Il presidente Usa Donald Trump ha annunciato di aver firmato un ordine esecutivo per snellire l’iter di autorizzazione di nuove infrastrutture, che rimuove i vincoli di tipo climatico introdotti dall’ex presidente Barack Obama. Ad essere revocato, come ha confermato la Casa Bianca, è un ordine esecutivo di Obama che imponeva ai costruttori di tenere in considerazione gli standard di gestione del rischio per le opere da realizzare, con fondi federali, nelle pianure alluvionali. Tra i parametri da considerare, secondo il Federal Flood Risk Management Standard di Obama, anche l’innalzamento del livello delle acque. In una conferenza alla Trump Tower, il presidente degli Stati Uniti ha detto che l’approvazione di un progetto per un’autostrada può richiedere centinaia di milioni di dollari e fino a 17 anni, a causa dei pesanti regolamenti. “Non ci saranno più un ritardo ammazza-lavoro dopo l’altro” per i nuovi progetti, ha dichiarato secondo quanto riportato dalla stampa Usa. La mossa di Trump ha raccolto le critiche di ambientalisti e think tank. “Nell’ultimo decennio i contribuenti hanno pagato miliardi di dollari per i disastri ambientali, oltre 136 miliardi solo per il biennio 2012-2013“, ha detto R.J. Lehmann del think tank R Street Institute. “Al contrario, è provato che ogni dollaro speso nella mitigazione dei disastri può far risparmiare 4 dollari nel recupero e nella ricostruzione post-disastro“. (ANSA del 16 agosto 2017, ore 17:20)
Archivi Giornalieri: 17 Agosto 2017
La mancata depurazione è il principale tallone d’Achille che ogni anno affonda la qualità dei mari italiani. Dei campioni di acqua raccolti da Goletta Verde nel 2017 lungo 7.412 chilometri di costa, il 40% risulta inquinato «con cariche batteriche al di sopra dei limiti di legge. Si tratta – precisano da Legambiente – di un inquinamento legato alla presenza di scarichi fognari non depurati». Il che significa un abbassamento della tutela verso la salute, sia ambientale sia umana, un perdita di sviluppo economico legata al turismo sostenibile, e infine salate multe da parte dell’Europa. Come ricordano oggi da Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua ambiente e energia), ancora oggi l’Italia è soggetta a tre procedure di infrazione relative alla violazione della disciplina europea in materia di acque reflue urbane (direttiva 91/271/UE), e due sono le condanne già arrivate da parte della Corte di giustizia Ue riguardanti 931 agglomerati urbani: in tutto, le multe europee «superano i 60 milioni di euro forfettari, più una penalità di quasi 350 mila euro al giorno (oltre 60 milioni a semestre) per ogni giorno di ritardo». Contando che l’ultima scadenza per i tempi di adeguamento alla normativa Ue sono stati superati a partire dal 31 dicembre del 2015, con ancora scarsi risultati, ci si può fare un’idea delle risorse (perse) in gioco: perché invece che pagare multe non si concretizzano (almeno) le stesse risorse in investimenti? Per invertire la rotta «sono due i passaggi principali di cui si deve tener conto – osserva il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo – Il primo è quello di garantire ai cittadini un servizio che possa offrire dei livelli adeguati di igiene e salute; il secondo è un passaggio culturale, bisogna applicare all’acqua gli stessi principi dell’economia circolare che già si applicano ai rifiuti, e pensare in un’ottica di ‘blue […]
Occorre dare atto all’Assessore alle infrastrutture della Regione Emilia-Romagna di essere un interlocutore affabile e dialogico, infatti il più delle volte (non proprio sempre) non si sottrae al confronto. Egli è anche intervenuto al primo convegno “Fino alla fine del suolo” – promosso in Regione dall’Altra Emilia Romagna, insieme al M5S, nello scorso mese di marzo –, dopo aver ascoltato gli interventi degli eminenti urbanisti e studiosi che hanno mosso argomentate critiche alla proposta di legge della Giunta “disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio” numero 218 del 27 febbraio 2017. Anche in quell’occasione, come nella recente risposta all’articolo di Tomaso Montanari (la Repubblica, 8 agosto scorso) che riprende la sua prefazione al libro promosso da AER “Consumo di luogo” (ed. Pendragon, curato da Ilaria Agostini, ricercatrice di urbanista presso l’Università di Bologna), egli evita accuratamente di entrare nel merito degli argomenti che evidenziano le vistose incoerenze e contraddizioni che pongono radicalmente in discussione gli enunciati obiettivi della proposta di limitazione nel consumo di suolo, di semplificazione delle procedure, di difesa della legalità e di sviluppo economico attraverso la riqualificazione urbana. Una legge che mette in allarme non folle di esagitati contestatori, ma il meglio della cultura urbanistica di una Regione che fu all’avanguardia in Italia per la capacità di preservare il territorio dalle offese inflitte in tante altre parti del Paese. Donini fa soprattutto professione di fede. Dimentica di dire che la legge impone una svolta decisa verso la contrattazione pubblico-privato, esautora i comuni dai poteri di pianificazione urbanistica e li obbliga a raggiungere accordi con i privati entro scadenze brevi e perentorie. Che oblitera l’istituto degli standard urbanistici, garanzia di democratico accesso ai servizi. Che punta su una rassicurante “rigenerazione urbana” fondata su operazioni di “addensamento” e di demolizione e ricostruzione di edifici o di interi […]
