Vizi di legittimità della legge regionale del Lazio n. 7 del 22 ottobre 2018: VAS chiede al Governo di impugnarli presso la Corte Costituzionale

 

 

DISPOSIZIONI COSTITUZIONALMENTE ILLEGITTIME 

DELLA LEGGE REGIONALE N. 7 DEL 22 OTTOBRE 2018

1 – Combinato disposto tra:

  • 5, comma 1, lettera b), numero 1) punto 1.5 [integrazione del numero 4 bis) della lettera q) del 3° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 29/1997];
  • 5, comma 1, lettera b) numero 2) punto 2.1 [sostituzione della lettera d) del 4° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 29/1997];
  • 5, comma 1, lettera i), numero 7) punto 7.2 [integrazione del comma 2 bis dell’art. 31 della legge regionale n. 29/1997].

 art. 5, comma 1, lettera b), numero 1) punto 1.5

Art. 8 
(Misure di salvaguardia)

3° comma, lettera q), numero 4 bis): «interventi strutturali e attività di cui al comma 4, lettera d»); (testo previgente)

4 bis): «interventi strutturali e attività di cui al comma 4, lettera d) e dter»; (testo ora vigente)

art. 5, comma 1, lettera b) numero 2) punto 2.1 

Art. 8 
(Misure di salvaguardia)

4° comma, lettera d): «le attività agricole, le attività connesse e compatibili di cui alla l.r. 38/1999 e gli interventi previsti dai piani di utilizzazione aziendale (PUA) disciplinati dall’articolo 31, dalla l.r. 38/1999 e dall’articolo 18 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico), nonché gli interventi di imboschimento e di utilizzazione dei boschi e dei beni silvo-pastorali, fatte salve le finalità di tutela della presente legge e fermo restando quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, della l. 394/1991»; (testo previgente) 

d): «le attività agricole di cui all’articolo 31» (testo ora vigente)

art. 5, comma 1, lettera i), numero 7) punto 7.2 

Art. 31
(Sviluppo delle attività agricole )

Comma 2 bis: «Per favorire lo svolgimento delle attività agricole e di quelle connesse e compatibili, i soggetti di cui all’articolo 57 della l.r. 38/1999 possono presentare il PUA, redatto secondo le modalità ivi previste, nel rispetto delle forme di tutela di cui alla presente legge». (testo previgente)

2 bis: «Per favorire lo svolgimento delle attività di cui al presente articolo, i soggetti di cui all’articolo 57 e 57 bis della l.r. 38/1999 possono presentare il PUA, redatto secondo le modalità ivi previste, nel rispetto delle forme di tutela di cui alla presente legge.

Il PUA redatto secondo le modalità della l.r. 38/1999, previa indicazione dei risultati che si intendono perseguire, può  prevedere la necessità di derogare alle previsioni del piano dell’area naturale protetta redatto ai sensi dell’articolo 26, comma 1, lettera f) ad esclusione delle normative definite per le zone di riserva integrale». (testo ora vigente)

Violazioni

Violazione del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42 del 22 febbraio 2004 e ss.mm.ii. (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), secondo cui «le previsioni dei piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico», ivi compresi i Piani di Utilizzazione Aziendale (P.U.A.)

 Violazione del 5° comma dell’art. 9 della legge regionale n. 24/1998, relativo alla «Protezione dei parchi e delle riserve naturali”, secondo cui «nelle more dell’approvazione dei piani delle aree naturali protette si applicano sia le misure di salvaguardia previste negli specifici provvedimenti istitutivi o legislativi generali, sia la normativa relativa alle classificazioni per zone delle aree ove prevista dai PTP o dal PTPR; in caso di contrasto prevale la più restrittiva.»

 Motivazioni

La formulazione originaria del testo della allora lettera e), ora lettera d), del 4° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 9 del 6 ottobre 1997 era la seguente: «All’interno delle zona A … sono consentite: …. e) le attività agricole e gli interventi strutturali previsti dai piani di miglioramento aziendale autorizzati dagli organi tecnici competenti».

Con la legge regionale n. 14 del 2 novembre 2006 la Regione Lazio ha affiancato alle attività agricole tradizionali, attuabili con un Piano di Utilizzazione Aziendale (PUA), anche le attività multifunzionali: il 2° comma dell’art. 2 bis dispone che  «ai fini delle attività multifunzionali, previa approvazione di un PUA ai sensi della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche è consentita prioritariamente sia la rifunzionalizzazione degli edifici o parte di essi presenti all’ interno dell’azienda agricola, anche attraverso la demolizione e ricostruzione e accorpamento delle volumetrie, a prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia la nuova realizzazione di annessi agricoli ad esclusione di quelli destinati ad ospitare attività agrituristiche comunque disciplinati dall’articolo 15. Gli immobili destinati alle attività multifunzionali non mutano la loro destinazione d’uso.»

La disposizione della lettera e) del 4° comma dell’art. 8 della lege regionale n. 29/1997 è rimasta invariata fino a quando è stata sostituita – come lettera d) – dalla legge regionale n. 12 del 6 agosto 2012 con cui la Regione Lazio ha fatto approvare il cosiddetto “Piano Casa”.

La lettera a) del comma 19 dell’art. 1 della legge regionale n. 12/2012 disponeva testualmente: «Alla l.r. 29/1997 e successive modifiche sono apportate le seguenti modifiche:
a) alla lettera d) del comma 4 dell’articolo 8 le parole: “piani di miglioramento aziendale autorizzati dagli organi tecnici competenti” sono sostituite dalle seguenti: “piani di utilizzazione aziendale (PUA) disciplinati dall’articolo 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche e dall’articolo 18 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico)».

