Grazie anche all’intervento ad opponendum di VAS, dopo 15 anni il TAR respinge il ricorso che chiedeva l’annullamento dei provvedimenti di rigetto delle domande di condono di 14 residenze costruite abusivamente nel parco antistante il Castello della Crescenza

 

Il Castello della Crescenza si erge su una collina alta 50 metri circa sul livello del mare e posta a 1.500 metri dal Km. 8 della via Flaminia, a sinistra uscendo da Roma: lo si raggiunge da via dei Due Ponti, imboccando via del casale della Crescenza.

Lo Stato italiano l’aveva già incluso nell’elenco dei monumenti che fanno parte del patrimonio storico ed artistico della Nazione: lo aveva fatto sotto il Regno d’Italia con un atto di notifica del 18 novembre 1928, emanato ai sensi della legge n. 364 del 1909 sulla tutela delle antichità e belle arti.

Tutta l’area con il parco antistante il Castello è stato sottoposta al vincolo paesaggistico imposto con D.M. del 24 febbraio 1986 ai sensi dell’art. 1, lettera m) (zona di interesse archeologico) della allora legge n. 394/1985, a tutela del quale sia il Piano Territoriale Paesistico (P.T.P.) n. 15/7 “Veio-Cesano” che il Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.) prescrivono una tutela integrale e quindi l’inedificabilità assoluta.

Nel parco antistante sono stati ritrovati resti di una necropoli etrusca, sottoposta a vincolo archeologico con D.M. del 27 luglio 1993, imposto ai sensi della allora legge n. 1089/1939.

Ciò nonostante, nel parco antistante il Castello sono stati realizzati 5 manufatti abusivi iniziati nel 2° semestre del 1991, per i quali nel 1994 sono state presentate 14 distinte domande di condono edilizio, usufruendo del Decreto Legge n. 551 del 27.9.1994 (poi approvato come art. 39 della legge n. 724 del 23.12.1994).

Rispetto al termine ultimo del 31 marzo 1995 entro cui presentare le domande di condono, la S.r.l. “Azienda Agricola Tor Crescenza” (allora proprietaria dei terreni) ha presentato nel 1996 una serie di “domande di integrazione aggiuntive”, in sostituzione anche domande presentate alla fine del 1994, che sono state unificate e registrate presso l’U.S.C.E.: a quel momento 3 dei 5 edifici erano stati ampliati.

Foto della Soprintendenza Archeologica del 2001

Con 14 Determinazioni Dirigenziali emanate in data 24 marzo 2003 l’allora Direttore dell’USCE ing. Riccardo Lenzini ha rigettato tutte le domande di condono edilizio presentate nel 1994.

Foto della Soprintendenza Archeologica del 2001

Contro la reiezione delle istanze di condono edilizio la Società ”Agricola Torcrescenza” S.r.l. il 30 maggio 2003 ha depositato il ricorso n. 5483, senza chiedere la sospensiva: è intervenuta ad opponendum l’associazione “Verdi Ambiente e Società (VAS)” con un atto di intervento depositato il 25 giugno 2003 ed altri originali atti di intervento depositati il 2 luglio 2003.

Dal momento che non è stata poi presentata una nuova istanza di fissazione d’udienza, con Decreto decisorio n. 5464 del 7 maggio 2015 il TAR ha dichiarata perento il ricorso.

Foto della Soprintendenza Archeologica del 2001

Il successivo 3 agosto 2015 la S.r.l. “Edil Work 2”, subentrata alla “Azienda Agricola Tor Crescenza” in conseguenza dell’acquisto del terreno interessato dall’edificazione abusiva, ha dichiarato di avere ancora interesse alla trattazione della causa: con Decreto decisorio 12851 del 12 novembre 2015 il TAR ha allora revocato il decreto di perenzione e disposto la reiscrizione del ricorso sul ruolo di merito, su cui si è tenuta una udienza pubblica il 13 luglio 2018, al termine della quale la causa è stata trattenuta per la decisione.

Con Sentenza del TAR n. 9828 del 9 ottobre 2018 la Sezione Seconda Bis ha rigettato il ricorso presentato 15 ani fa con ampie motivazioni.

Si riporta di seguito la sentenza.

Foto della Soprintendenza Archeologica del 2001

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 Sentenza del TAR n. 9828 del 9 ottobre 2018

Pubblicato il 09/10/2018

09828/2018 REG.PROV.COLL.