Paola Bonora L’8 agosto ho pubblicato su Repubblica un articolo dedicato alla pessima legge urbanistica che sta per essere approvata dal Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna. Il giorno dopo ha replicato, con molto spazio e nessun argomento, l’assessore Donini. Io non ho avuto occasione di replicare. Lo fa ora, con la lettera che pubblico di seguito, una delle massime esperte di consumo di territorio, la bolognese Paola Bonora. Caro Tomaso, avevo letto con grande piacere il tuo articolo su Repubblica dell’8 agosto sulla legge urbanistica dell’Emilia-Romagna. Speravo nell’apertura di una discussione nazionale visto con quanto impegno il giornale affronta il tema dell’abusivismo e del destino del territorio martoriato da troppe costruzioni. Ma la risposta dell’assessore di due giorni dopo sembra aver messo un macigno su qualsiasi confronto, a conferma che l’Emilia appartiene a un universo parallelo inscalfibile, non è chiaro se per l’antica reputazione o se per disegni neogovernativi che solo qui possono mostrare consenso. Non a caso non si è mai aperta una riflessione sulle scelte urbanistiche operate in Emilia-Romagna, sia in termini di suolo consumato (sempre tra le quote più alte a livello nazionale), che di strumenti urbanistici e fiscali applicati (fino a illeciti ammanchi erariali che hanno superato il mezzo miliardo di euro a favore dei costruttori proprio negli anni delle plusvalenze stratosferiche della bolla speculativa – come ho documentato in www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:3343). Nell’indifferenza generale e nell’illuminata continuità dell’amministrazione. Ciò che stride in questo fervore estivo contro l’abusivismo è il non accorgersi che il problema non è solo la liceità degli insediamenti, ma la loro entità. Per carità non voglio neanche lontanamente difendere o giustificare l’abusivismo, neppure quello cosiddetto “di necessità“, ma la questione non sta solo nella concessione preliminare alla costruzione, ma nella quantità immane di costruzioni comunque realizzate – nonostante la crisi, nonostante l’invenduto, nonostante il […]
L’emergenza incendi non conosce tregua e confini non risparmiano neanche le aree di grande valore naturalistico, come i Parchi e i siti di Rete Natura 2000. «Non solo il Vesuvio, ma anche tante altre aree protette, nazionali e regionali, sono sotto la morsa degli incendi: dal Cilento e Vallo di Diano, al Gargano, dall’Alta Murgia alla Majella, dalla Sila al Pollino al Gran Sasso passando per la Riserva dello Zingaro in Sicilia – dicono a Legambiente – sono troppe le aree di pregio del centro-sud finite in balia di ecocriminali e piromani». Secondo il Cigno Verdee, che ha analizzato e confrontato i dati cartografici delle superfici percorse dal fuoco raccolti dalla Commissione europea con quanta parte della “natura protetta” sia bruciata fino ad oggi in Italia (si veda la tabella allegata), «Nel 2017 sono ben 24.677 gli ettari delle Zone di Protezione Speciale – ZPS (istituite in base alla direttiva Uccelli per tutelare l’avifauna e i loro habitat) bruciati dalle fiamme, 22.399 quelli dei Siti di Importanza Comunitaria – SIC (istituiti in base alla direttiva Habitat per preservare habitat e specie animali e vegetali minacciate presenti nel nostro Paese) andati in fumo e ben 21.204 gli ettari dei parchi e delle aree protette devastati dalle fiamme. Tenuto conto della parziale sovrapposizione delle tre tipologie, la superficie complessiva stimata colpita dai roghi ammonta a circa 35.000 ettari, un danno ingente al paesaggio, al patrimonio di biodiversità con rischi per l’incolumità delle persone e dei beni. Tra le regioni più colpite Sicilia, Campania e Calabria». Il quadro che emerge dall’analisi degli ambientalisti è davvero preoccupante: «Quasi un terzo dell’intera superficie percorsa dal fuoco, tra il 1 gennaio e il 6 agosto 2017, ha interessato le aree di maggior valore naturalistico presenti in Italia e incluse nella rete Natura 2000, la rete europea a cui afferiscono i Siti di Importanza Comunitaria – […]