La successiva lettera c) dello stesso comma 19 precisava che i P.U.A. sono consentiti in regime di “misure di salvaguardia” anche nei parchi e nelle riserve istituite prima della entrata in vigore della legge regionale n. 12/2012 e lo faceva nel seguente modo: «c) dopo il comma 2 bis dell’articolo 46 è inserito il seguente: “2 ter. Fino all’approvazione degli strumenti di cui agli articoli 26 e 27, le previsioni di cui all’articolo 8, comma 4, lettera d) si applicano anche alle aree naturali protette regionali istituite prima della data di entrata in vigore della presente legge.»

Il “Piano Casa” della Giunta dava dunque la possibilità di realizzare nuove costruzioni anche all’interno delle aree naturali protette in regime di “misure di salvaguardia” tramite Piani di Utilizzazione Aziendale (PUA) in deroga sia ai Piani Territoriali Paesistici (PTP) del Lazio che al Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR).

Il comma 19 dell’art. 1 aveva anche coordinato con il suddetto testo la lettera d) del 1° comma dell’art. 31 della legge regionale n. 29/1997, relativo allo “Sviluppo delle attività agricole”, sostituendola con il seguente testo: «d) la possibilità di realizzare gli interventi e le attività previste dall’articolo 8, comma 3, lettera q) e comma 4, lettera d). »

Il 28 settembre 2012 il Governo Monti ha deliberato l’impugnativa in Corte Costituzionale avverso questa disposizione della legge della Regione Lazio n. 12/2012. 

Secondo il Consiglio dei Ministri l’articolo 1 della l.r. n. 12/2012 è in contrasto con le norme statali in materia di tutela del paesaggio e di governo del territorio ed in particolare il comma 19 che prevede che nelle zone di massima protezione (zone “A” in regime di “misure di salvaguardia”) siano consentiti interventi di nuova costruzione e di realizzazione di manufatti funzionali all’attività agricola anche in deroga alle previsioni del piano paesaggistico.

Per evitare la pronuncia della Corte Costituzionale su tutti i vizi di legittimità rilevati sulla normativa del “Piano Casa” della Regione Lazio la Giunta Regionale, d’intesa con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), ha approvato le proposte di legge regionale n. 75 e n. 76 del 24 settembre 2013, che immotivatamente hanno “dimenticato” la suddetta precisa censura, non voluta prendere nella benché minima considerazione nemmeno dopo che l’associazione VAS l’ha fatta presente dapprima in sede di osservazioni consegnate il successivo 7 novembre nel corso della audizione concessa alle associazioni ambientaliste dalla Commissione Ambiente e poi quando con Nota VAS prot. n. 21 del 25 novembre 2013 è stato chiesto all’allora Governo Letta di “porre un rimedio immediato a questa dimenticanza”.

La proposta di legge n. 75 è stata convertita nella legge regionale del Lazio n. 8 dell’8 agosto 2014 senza che vi venisse accolto l’emendamento che proponeva l’abolizione del 1° comma dell’art. 19 della legge regionale n. 12/2012: sembra che fra i motivi del mancato accoglimento del suddetto emendamento ci sia stato il ritiro del tutto immotivato da parte dell’allora Governo della sua impugnazione presso la Corte Costituzionale. 

La proposta di legge n. 76 è stata convertita nella legge regionale n. 10/2014 addirittura con l’aggiunta del comma 1 bis dell’articolo 26 della legge regionale del Lazio n. 29 del 6 ottobre 1997, ad opera del comma 14 dell’art. 3 dal seguente testo:

«1 bis. Nelle zone di cui al comma 1, lettera f), ad esclusione delle zone di riserva integrale, sono consentiti:

a) gli interventi di cui all’articolo 8, comma 3, lettera q), numeri 1), 2), 3) e 4);

b) le attività e gli interventi di cui all’articolo 8, comma 4, lettera d). »

Gli “interventi” di cui alla suddetta lettera a) erano i seguenti:

1) interventi già autorizzati e regolarmente iniziati alla data di entrata in vigore della legge 29/1997;

2) interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro conservativo e di risanamento igienico-edilizio che non comportino modifiche di carattere strutturale;

3) ampliamenti ed adeguamenti a fini agrituristici;

4) interventi di adeguamento tecnologico e funzionale.

Ogni Piano di Assetto dei parchi è suddiviso in 4 zone di tutela (ed eventuali sottozone), che vanno dalla zona di riserva integrale e passando per la zona di riserva generale e la zona di protezione arrivano alla zona di promozione economica e sociale, “da individuare nelle aree più estesamente modificate da processi di antropizzazione”: solo in quest’ultima zona è consentita la nuova edificazione.

Secondo la legge regionale n. 29/1997 nella zona di riserva integrale “l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità, nella zona di riserva generale “è vietato realizzare nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio”, mentre nelle zone di protezione sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo.

Pur mantenendo le suddette prescrizioni della legge regionale n. 29/1997, anche perché recepiscono integralmente il 2° comma dell’art. 12 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991, la disposizione di cui alla suddetta lettera a) dà ad ogni futuro Piano di Assetto dei parchi e delle riserve naturali del Lazio la facoltà di consentire di far realizzare ugualmente gli interventi sopra elencati all’interno anche delle zone di riserva generale e di protezione, oltre che nelle zone di promozione economica e sociale. 

È di tutta evidenza che gli “ampliamenti” a fini agriturisitici, ancorché consentiti dalle “misure di salvaguardia”, non possono essere invece realizzati quanto meno nelle zone di riserva generale dove la norma vigente (lasciata peraltro inalterata) vieta proprio di “ampliare le costruzioni esistenti”, se non anche nelle zone di protezione dove appare piuttosto forzato far rientrare gli “ampliamenti” fra le opere di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo. 

