cambiati perché sono mutate le materie prime e ciò è dovuto sopratutto ai repentini cambiamenti climatici che costituiscono una criticità mondiale.

Ma a fronte di un problema di queste proporzioni, da parte delle multinazionali del settore alimentare e agricolo, si preferisce non investire nella ricerca delle cause di tali radicali cambiamenti dell’ambiente ma si adeguano tecniche e prodotti ai mutamenti climatici.

Secondo la dottoressa Labonia esiste una soluzione che può costituire una vera e propria inversione di rotta: l’adozione dell’ecologia della nutrizione o nutrition ecology, una scienza interdisciplinare che studia tutti i vari passaggi della catena alimentare e ne valuta gli effetti non solo sulla salute dei consumatori ma anche sull’ambiente, la società e l’economia.

Le dimensioni dell’ecologia della nutrizione sopra dette sono la base per valutare la sostenibilità di uno stile alimentare.

Quando si parla di “sicurezza alimentare”, nei paesi industrializzati, si pensa soltanto alla qualità del cibo intesa come contenuto nutrizionale e come controlli sanitari sulla presenza di patogeni e contaminanti.

Ci si occupa cioè di sicurezza alimentare nei confronti dei consumatori, ma solo a breve e brevissimo termine, trascurando invece gli aspetti ben più importanti e complessi quali appunto la salute umana a lungo termine, l’impatto sull’ambiente e sulla società intera, in breve, la sostenibilità.

Un esempio di questo tipo è rappresentato, ad esempio, dall’utilizzo massiccio di un pesticida pericolosissimo che compare con la coltivazione dei nuovi alimenti OGM: il glifosato.

Nonostante vi siano diversi studi che attestano che il glifosato è un elemento genotossico, teratogeno e legato anche all’aumento di patologie anche gravi come la SLA, esso continua a essere impiegato senza alcun controllo.

Ultimo intervenuto, infine, è stato quello di Melio Cordoano, produttore di grano “Senatore Cappelli” di Altomonte che ha portato la sua testimonianza di produttore agricolo con una tradizione familiare alle spalle che nel tempo è stato costretto ad abbandonare la produzione delle varietà antiche dei grani italiani poiché la produzione non riusciva a coprire i costi.

Solo dopo aver conosciuto il progetto de “Il seme che cresce” è ritornato a coltivare il grano Senatore Cappelli e ha avuto la conferma che “è possibile coltivare in modo corretto in un processo condiviso e trasparente che coinvolga tutti gli attori della produzione e della trasformazione delle farine in pasta.

Ciò –  ha concluso – rappresenta l’auspicio che può esserci un coinvolgimento di tutti quelli che hanno l’intenzione di cominciare a coltivare nuovamente questi grani e cercare così di dare una risposta che tuteli la salute dei consumatori”.

La giornata si è conclusa, poi, con una degustazione di pane e pasta prodotta con farine antiche, ottenute da varietà locali contadine.

La pratica del “sovescio” 

Ieri infine, si è svolta, sempre a cura dell’Associazione “Il seme che cresce” una visita guidata al Campo Didattico dell’Istituto Agrario Tommasi di Cosenza, nell’ambito del progetto “Il sovescio e i Grani Antichi”.

La pratica del sovescio, illustrata durante la visita, consiste nello sfalciare e interrare delle colture (in maggioranza leguminose) che possano ridare azoto ed equilibrio alla terra.

Si tratta di una antica pratica caduta in disuso che può rappresentare una valida alternativa agro ecologica all’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi derivanti dal petrolio.

 

(Articolo di Pier Francesco Bruno, pubblicato con questo titolo il 30 maggio 2017 sul sito online “quicosenza.it”)

 

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