05483/2003 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA 

sul ricorso numero di registro generale 5483 del 2003, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla società Agricola Torcrescenza S.r.l. e dalla società Edil Work 2 S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Lucio Anelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Scrofa, 47;

contro

 il Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Rodolfo Murra, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura dell’ente, in Roma, via Tempio di Giove, n. 21; 

Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 

e con l’intervento di

ad opponendum:

Verdi Ambiente e Società Vas – Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Carla Licignano ed Emanuele Montini, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, via L. Rizzo, n. 62; 

per l’annullamento

delle determinazioni dirigenziali nn. 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88 e 89 tutte adottate in data 24.3.2003 dal Comune di Roma, Ufficio Speciale Condono Edilizio, con cui sono state respinte le domande di condono edilizio relative ad abusi edilizi realizzati in Roma, via Casale della Crescenza, n. 1;

– del provvedimento della Soprintendenza Archeologica di Roma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali prot. n. 21696 del 2001;

– della nota della Soprintendenza Archeologica di Roma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in data 20.11.2001 prot. n. 33706;

– della lettera della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici in data 12.2.1996 prot. n. 2406;

– di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale:

nonché, con atto per motivi aggiunti depositato in data 1 ottobre 2003:

del rapporto amministrativo prot. n. 18476 del 2003, della nota prot. n. 8818 del 1996, della nota prot. n. 32910 del 2002.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Visto l’atto di intervento ad opponendum della Verdi Ambiente e Società Vas – Onlus;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2018 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la società agricola Torcrescenza – proprietaria di un terreno sito in Roma, via Casale della Crescenza, n. 1, catastalmente censito al foglio n. 215, su area sottoposta a plurimi vincoli e sulla quale insiste il complesso del Castello e del Parco della Crescenza – ha agito per l’annullamento dei provvedimenti in epigrafe indicati, con i quali sono state rigettate le domande di condono edilizio presentate ai sensi della l. n. 724 del 1994, aventi ad oggetto le opere abusive realizzate sul suddetto terreno.

La società ricorrente ha rappresentato, sotto il profilo fattuale:

che le opere oggetto delle domande di sanatoria straordinaria sono state presentate agli inizi degli anni ’90 da affittuari e collaboratori della società Lucrezia 92, dante causa della ricorrente;

che con atto a rogito del notaio De Corato del 16 marzo 1995 la ricorrente ha acquistato la proprietà del terreno de quo, provvedendo a rappresentare tale circostanza all’amministrazione comunale, producendo documentazione aggiuntiva ai fini dell’accoglimento delle domande di condono, nonché a presentare alla Regione Lazio istanza per il rilascio del nulla osta paesaggistico “qualora occorrente”;

che, tuttavia, l’amministrazione comunale ha rigettato, con i provvedimenti oggetto del presente gravame, le domande di condono.

Avverso i provvedimenti impugnati la difesa della ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, contestando la carenza di istruttoria e di motivazione, l’erroneità dei presupposti, la violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, unitamente ad ulteriori profili integranti, in relazione alle diverse figure sintomatiche, il vizio di eccesso di potere.

Il Ministero per i beni e le attività culturali si è costituito in giudizio per resistere al gravame, concludendo per il rigetto del ricorso in quanto infondato e producendo, a sostegno, ampia e pertinente documentazione.

Si è costituito in giudizio anche il Comune di Roma, il quale pure ha concluso per la reiezione del ricorso.

La Verdi Ambiente e Società Vas – Onlus ha dispiegato intervento ad opponendum, articolando, previa esplicitazione della sussistenza del proprio interesse a ricorrere e della relativa legittimazione, deduzioni ai fini del rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con atto per motivi aggiunto depositato in data 1 ottobre 2003, la difesa della ricorrente ha articolato ulteriori censure alla luce della documentazione prodotta dal Ministero resistente.

Successivamente, la società Edil Work 2 S.r.l., medio tempore subentrata alla società agricola Torcrescenza in conseguenza dell’acquisto del terreno interessato dall’edificazione abusiva, si è costituita in giudizio, insistendo per la permanenza dell’interesse a ricorrere e per la fondatezza delle censure dedotte, producendo, tra l’altro, perizie tecniche a supporto.

All’udienza pubblica del 13 luglio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso introduttivo del presente giudizio, come integrato dall’atto per motivi aggiunti depositato in data 1 ottobre 2003, non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.

2. Il Collegio evidenzia che le istanze di sanatoria straordinaria rigettate dall’amministrazione hanno ad oggetto numerosi e consistenti abusi, essendo stati edificati, in assenza di permesso di costruire e delle prescritte autorizzazioni in area soggetta a plurimi vincoli, ben quattordici immobili, essenzialmente a destinazione residenziale, di considerevoli dimensioni.