Ciò appare in netto contrasto con i punti 2) e 3) della lettera f) del 1° comma dell’art. 26 della legge regionale n. 29/1997, che hanno recepito le lettere b) e c) del 2° comma della legge quadro n. 394/1991 parimenti violata. 

Per quanto riguarda invece  la disposizione di cui alla suddetta lettera b) del comma 1 bis aggiunto all’art. 26 della legge regionale n. 29/1997 c’è da far presente che consente ai Piani di Assetto di far realizzare nelle stesse 3 suddette zone anche e soprattutto i Piani di Utilizzazione Aziendale (PUA) che in deroga ai vincoli paesistici hanno già permesso in regime di “misure di salvaguardia” di far costruire ex novo addirittura strutture alberghiere. 

Ciò è stato possibile, come già detto, in applicazione del 1° comma dell’art. 19 della legge regionale del Lazio n. 12 del 6 agosto 2012, con cui è stata modificata la lettera d) del 4° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 29/1997.

Il comma 19 dell’art. 1 della legge regionale n. 12/2012 aveva infatti sostituito le parole: “piani di miglioramento aziendale autorizzati dagli organi tecnici competenti” con le seguenti: “piani di utilizzazione aziendale (PUA) disciplinati dall’articolo 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche e dall’articolo 18 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico) ».

Con la legge regionale n. 10 del 10 novembre 2014 all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 (“Norme sul governo del territorio”) è stato aggiunto anche il seguente comma 1 bis: «Nel PUA è consentita la demolizione e la ricostruzione con sagoma diversa, la delocalizzazione all’interno della stessa azienda degli edifici esistenti legittimi, nonché la rifunzionalizzazione di tali edifici per le attività agricole e per quelle compatibili previste dal comma 6bis.

Gli interventi di ricostruzione e/o accorpamento degli edifici di cui al presente comma sono realizzati secondo i caratteri dell’edificazione agricola.»

Le suddette attività aggiunte all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 con i commi 1 bis e 6 bis sono diventate automaticamente possibili anche all’interno delle aree naturali protette ed in deroga ai piani paesistici, in aperta violazione quindi del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004 con cui è stato emanato il “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, secondo cui «le previsioni dei piani paesaggistici … non sono derogabili» e conseguentemente le loro «disposizioni … sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette». 

Il comma 15 dell’art. 3 della legge regionale n.10/2014 al comma 1 dell’articolo 31 della l.r. 29/1997 dopo le parole: “compatibilmente con la tutela dei valori naturali e culturali presenti nell’area stessa” ha inserito le seguenti: “e con il ruolo di tutela attiva delle attività agricole, nelle zone di cui all’articolo 26, comma 1, lettera f)”, vale a dire ora in tutte e 4 le zone di ogni Piano di Assetto, ivi comprese quindi le zone di riserva integrale, dove le attività agricole non possono essere svolte dal momento che in queste zone “l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità”.

In tal modo, per dare un “ruolo di tutela attiva delle attività agricole”, anche nelle altre 3 zone di riserva generale, di protezione e di promozione economica e sociale, i Piani di Assetto possono consentire la realizzazione di Piani di Utilizzazione Aziendale (PUA) in deroga sia ai Piani Territoriali Paesistici (PTP) del Lazio che al Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) e quindi in violazione del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004.

Il 27 novembre 2014 il Presidente dell’associazione Verdi Ambiente e Società (V.AS.) Guido Pollice ha fatto trasmettere per posta elettronica certificata la richiesta di impugnazione della legge regionale in questione.

Ma il Governo non ha rilevato né la violazione del D.Lgs.n. 228/2001 (“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo!) né la violazione del D.Lgs. n. 42/2004 e non ha quindi ritenuto di impugnare presso la Corte Costituzionale la legge regionale n. 10/2014.  

Con la stessa legge regionale n. 10/2014 è stato modificato ulteriormente anche l’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 sul governo del territorio per introdurvi la “attuazione della ruralità multifunzionale”, che è stata prevista dalla legge regionale n. 14 del 2 novembre 2006 e che al 2° comma dell’art. 2 bis dispone che  «ai fini delle attività multifunzionali, previa approvazione di un PUA ai sensi della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche è consentita prioritariamente sia la rifunzionalizzazione degli edifici o parte di essi presenti all’ interno dell’azienda agricola, anche attraverso la demolizione e ricostruzione e accorpamento delle volumetrie, a prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia la nuova realizzazione di annessi agricoli ad esclusione di quelli destinati ad ospitare attività agrituristiche comunque disciplinati dall’articolo 15. Gli immobili destinati alle attività multifunzionali non mutano la loro destinazione d’uso.»

In tal modo con la legge regionale n. 10/2014 si consente di realizzare anche dentro le aree naturali protette tutta una serie di attività ed opere da parte di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli: in attuazione della suddetta “ruralità multifunzionale” la Giunta Regionale ha approvato poi il Regolamento n. 11 del 2 settembre 2015, introducendo nuove attività economiche connesse a quella agricola e nuove modalità di esercizio del regime di connessione, in evidente difformità dalle vigenti disposizioni nazionali in materia.

Sul Bollettino ufficiale della Regione Lazio n. 71 del 3 settembre 2015 è stato pubblicato il regolamento regionale 2 settembre 2015, n. 11, concernente la “attuazione della ruralità multifunzionale ai sensi dell’articolo 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38“, articolo modificato proprio con le disposizioni introdotte dall’art. 3, comma 10, della legge della Regione Lazio n. 10/2014, che ne costituisce l’attuazione.

