Nasa, Noaa e Wmo confermano: 2018 quarto anno più caldo mai registrato

 

Se, come certificato dal Cnr all’inizio di gennaio, il 2018 è stato l’anno più caldo mai registrato in Italia, nel resto del mondo non va meglio: secondo le analisi indipendenti della Nasa, della National oceanic and atmospheric administration Usa (Noaa) e della  World meteorological organization (Wmo), «le temperature superficiali globali della Terra nel 2018 sono state le quarte più calda dal 1880».  

La Wmo dice che «in media, a livello globale, la temperatura nel 2018 ha superato di circa 0,38° C (±0,13 °C) la norma del periodo 19881-2010 (stimata a 14,3° C)».

Gli scienziati del Goddard institute for space studies (Giss) della Nasa  aggiungono che, a livello di terre emerse, «le temperature globali nel 2018 sono state di 1,5 gradi Fahrenheit (0,83 gradi Celsius) più calde rispetto al periodo dal 1951 al 1980.  

A livello globale, le temperature del 2018 sono state al di sotto di quelle del 2016, 2017 e 2015.

Gli ultimi 5  anni sono, collettivamente, gli anni più caldi dei dati moderni».

La Wmo evidenzia che «è ormai confermato che gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, che si inscrivono chiaramente nella tendenza al riscaldamento di lungo periodo causato dalle concentrazioni atmosferiche record di gas serra, sono i 4 anni più caldi mai registrati.

Con 1,2° C  in più rispetto all’epoca preindustriale, il 2016, segnato dall’influenza di un potente El Niño, conserva lo status di anno più caldo.

Nel 2015 e nel 2017, lo scarto della temperatura media in rapporto ai valor preindustriali era stato di 1,1° C.

E’ quasi impossibile dividere questi due anni, perché la differenza di temperatura è inferiore al centesimo di grado , cioè meno del margine di errore statistico».

La Noaa fa notare che  nel 2018 «mediamente, la temperatura superficiale globale del mare è stata di 1,19 gradi F sopra la media, mentre la temperatura della superficie terrestre era di 2,02° F gradi sopra la media, entrambe le quarte più alte mai registrate».

Il direttore del Giss, Gavin Schmidt, ha detto che «il 2018 è stato ancora un anno estremamente caldo in testa a una tendenza al riscaldamento globale a lungo termine».

Gli scienziati statunitensi sottolineano che «dal 1880, la temperatura media della superficie globale è aumentata di circa 2 gradi Fahrenheit (1 grado Celsius). 

Questo riscaldamento è stato guidato in gran parte da un aumento delle emissioni in atmosfera di anidride carbonica e altri gas serra causato dalle attività umane»

Dato che le dinamiche meteorologiche spesso influenzano le temperature regionali, non tutte le regioni della Terra hanno sperimentato lo stesso aumento di temperature. 

La Noaa ha rilevato che «la temperatura media annuale del 2018 per i 48 Stati contigui degli Usa è stata la 14esima più calda mai registrata» e  il particolare l’ovest delle Montagne Rocciose e lungo le coste del Southeast, ma anche le Northern Plains e l’Upper Midwest hanno sperimentato temperature superiori al normale.

Il trend più forte al riscaldamento è stato ancora una volta nell’Artico che nel 2018 ha visto continuare la perdita di ghiaccio marino. 

Inoltre, la perdita di massa dalle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartico ha continuato a contribuire all’innalzamento del livello del mare. 

Gran parte dell’Europa, la Nuova Zelanda e  parti del Medio Oriente e della Russia hanno registrato temperature terrestri elevate. Anche parti dell’Oceano Pacifico meridionale e parti dell’Oceano Atlantico del nord e del sud hanno registrato temperature record della superficie del mare.

Secondo Schmidt, «l’aumento delle temperature può contribuire anche a stagioni degli incendi più lunghe e ad alcuni eventi meteorologici estremi.

Gli impatti del riscaldamento globale a lungo termine sono già stati avvertiti: inondazioni costiere, ondate di cado, precipitazioni intense e cambiamenti nell’ecosistema».

E il 2019 non si annuncia certo sotto i migliori auspici: l’Australia ha conosciuto il gennaio più caldo mai registrato, segnato da ondate di caldo di una durata e di un’ampiezza senza precedenti.

Anche la Tasmania ha vissuto il gennaio più secco da quando vengono registrati i dati, con enormi incendi boschivi, In gran parte del territorio australiano le condizioni meteorologiche estreme favoriscono incendi sempre più frequenti de anche le ondate di caldo si stanno moltiplicando.

A gennaio, mentre il caldo estremo soffocava l’emisfero australe, un’ondata di freddo polare si è abbattuta su parte del Nord America e il segretario generale della Wmo,  Petteri Taalas, conclude: «L’ondata di freddo negli Usa non contraddice la realtà del cambiamento climatico.

L’Artico si riscalda a un ritmo due volte più rapido della media mondiale e si è già sciolta una quantità di ghiaccio considerevole.

Questi cambiamenti si ripercuotono generalmente sui regimi meteorologici dell’emisfero nord, dove le anomalie fredde constatate a latitudini più basse potrebbero, per alcuni, essere legate agli sconvolgimenti nell’Artico.

Quel che succede ai Poli non resta confinato ai Poli, ma influenza le condizioni meteorologiche e climatiche in altre regioni, dove vivono centinaia di milioni di persone».

 

(Articolo di Umberto Mazzantini, pubblicato con questo titolo il 7 febbraio 2019 sul sito online “greenrepor.it)

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