3. Si ritiene, in primo luogo, di sottolineare che dalla documentazione versata in atti emerge inequivocabilmente che i provvedimenti di rigetto impugnati non recano a proprio fondamento esclusivamente i profili ostativi correlati alla sussistenza, sull’area de qua, del vincolo archeologico, risultando puntualmente indicati i vincoli ulteriori di carattere storico – monumentale, paesistico-ambientale, nonché quelli derivanti dalla disciplina regionale e comunale, essendo l’area sottoposta (delibera n. 10018 del 1988 della Giunta regionale del Lazio) al Piano Territoriale paesistico n. 15/07 “Veio- Cesano” con tutela integrale, oltre che inserita nella sottozona G1 del P.R.G. (parco privato vincolato) nella quale è preclusa la nuova edificazione.

3.1. Nessuna lacuna emerge, dunque, quanto al substrato motivazionale alla base dei provvedimenti impugnati, essendo stata doverosamente considerata l’incidenza degli abusi su un contesto di elevatissimo pregio sul piano paesaggistico, ambientale oltre che storico ed archeologico, gravato da vincoli che in radice precludono nuove edificazioni.

4. In disparte le considerazioni che verranno articolate nei successivi capi della presente pronuncia quanto alla preclusione connessa alla sussistenza del primo di detti vincoli (quello paesaggistico-ambientale), contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte ricorrente, l’analisi della documentazione in atti rende evidente, alla luce della ragguardevole consistenza degli abusi perpetrati, correttamente considerati in una prospettiva unitaria correlata all’incidenza sul medesimo contesto territoriale, l’assenza dei vizi dedotti in merito all’incidenza dei valori monumentali ed archeologici.

4.1. La situazione di fatto determinata dalla edificazione abusiva risulta per tabulas dalla documentazione prodotta dal Ministero resistente nella quale viene rilevata la portata della manomissioni eseguite sul complesso del castello della Crescenza, inclusivo del relativo parco, evidenziandosi, tra l’altro, come – a prescindere dalla “misteriosa scomparsa di quasi tutta la raccolta di pezzi archeologici” e dalle anomalie che hanno caratterizzato l’attività di accertamento – l’attività istruttoria ha fatto emergere, in esito anche a diversi sopralluoghi, una reiterata violazione della disciplina vincolistica con impatto altamente pregiudizievole sulla suggestiva residenza con il magnifico parco, trasformata “in una grottesca scenografia disneyana” con realizzazione di “villette con piscina, campo sportivo, hangar e pista d’atterraggio” oltre ad ulteriori opere specificamente indicate (cfr. Denuncia della Soprintendenza Archeologica prot. n. 34270 del 2001 indirizzata alla competente Procura della Repubblica, ai fini dell’accertamento delle eventuali inadempienze, omissioni o complicità, prodotta dalla difesa del Ministero resistente in data 23 giugno 2003).

4.2. La rilevanza degli abusi emerge ictu oculi dallo stesso oggetto delle domande di sanatoria, riferite ad opere aventi una consistenza tale da determinare incrementi per centinaia di metri quadri.

4.3. La sussistenza, inoltre, su gran parte delle aree interessate dall’edificazione abusiva del vincolo archeologico è attestata dalla stessa documentazione prodotta dalla ricorrente; a tal fine è sufficiente rilevare che nello stesso decreto ministeriale del 22 luglio 1993, recante la dichiarazione di interesse particolarmente importante ai sensi della l. n. 1089 del 1939, vengono espressamente indicate le aree, interne al parco che circonda il castello cinquecentesco, nelle quali “si conserva parte di una necropoli etrusca costituita da una parete continua, artificialmente regolarizzata, ad andamento sinuoso, che presenta una serie di cavità (…) che costituiscono il dromos, corridoio di accesso a tombe a camera”.

4.4. Anche assumendo che gli abusi siano stati realizzati successivamente all’imposizione del vincolo suddetto, per consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, VI, 5 aprile 2012, n. 2018; 9 marzo 2011, n. 1476; 7 gennaio 2008, n. 22), condiviso dal Collegio, in siffatta evenienza il vincolo resta rilevante.

4.5. In altri termini, sebbene il vincolo di inedificabilità assoluta non possa operare retroattivamente, tuttavia, non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione, ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi realizzati in data antecedente, così consolidando una situazione di fatto contrastante con il bene tutelato in modo assoluto dal vincolo.