Con la legge regionale n. 10 del 10 novembre 2014 all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 (“Norme sul governo del territorio”) sono stati aggiunti i seguenti commi 6 bis, 6 ter e 6 quater:

«6 bis. Nelle zone omogenee E di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 sono compatibili con la destinazione agricola, ove connesse, le seguenti funzioni e attività:

a)agriturismo e turismo rurale;

b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti tipici;

c) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici;

d) attività culturali, didattiche, sociali, ricreative e terapeutico-riabilitative. 

6 ter. Le funzioni e le attività compatibili con la destinazione agricola di cui al comma 6 bis, necessarie per sviluppare una nuova ruralità multifunzionale, possono essere svolte da soggetti diversi da quelli di cui al comma 1; in ogni caso le funzioni e le attività devono essere svolte in regime di connessione con l’attività agricola. 

6 quater. Per l’attuazione di quanto previsto dal comma 6 ter la Giunta regionale ai sensi dell’articolo 47, comma 2, lettera b), dello Statuto approva, entro il 31 gennaio 2015, un regolamento finalizzato a stabilire:

a) le modalità di introduzione, svolgimento e attuazione delle funzioni e delle attività di cui al comma 6 bis;

b) le modalità per garantire la compatibilità e la connessione delle funzioni e delle attività di cui al comma 6 bis con l’attività agricola».

Il disposto riportato in grassetto del comma 6 ter è in difformità da quanto dispone il secondo periodo del 1° comma dell’art. 1 del Decreto Legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, che testualmente recita: «Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge». 

Ora il Regolamento regionale n. 11 del 2 settembre 2015  disciplina soprattutto le modalità per garantire la compatibilità e la connessione delle attività” in materia di ruralità multifunzionale, introducendo nuove attività connesse economiche a quella agricola e nuove modalità di esercizio del regime di connessione, in evidente difformità dalle vigenti disposizioni nazionali in materia.

In particolare:

1) la lettera b) del 1° comma dell’art.2 del Regolamento prevede, in combinazione con il 2° comma del successivo art. 3, che possano esercitare attività economiche connesse a quella agricola, utilizzando terreni a destinazione urbanistica agricola con superficie dedicata fino ad un massimo di 30 ettari, “soggetti, sia pubblici che privati, diversi dai “coltivatori diretti (CD) e imprenditori agricoli professionali (IAP), singoli o associati, come individuati all’articolo 57, comma 1, della legge” n. 38/1999, mentre la legge d’orientamento in agricoltura (art. 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228) prescrive che possano considerarsi attività connesse solo quelle “esercitate dal medesimo imprenditore agricolo“;

2) l’art.5 del Regolamento introduce e definisce, quali attività connesse a quelle agricola, attività non contemplate in tal senso dalla disciplina agricola e fiscale vigente, con particolare riferimento al turismo rurale (distinto dall’agriturismo) mediante ricettività alberghiera ed extralberghiera (lettera b, punto 1, del 1° comma), alle attività ricreative mediante “centri sportivi rurali” e “centri ricreativi rurali”, con la pratica con l’esercizio di golf, tennis, bocce, calcetto, pallavolo, nuoto ed “altri tipi di sport” (lett. e, punto 5 del 1° comma), alle attività terapeutiche-riabilitative, in forma di assistenza residenziale per anziani e disabili, nonché strutture di ospitalità ed integrazione sociale fino ad un massimo di 20 posti letto (lett. e, punto 6 del 1° comma), attività non contemplate in questa forma dalla sopra citata legge d’orientamento e dalle nuove disposizioni in materia di agricoltura sociale di cui alla legge 18 agosto 2015, n. 141;

– l’art. 2, comma 3, della legge 141/2015 in materia di agricoltura sociale ribadisce che possono considerarsi “attività connesse” esclusivamente quelle “esercitate dall’imprenditore agricolo“;

– il comma 6 bis dell’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 elenca 4 tipi di funzioni e attività che ritiene “compatibili con la destinazione agricola”, ma solo “ove connesse” e come tali riconosciute sia dal D.Lgs.n. 228/2001 che dalla legge n. 141/2015, che invece non considerano affatto in connessione le attività sopra evidenziate;

– le suddette attività aggiunte all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 con i commi 1 bis e 6 bis sono diventate automaticamente possibili anche all’interno delle aree naturali protette mediante P.U.A. presentati ai sensi della lettera d) del 4° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 29/1997.

Se da un lato l’estensione a soggetti diversi dal coltivatore diretto e dall’imprenditore agricolo appare coerente con la legge regionale n. 10/2014, dall’altro lato però il Regolamento arriva a specificare come “connesse” tutta una serie di attività che invece non sono considerate tali dalla normativa vigente in materia (D.Lgs.n. 228/2001 e legge n. 141/2015).  

Come evidenziato nella interrogazione parlamentare presentata dall’On. Loredana De Petris, la possibilità per soggetti imprenditoriali non agricoli di esercitare, in area a destinazione agricola ed a tutela della natura e su ampie superfici, attività economiche ad alto valore aggiunto, in particolare ai margini delle aree urbane, rischia di promuovere fenomeni di segno opposto rispetto a quelli innescati dalla multifunzionalità oggi vigente. 

Non più integrazione del reddito dell’agricoltore, ma utilizzo strumentale della destinazione agricola, con sottrazione di suolo coltivato, per realizzare operazioni di valorizzazione immobiliare estranee al mondo agricolo. 

La Giunta Regionale ha poi fatto approvare la legge regionale n. 12 del 10 agosto 2016, con cui è stata modificata sia la legge regionale n. 24/1998 che la legge regionale n. 29/1997.

Della legge regionale n. 24 del 6 luglio 1998 è stato modificato il testo del 2° comma dell’art. 18 che è relativo alle “Aziende agricole in aree vincolate”.

