Non c’è giustizia climatica senza giustizia sociale: il nuovo modello di sviluppo passa da qui

 

Per gli eventi nazionali del Festival dello sviluppo sostenibile dell’ASviS, il 31 maggio pomeriggio presso l’Auditorium di via Rieti a Roma Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato il convegno “Priorità per una transizione ambiziosa, giusta e sostenibile”.

Un’occasione per approfondire tematiche quali la giustizia climatica, il finanziamento sostenibile, la trasformazione elettrica dell’energia, i nuovi trasporti e il Piano energia e clima (qui il link per scaricare il programma e registrarsi: http://festivalsvilupposostenibile.it/2019/gli-eventi-nazionali/441-2318/31-maggio-cambiamento-climatico-ed-energia).

Già oggi il cambiamento climatico sta determinando effetti drammatici nel nostro Paese e a livello globale.

Se non agiamo immediatamente, raggiungeremo presto livelli di danno irreversibile per il pianeta che metteranno a rischio di estinzione molte specie, compresa quella umana.

Lo Special report 1,5° dell’Ipcc ha spiegato chiaramente che abbiamo solo 11 anni per contenere gli effetti devastanti del riscaldamento globale, mettendo in atto cambiamenti senza precedenti in tutti i settori economici.

La lotta ai cambiamenti climatici è dunque la sfida più  impegnativa dei prossimi anni: nel convegno del 31 si parlerà di come debba avvenire questo radicale cambiamento, di quali caratteristiche e quali priorità debbano essere rispettate affinché il cambiamento, oltre ad essere efficace, sia sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale, mirando al raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, compreso quello della piena occupazione.

Parleremo di giustizia intergenerazionale e intragenerazionale: sul diritto delle future generazioni a ricevere un pianeta in condizioni almeno pari rispetto a quelle in cui l’abbiamo ereditato noi e sulla necessità di garantire una transizione socialmente giusta, che non lasci nessuno indietro, anche pensando a misure di compensazione per contenere gli impatti economici, preservare l’occupazione di qualità, il diritto all’acqua, all’energia e alla mobilità sostenibile anche per le fasce più deboli delle popolazioni.

Parleremo di partecipazione, convinti che la trasformazione deve essere attuata partendo da processi di partecipazione democratica con il pieno coinvolgimento di cittadini, istituzioni centrali, aziende, enti locali, lavoratori, sindacati, imprenditori, enti finanziari, centri di ricerca, università, associazioni della società civile e comunità. Parleremo di contrattazione fra Governo e parti sociali, perché per garantire una giusta transizione va attivata subito,  in modo da verificare i posti di lavoro che andranno persi con il superamento del sistema energetico fossile – per esempio nel phase out dal carbone previsto entro il 2025 – per programmare investimenti per la creazione di nuovi posti di lavoro sostenibili, per definire misure di sostegno al reddito, riqualificazione professionale e ricollocazione nei nuovi posti di lavoro per i lavoratori coinvolti nella transizione.

La decarbonizzazione di tutte le attività economiche e di tutti i settori deve essere pianificata tenendo conto delle indicazioni dello special report dell’Ipcc.

Il Piano energia e clima presentato dal Governo ha obiettivi insufficienti che devono essere rivisti, così come devono essere rivisti gli obiettivi di riduzione delle emissioni europei.

Affinché la transizione si realizzi servono adeguati investimenti pubblici e privati per l’innovazione tecnologica, le infrastrutture per le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, la rigenerazione urbana, la mobilità sostenibile, la prevenzione e messa in sicurezza del territorio e per i piani di adattamento al cambiamento climatico.

I finanziamenti pubblici per formazione, ricerca e innovazione tecnologica devono essere orientati prioritariamente alla trasformazione sostenibile di tutti i settori del sistema produttivo e all’adeguamento delle competenze dei lavoratori e occorrono strumenti finanziari adeguati, una riforma fiscale ecologica e un utilizzo degli appalti pubblici, che orientino il mercato e gli investimenti privati verso produzioni e consumi sostenibili.

Di tutto questo parleremmo il 31 con tanti soggetti diversi, perché solo con l’azione collettiva si può realizzare il cambiamento culturale, politico ed economico necessario, avendo ben presente che il nostro Governo ma anche l’Europa ancora sono molto distanti dal prendere le decisioni necessarie.

Recentemente alcuni Stati e alcune amministrazioni locali hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica.

È un segnale positivo ma non è sufficiente.

La dichiarazione finale della riunione della Commissione europea dello scorso 9 maggio a Sibiu ha solo un generico passaggio sulla responsabilità nell’affrontare le sfide globali come la tutela dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.

La nota sul clima presentata da otto paesi con misure concrete per azzerare le emissioni entro il 2050, per un bilancio europeo più orientato a rafforzare la transizione, destinando almeno il 25% del budget alla lotta al cambiamento climatico e non finanziando nessun progetto dannoso per il clima e la revisione del ruolo della Banca europea degli investimenti orientandolo alla lotta al cambiamento climatico è stata bocciata, anche dall’Italia.

È solo un esempio ma rende bene l’idea di quanto ancora dobbiamo lottare per la giustizia climatica.

 

(Articolo di Simona Fabiani, pubblicato con questo titolo il 28 maggio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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