Agli abusi realizzati in data anteriore all’apposizione del vincolo va, pertanto, applicato il regime generale che subordina il rilascio della concessione in sanatoria, per opere su aree sottoposte a vincolo, al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (Consiglio di Stato, sez. VI, 21 luglio 2017, n. 3603; Cons. Stato, Sez. VI, 12 novembre 2014 n. 5549; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, n. 2646 del 2013), la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Consiglio di Stato, sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1887; Consiglio di Stato, Ad. Plen., 22 luglio 1999, n. 20).

4.6. In tali casi, dunque, l’autorità preposta non deve esprimere una valutazione di “conformità” delle opere alle precedenti prescrizioni laddove venga in rilievo un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di “compatibilità” dell’intervento edilizio abusivo rispetto al regime vincolistico dell’area risultante al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 febbraio 2018, n. 1160; 5 marzo 2018 n. 1387; 13 febbraio 2018, n. 900; 8 gennaio 2018 n. 67; TAR Marche, 23 aprile 2018, n. 303; TAR Puglia, Bari, 3 aprile 2018, n. 493; T.A.R. Lazio, Roma, 4 marzo 2016 n. 2866).

4.7. Dalla documentazione prodotta dal Ministero resistente emerge che nel corso dell’istruttoria (cfr. nota prot. n. 32910 del 25 ottobre 2002) è stata specificamente esaminata la situazione vincolistica di dette aree ed è stata recisamente esclusa la sanabilità degli abusi (“nulla può intendersi sanabile, in quanto nulla è compatibile con la tutela della necropoli etrusca, che doveva rimanere nello stato e nelle condizioni ambientali originarie”).

La consistenza degli abusi, reiteratamente perpetrati in patente violazione della disciplina di riferimento, associata agli elementi forniti da detta amministrazione in merito al notevole interesse dell’area (cfr. la relazione di cui all’all. 1 della relazione prot. n. 18476 del 18 giugno 2003, prodotta dalla difesa del resistente Ministero in data 25 giugno 2003) e alla sussistenza di una situazione già nel tempo oggetto di iniziative dirette a contrastare gli illeciti edilizi, costituiscono elementi idonei a sorreggere la determinazione negativa in merito alla incompatibilità delle opere con il vincolo in argomento.

4.8. E, invero, l’importanza archeologica del sito era già stata rappresentata agli interessati e cioè alla società all’epoca proprietaria dei terreni; dalla nota prot. n. 2167 del 1988, infatti, si evince che la Soprintendenza archeologica aveva già escluso la sanabilità di opere abusive in precedenza realizzate nel parco, rilevando l’esecuzione degli interventi di ripristino, nonché evidenziando gli ulteriori interventi necessari per ricolmare una porzione che aveva costituito oggetto di sbancamento e quelli di ripiantumazione e sistemazione.

4.9. La gravità della situazione riferita all’incidenza degli abusi sul contesto di riferimento, di eccezionale pregio non solo archeologico, risulta dettagliatamente rappresentata anche nella relazione prot. n. 2406 del 1996 della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici, avente ad oggetto i riscontri conseguenti alla presentazione di due interrogazioni parlamentari, nella quale non solo vengono puntualmente elencati i vincoli gravanti sulle aree de quibus ma anche rappresentate le difficoltà riscontrate nell’accertamento a causa delle reiterate indisponibilità della proprietaria Sofia Borghese – tali da rendere necessaria la richiesta alla competente Autorità di un decreto di ispezione forzosa – unitamente ai danneggiamenti riscontrati tanto al castello quanto al parco.

4.10. Del pari, nella successiva nota 8818 del 12 aprile 1996, la Soprintendenza ha dato ulteriormente atto della insuscettibilità di sanatorie e della necessità della demolizione, propedeutica agli interventi necessari per “ripristinare la morfologia del sito” a prescindere dalla irreparabile compromissione della necropoli.

In detta nota, infatti, unitamente alla già evidenziata necessità della demolizione, si attesta l’impossibilità di accertare lo stato attuale dell’apogeo essendone murato l’ingresso ed essendo in corrispondenza dello stesso stata realizzata una delle palazzine, il tal modo rendendo evidente la rilevanza della demolizione anche in vista degli interventi di verifica ai fini della individuazione delle misure di recupero.

Da ciò consegue l’insussistenza dei profili di contraddittorietà dedotti dalla parte ricorrente.

Vi è di più.

In considerazione della rilevanza dei reiterati illeciti e degli “impedimenti frapposti al controllo da parte degli organi periferici del Ministero, la nota si conclude con la proposta di procedere ad “esproprio del monumento come insostituibile mezzo per assicurarne l’integrità”.