Con la lettera b) del 1° comma dell’art. 20 della legge regionale n. 12 del 10 agosto 2016 è stato introdotto il seguente testo tuttora vigente dell’art. 18 della legge regionale n. 24/1998:

«2. Gli interventi di cui al presente articolo sono subordinati, se in deroga alle norme dei PTP, del PTPR e/o della presente legge, all’approvazione, da parte dell’organo competente, del piano di utilizzazione aziendale (PUA), secondo le modalità indicate nella l.r. 38/1999 e sono corredati del SIP di cui agli articoli 29 e 30.»

Dal momento che “l’organo competente” in materia di approvazione del PUA è un soggetto che non fa parte né del Ministero dell’Ambiente né del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, né risulta che in quella sede del procedimento di approvazione debbano essere acquisiti le autorizzazioni paesaggistiche ed i nulla osta delle Soprintendenze competenti, appare evidente la violazione  del 3° comma dell’art. 145 da parte della disposizione del 2° comma dell’art. 18 della legge regionale n. 24/1998.  

Della legge regionale n. 29/1997 è stato modificato il testo della lettera d) del 4° comma dell’art. 8.

Con la lettera c) del n. 7) del 1° comma dell’art. 9 della legge regionale n. 12 del 10 agosto 2016 è stato introdotto il seguente testo, vigente prima della approvazione della legge regionale n. 7 del 22 ottobre 2018: «la lettera d) del comma 4 è sostituita dalla seguente: d) le attività agricole, le attività connesse e compatibili di cui alla l.r. 38/1999 e gli interventi previsti dai piani di utilizzazione aziendale (PUA) disciplinati dall’articolo 31, dalla l.r. 38/1999 e dall’articolo 18 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico), nonché gli interventi di imboschimento e di utilizzazione dei boschi e dei beni silvo-pastorali, fatte salve le finalità di tutela della presente legge e fermo restando quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, della l. 394/1991;».

Con l’art. 5, comma 1, lettera b) numero 2) punto 2.1 della legge regionale n. 7 del 22 ottobre 2018 il suddetto testo è stato sostituito dal seguente: «d) le attività agricole di cui all’articolo 31», così come a sua volta modificato anche e soprattutto dall’art. 5, comma 1, lettera i), numero 7) punto 7.2, secondo cui «il PUA redatto secondo le modalità della l.r. 38/1999, previa indicazione dei risultati che si intendono perseguire, può  prevedere la necessità di derogare alle previsioni del piano dell’area naturale protetta redatto ai sensi dell’articolo 26, comma 1, lettera f) ad esclusione delle normative definite per le zone di riserva integrale.»

Con una formulazione del tutto inappropriata sia della lettera d) del 4° comma dell’art. 8 che dell’art. 31 della legge regionale n. 29/1997 (si dirà più avanti nello specifico della deroga alle previsioni dei Piani di Assetto), in regime di “misure di salvaguardia” sono consentiti fra le “attività agricole” anche se non soprattutto PUA in deroga alle norme sia dei PTP che del PTPR, ai sensi del 2° comma dell’art. 18 della legge regionale n. 24/1998.   

Di qui, per quanto precedentemente detto, la violazione tanto del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42 del 22 febbraio 2004  quanto del 5° comma dell’art. 9 della legge regionale n. 24/1998, relativo alla «Protezione dei parchi e delle riserve naturali».

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 2 –  Art. 5, comma 1, lettera g) punto 1) [integrazione della lettera b bis) del comma 1 bis) dell’art. 26 della legge regionale n. 29/1997]

 Art. 26
(Piano dell’area naturale protetta)

Comma 1 bis: «Nelle zone di cui al comma 1, lettera f), ad esclusione delle zone di riserva integrale, sono consentiti: .. b bis) previo nulla osta dell’ente di gestione di cui all’articolo 28, la realizzazione di strutture amovibili (pergolati, gazebi, pergotende e palloni pressostatici) che non comportano trasformazione permanente del territorio. Tali strutture sono da ricollegarsi ad uso temporaneo, e comunque non superiore a 6 mesi consecutivi nell’arco dell’anno solare, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione.» (testo previgente)

1 bis: «Nelle zone di cui al comma 1, lettera f), ad esclusione delle zone di riserva integrale, sono consentiti: .. b bis) previo nulla osta dell’ente di gestione di cui all’articolo 28, la realizzazione di strutture amovibili (pergolati, gazebi, chioschi, tettoie, pergotende e palloni pressostatici) che non comportano trasformazione permanente del territorio. Tali strutture sono da ricollegarsi ad uso temporaneo, e comunque non superiore a 6 mesi consecutivi nell’arco dell’anno solare, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione.» (testo ora vigente)

Violazioni 

Violazione dell’art. 12, comma 2, lettere b) e c) della legge quadro n. 394 del 6 dicembre 1991 

Violazione dell’art. 26, comma 1, lettera f), punti 2) e 3) 

Motivazioni

Sia la legge quadro n. 394/1991 che la legge regionale n. 29/1997 dispongono che nelle zone di riserva generale «è vietato realizzare nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio» dal momento che vi sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria e di manutenzione straordinaria, mentre nelle zone di protezione sono ammassi interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo.

L’articolo 9, comma 1, lettera i), della legge regionale 10 agosto 2016 ha aggiunto al comma 1 bis la lettera b bis) dal seguente testo: «previo nulla osta dell’ente di gestione di cui all’articolo 28, la realizzazione di strutture amovibili (pergolati, gazebi, pergotende e palloni pressostatici) che non comportano trasformazione permanente del territorio. Tali strutture sono da ricollegarsi ad uso temporaneo, e comunque non superiore a 6 mesi consecutivi nell’arco dell’anno solare, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione.»

La pubblicazione del Glossario unico per le opere di edilizia libera ha contribuito a mettere ordine in questo campo, specificando le tipologie di manufatti leggeri che rientrano negli interventi di edilizia libera e che non necessitano di alcun titolo abilitativo.

Il glossario specifica che non è necessario richiedere alcun titolo edilizio per l’installazione, la riparazione, la sostituzione o il rinnovamento di  pergotende.

Il Glossario unico (DM 2 marzo 2018ufficializza l’orientamento della giurisprudenza secondo cui questa tipologia di interventi non ha rilevanza edilizia e non richiede alcun permesso perché ha una semplice funzione accessoria di arredo dello spazio esterno, limitata nel tempo.

Ma per il Consiglio di Stato una pergotenda, essendo simile ad una tettoia, potrebbe trovarsi tra due casi opposti: realizzazione senza permessi (se assimilabile più ad una tenda e a una struttura leggera) oppure realizzazione con permesso di costruire ( se assimilabile ad un intervento di nuova costruzione come accade per tettoie di particolari dimensioni e caratteristiche).

Il glossario include l’installazione, la riparazione, la sostituzione e il rinnovamento di gazebo e pergolati tra le opere di edilizia libera, purché siano di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo. 

Si tratta di un particolare di non secondaria importanza che il testo della lettera b bis) non precisa: comunque sia,  quanto meno i pergolati, i gazebi, e le pergotende dal momento che si configurano pur sempre come interventi di edilizia libera si configurano come nuove costruzioni che in quanto tali e benché temporanee non possono essere consentite all’interno né delle zone 2) di riserva generale né nelle zone 3) di protezione, né per esse può essere rilasciato il nulla osta. 

Ora la legge regionale n. 7 del 22 ottobre 2018 ha aggiunto anche i chioschi e le tettoie fra gli interventi realizzabili anche nelle zone b) di riserva generale e b) c) di protezione.

Per la realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino di natura permanente e manufatti consimili aperti su più lati, aventi una superficie non superiore a 30 mq o di manufatti accessori o volumi tecnici con volume emergente fuori terra non superiore a 30 mc è comunque necessaria l’autorizzazione paesaggistica semplificata. 

Ma quand’anche si possano assimilare ad interventi di edilizia libera, sono pur sempre equiparabili a nuove costruzioni che in quanto tali sono vietate sia nelle zone 2) di riserva generale che nelle zone 3) di protezione né per esse può essere rilasciato il relativo nulla osta. 

Di qui la violazione della disciplina di tutela delle suddette due zone dei Piani di Assetto di parchi e riserve del Lazio. 

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 3 – Art. 5, comma 1, lettera g) punto 2) [sostituzione e integrazione dell’ultima parte del testo del comma 4 dell’art. 26 della legge regionale n. 29/997] 

Art. 26
(Piano dell’area naturale protetta) 

Comma 4: «Il piano adottato ai sensi dei commi precedenti è depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione. L’ente di gestione provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell’avvenuto deposito e del relativo periodo. Durante questo periodo chiunque può prenderne visione e presentare osservazioni scritte all’ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale. Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame congiunto della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette e della sezione prima del CTCR, propone al Consiglio regionale, l’approvazione del piano, apportando eventuali modifiche ed integrazioni e pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute»; (testo previgente)

4: «Il piano adottato ai sensi dei commi precedenti è depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione. L’ente di gestione provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell’avvenuto deposito e del relativo periodo. Durante questo periodo chiunque può prenderne visione e presentare osservazioni scritte all’ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale. Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame, da effettuarsi entro il limite di tre anni, della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette, apporta eventuali modifiche ed integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute e ne propone al Consiglio regionale l’approvazione.

Trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente, la proposta è iscritta all’ordine del giorno dell’Aula ai sensi dell’articolo 63, comma 3, del regolamento dei lavori del Consiglio regionale. Il Consiglio regionale si esprime sulla proposta di piano entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato.» (testo ora vigente)

Violazioni

 Violazione della lettera g) del 2° comma dell’art. 23 dello Statuto della Regione Lazio 

Violazione del 1° comma dell’art. 13 della stessa legge n. 241/1990 

Motivazioni 

Si porta a conoscenza delle modifiche alla legge regionale n. 29/1997 che la Giunta Regionale del Lazio avrebbe voluto far approvare con la proposta di legge n. 55 del 19 luglio 2018 riguardo ai Piani di Assetto delle aree naturali protette istituite nel Lazio.

Il testo vigente del 4° comma dell’art. 26 della legge regionale, prima di essere modificato dalla legge in esame, disponeva che «entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame congiunto della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette e della sezione prima del CTCR, propone al Consiglio regionale, l’approvazione del piano, apportando eventuali modifiche ed integrazioni e pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute».

La lettera c) del 1° comma dell’art. 3 della proposta di legge n. 55 del 19 luglio 2019, chiedeva di sostituire il periodo suddetto con il seguente: «Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale apporta eventuali modifiche ed integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute, e approva il piano, previo parere obbligatorio della Commissione consiliare competente.»

Viene eliminata l’acquisizione del parere congiunto della Direzione Ambiente della Regionale Lazio con il Comitato Tecnico Consultivo Regionale (C.T.C.R.), “politicizzando” del tutto il procedimento di approvazione dei Piani di Assetto.

Al riguardo la Relazione illustrativa dà il seguente chiarimento: «Con le modifiche proposte all’articolo 26 della medesima legge regionale si semplifica il procedimento di approvazione dei piani di assetto delle Aree naturali protette, prevedendo che, a valle dell’iter partecipativo che già vede il coinvolgimento degli enti locali e dei cittadini interessati, attribuisce in capo alla Giunta regionale l’approvazione definitiva dei piani, previo parere obbligatorio della Commissione consiliare competente.»