Ulteriori elementi emergono, ancora, dalla nota della Soprintendenza archeologica prot. n. 37497 del 2001, che evidenzia un quadro di assoluto spregio dei valori vincolistici implicati (non riferiti esclusivamente a quello archeologico) e della disciplina normativa diretta ad assicurarne la tutela attraverso la prosecuzione degli abusi.

4.11. Le risultanze dell’istruttoria svolta, dunque, rendono evidenti le ragioni della ritenuta incompatibilità delle opere rispetto all’assetto vincolistico dell’area e del vulnus che discenderebbe al bene protetto dal mantenimento delle stesse.

4.12. La giurisprudenza, inoltre, è univoca nel ritenere che “quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l’autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell’antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all’insediamento umano” (Consiglio di Stato, n. 522 del 2013).

La valenza archeologica complessiva dell’area, per come attestata dalle evidenze in atti, è tale da rendere irrilevante l’eventualità della assenza del rinvenimento di reperti.

Non consta, inoltre, che il decreto impositivo del vincolo archeologico abbia costituito oggetto di tempestiva impugnazione, con conseguente inammissibilità delle deduzioni dirette a contestare i relativi presupposti.

5. Quanto alla competenza della Soprintendenza archeologica a rendere il parere, il Collegio sottolinea che venendo in rilievo un’area inclusa tra le zone di interesse archeologico di cui all’art. 1 lettera m) della l. n. 431/85, occorre considerare le previsioni della legge regionale 06/07/1998, n. 24, che, all’art. 13, rubricato “Protezione aree di interesse archeologico”, nel testo originario, anteriore alla riforma di cui all’art. 9, comma 1, l.r. 9 dicembre 2004, n. 18, prevedeva che “ogni modifica allo stato dei luoghi è subordinata alle procedure di cui all’articolo 7 della L. n. 1497 del 1939 ed al preventivo parere della competente Soprintendenza archeologica da rendersi prima del rilascio delle concessioni edilizie”; inoltre, come evidenziato anche dal Giudice d’Appello con orientamento condiviso dal Collegio, il parere della Soprintendenza archeologica va considerato “un prius imprescindibile per ritenere legittimo il titolo in sanatoria, attesa l’esigenza di una compiuta tutela dell’interesse pubblico sotteso al vincolo paesaggistico gravante sul terreno ove insistevano beni di rilevanza archeologica ancora non protetti dallo specifico vincolo” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 ottobre 2016, n. 4445).

6. Nessuna pertinente deduzione, inoltre, è stata articolata dalla difesa di parte ricorrente quanto all’incidenza del vincolo apposto sull’area di pertinenza del castello con decreto ministeriale 24 febbraio 1986, ai sensi della legge n. 1497 del 1939 e n. 431 del 1985, e, dunque, in epoca precedente alla realizzazione degli interventi abusivi che vengono in rilievo.

6.1. All’eccezionale pregio archeologico si somma, infatti, quello paesistico ambientale, pure espressamente indicato nei provvedimenti impugnati, emergendo la sussistenza di vincoli di inedificabilità assoluta del parco de quo, tra i quali anche quello derivante dall’adozione, con delibera 10018 del 1988 della Giunta regionale Lazio, del Piano territoriale paesistico 15/7 “Veio-Cesano”, che ha previsto per tutta l’area afferente al castello una tutela integrale, sottozona TI/47 nella quale sono radicalmente preclusi interventi di nuova edificazione e quello derivante dall’inclusione dell’area de qua nella sottozona G1 del P.R.G. (parco privato vincolato) nella quale sono consentiti solo interventi di restauro di tipo conservativo.

6.2. La natura di tali divieti determina una radicale preclusione alla sanatoria straordinaria (stante il rinvio recato dall’art. 39 della l. n. 724 del 1994) e dall’altro la non operatività dell’istituto del silenzio-assenso, che presuppone l’astratta sanabilità dell’opus.

7. Si palesano infondate anche censure incentrate sulla violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento in quanto – in disparte le evidenze documentali dalle quali emerge che la società interessata fosse ampiamente a conoscenza delle problematiche correlate alla sanatoria degli abusi in argomento – vengono nella fattispecie in rilievo provvedimenti di natura vincolata, trovando, comunque, applicazione le previsioni dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990.

8. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il gravame va rigettato.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul giudizio in epigrafe indicato, rigetta il ricorso introduttivo ed l’atto per motivi aggiunti.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero per i beni e le attività culturali, del Comune di Roma e della Verdi Ambiente e Società Vas – Onlus, liquidate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per ciascuna di tali parti, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Brunella Bruno, Consigliere, Estensore

Antonio Andolfi, Consigliere

 
 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Brunella Bruno

Elena Stanizzi

 

 

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