Si sarebbe quindi tolto al Consiglio Regionale il diritto di approvare i Piani di Assetto, lasciando solo l’obbligatorietà del parere obbligatorio, ma comunque non vincolante, della VIII Commissione Consiliare permanente per l’Ambiente.

La proposta di legge regionale n. 55/2018 è stata assegnata alle commissioni IV, I, V, VII, VIII, IX, X, XI E XII con richiesta anche del parere del Consiglio delle Autonomie Locali (C.A.L.), ma a pronunciarsi su di essa il 6 agosto 2018 è stata solo la IV Commissione Bilancio, che a maggioranza ha approvato una serie di emendamenti e di subemendamenti, tra cui il seguente.

 

 Il suddetto emendamento è stato poi approvato: dà un tempo di 3 anni alla “struttura regionale competente in materia di aree naturali protette” (presumibilmente la Direzione Ambiente) per  esaminare il Piano di Assetto adottato, osservato e controdedotto, concede un tempo illimitato alla Giunta Regionale per apportare eventuali modifiche e integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute, mentre concede alla VIII Commissione Ambiente solo tre mesi di tempo dalla assegnazione ad essa della proposta di piano, trascorsi inutilmente i quali la proposta è iscritta d’ufficio all’ordine del giorno dei lavori del Consiglio Regionale cui viene concesso solo un margine di tempo di 4 mesi per “esprimersi”, decorsi i quali il piano si intende approvato, senza che venga specificato in quali forme e modi.

Con la norma così come formulata ed approvata viene a scattare un doppio silenzio-assenso: il 1° si verifica se la VIII Commissione Ambiente fa passare 3 mesi di tempo senza esprimere il proprio parere riguardo alla proposta di piano trasmessa dalla Giunta Regionale, il 2° silenzio-assenso si verifica se il Consiglio Regionale fa passare 4 mesi senza avere approvato il Piano di Assetto (secondo la nuova norma senza “esprimersi”). 

C’è da far presente che la precedente Giunta Regionale aveva già tentato di far approvare per silenzio-assenso i Piani di Assetto con la Proposta di legge n. 402 del 26 ottobre 2017 concernente “Disposizioni in materia di ambiente”, che all’art. 5 prevedeva sostanzialmente l’approvazione per silenzio-assenso dei Piani di Assetto dei parchi e delle riserve naturali regionali istituite, se il Consiglio Regionale entro 90 giorni dalla data entro cui la proposta della Giunta Regionale gli viene trasmessa non si “esprime” sul relativo Piano di Assetto, di cui per legge spetta a lui deliberare la definitiva approvazione e non solo l’espressione di un “parere”.  

Sul piano tecnico-giuridico si fa presente che l’istituto del silenzio-assenso per l’approvazione tacita di qualunque tipo di pianificazione non è previsto dalla normativa vigente in materia, vale a dire dall’art. 17-bis della legge n. 241/1990, che è relativo al «Silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici» e che è stato introdotto dalla cosiddetta “legge Madia” n. 127/2015, dal momento che si applica a livello endoprocedimentale solo per «l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche», per cui – come specificato ancor più espressamente dal 1° comma dell’art. 13 della stessa legge n. 241/1990 – «le disposizioni contenute nel presente capo [tra cui rientra anche l’art. 17-bis] non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti … di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.» 

Per il caso specifico non risulta essere stata rispettata, anche e soprattutto sul piano “politico”, la “imparzialità” sancita dall’art. 97 della Costituzione perché un emendamento del genere arriva in totale eccesso di potere ad esautorare di fatto la stessa sovranità del Consiglio Regionale, in violazione della lettera g) del 2° comma dell’art. 23 dello stesso Statuto della Regione Lazio, ai sensi della quale fra le funzioni al Consiglio c’è quella di «deliberare, su proposta della Giunta, il piano territoriale generale dell’uso e dell’assetto del territorio ed i relativi piani settoriali», quali sono per l’appunto anche i Piani di Assetto dei parchi e delle riserve naturali istituite nel Lazio. 

Ad essere esautorata è anche la VIII Commissione Ambiente se non esprime parere entro 4 mesi sulla proposta di piano.

Sul piano sempre squisitamente “politico” con una disposizione del genere si è arrivati  al paradosso che ogni consigliere regionale si dovrebbe addirittura “autopunire” per non aver contribuito a far approvare dal Consiglio Regionale un Piano di Assetto di un’area naturale protetta entro 120 giorni: si arriva per di più all’assurdo che – con una simile disposizione – il dibattito su un Piano di Assetto da approvare, se arriva a durare più di 120 giorni, magari anche per colpa delle lungaggini burocratiche, si dovrebbe interrompere immediatamente perché è scattato l’istituto del silenzio-assenso!

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4 – Art. 5, comma 1, lettera h) [aggiunta del comma 1 bis) all’art. 28 della legge regionale n. 29/1997]

 Art. 28
(Nulla osta e poteri d’intervento dell’ente di gestione)

Comma 1 bis: «Nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 (Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124), la richiesta per la realizzazione degli interventi di cui all’articolo 6 del d.p.r. 380/2001 è presentata allo sportello unico di cui all’articolo 5 del medesimo decreto. Per tali fattispecie, il nulla osta di cui al comma 1 è reso entro sessanta giorni dal ricevimento da parte dell’ente gestore della richiesta, decorsi inutilmente i quali il titolo abilitativo si intende reso.» (testo del comma aggiunto ora vigente)

Violazioni 

Violazione del 1° comma dell’art. 13 della legge quadro n. 394 del 6 dicembre 1991 

Motivazioni

Il comma aggiuntivo 1 bis dell’art. 28 della legge regionale n. 29/1997 dispone che ogni richiesta di rilascio di nulla osta per la realizzazione di interventi di edilizia libera, che sia presentata allo sportello unico per l’edilizia, deve intendersi accolta dopo sessanta giorni dal ricevimento da parte dell’ente gestore della richiesta, decorsi inutilmente i quali il titolo abilitativo si intende reso”. 

Si fa presente anzitutto che il citato art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 disciplina la “Attività edilizia libera”, che riguarda una serie di interventi – fra i quali diversi di quelli citati alla lettera b bis) del comma 1 bis dell’art. 26 della legge regionale n. 29/1997 –  che possono essere “eseguiti senza alcun titolo abilitativo”, per cui non si capisce quale sia il titolo abilitativo che si intende reso una volta decorsi inutilmente 60 giorni dal ricevimento  da parte del gestore della richiesta.

Si mette in risalto in secondo luogo che ai sensi del 1° comma dell’art. 13 della legge regionale n. 394/1991, citato e quindi pienamente recepito dall’art. 1 dell’art. 28 della legge regionale n. 29/1997, la richiesta di nulla osta va presentata e quindi protocollata all’Ente di gestione dell’area naturale protetta, per cui i 60 giorni entro cui rilasciare il nulla osta scattano dalla data di registrazione al protocollo dell’Ente della domanda.

Viene messo in maggior risalto che nel rispetto della suddetta disposizione normativa nazionale la formazione del silenzio-assenso scatta solo e soltanto una volta decorsi inutilmente i 60 giorni dalla data di ricezione della domanda di nulla osta da parte dell’Ente Parco e non certo dalla data di “ricevimento da parte dell’ente gestore della richiestache per il caso specifico è lo sportello unico comunale, a cui spetta di trasmettere la domanda di rilascio all’Ente di gestione dell’area naturale protetta, che rilascia o rigetta il nulla osta entro  60 giorni dalla data di registrazione al suo protocollo della istanza. 

È di tutta evidenza che se “l’ente gestore della richiesta” trasmette per assurdo la richiesta all’Ente Parco competente dopo un certo lasso di tempo (magari pari o superiore ai 60 giorni) non si può essere formato alcun silenzio-assenso, per giunta per un “titolo abilitativo” che non esiste.     

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 5 – Art. 5, comma 1, lettera i), punto 7, punto 7.2 [integrazione del comma 2 bis dell’art. 31 della legge regionale n. 29/1997].

 Art. 31

(Sviluppo delle attività agricole )

Comma 2 bis: «Per favorire lo svolgimento delle attività agricole e di quelle connesse e compatibili, i soggetti di cui all’articolo 57 della l.r. 38/1999 possono presentare il PUA, redatto secondo le modalità ivi previste, nel rispetto delle forme di tutela di cui alla presente legge». (testo previgente)

2 bis. «Per favorire lo svolgimento delle attività di cui al presente articolo, i soggetti di cui all’articolo 57 e 57 bis della l.r. 38/1999 possono presentare il PUA, redatto secondo le modalità ivi previste, nel rispetto delle forme di tutela di cui alla presente legge.

Il PUA redatto secondo le modalità della l.r. 38/1999, previa indicazione dei risultati che si intendono perseguire, può  prevedere la necessità di derogare alle previsioni del piano dell’area naturale protetta redatto ai sensi dell’articolo 26, comma 1, lettera f) ad esclusione delle normative definite per le zone di riserva integrale». (testo ora vigente)

Violazioni 

Violazione del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42 del 22 febbraio 2004 e ss.mm.ii. (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), secondo cui «le previsioni dei piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico», ivi compresi i Piani di Utilizzazione Aziendale (P.U.A.)

Motivazioni

I piani di assetto de parchi e delle riserve regionali del Lazio approvati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2016 e ss.mm.ii. sono stati redatti nel rispetto del preventivo ed obbligatorio procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) che comporta la verifica di assoggettabilità che si concretizza in un documento finale di Scoping (art. 12) con cui la Regione detta le prescrizioni per la redazione del Rapporto Ambientale che detta a sua volta le scelte del Piano di Assetto  (2° comma dell’art. 14): fra le prescrizioni del documento conclusivo di Scoping ci sono sempre e comunque quelle relative al rigoroso rispetto delle prescrizioni impartite sia dai Piani Territoriali Paesistici (P.T.P.) approvati che dal Piano Territoriale Paesistico Regionle (P.T.P.R.) al momento solo adotttato, con la clausola che in caso di contrasto tra le norme dei due strumenti vale sempre la prescrizione più restrittiva.

La suddetta prescrizione è sancita dall’ultimo periodo del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii. ai sensi del quale «per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette.»

Ne deriva implicitamente che qualunque P.U.A. che derogasse dalle previsioni di un Piano di Assetto come sopra approvato risulterebbe automaticamente in violazione della suddetta disposizione del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” e presenterebbe quindi vizi di legittimità costituzionale. 

La deroga non è parimenti ammissibile anche nel caso di piani di assetto approvati prima della entrata in vigore del Codice dell’Ambiente e dell’obbligo di procedura di V.A.S., perché i P.U.A. non possono comunque derogare dai P.T.P. e dal P.T.P.R. in quanto lo prescrive espressamente il 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42 del 22 febbraio 2004 e ss.mm.ii.: laddove i P.U.A. prevedano nuove costruzioni, anche soltanto di edilizia libera, non possono comunque derogare dalle prescrizioni relative alle zone di riserva generale ed alle zone di promozione, dove sia la legge nazionale 394/1991 che la legge regionale n. 29/1997 consentono esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo.  

Di qui il vizio di legittimità costituzionale.

 

Roma 13 novembre 2018

 

 

 

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