Papa Francesco: “Un politico non deve mai seminare odio e paura, ma speranza”

 

Papa Francesco torna dalla Romania e, dopo aver fatto uno storico «mea culpa» per le discriminazioni di cui anche la Chiesa si è macchiata nei confronti della popolazione Rom, sul volo di ritorno verso Roma esprime tutta la sua preoccupazione per il presente e il futuro del vecchio continente.

Mentre sull’udienza che non avrebbe concesso al vicepremier Matteo Salvini spiega: «Nessuno del governo, eccetto il premier Conte, ha chiesto udienza (già avvenuta, ndr).

Perché l’udienza la si deve chiedere alla Segreteria di Stato: il premier Conte l’ha chiesta ed è andata come da protocollo.

È stata una bella udienza.

Conte è un uomo intelligente, un professore, sa di che cosa parla.

Dal vicepremier e da altri ministri non ho ricevuto richieste».

Santità, nella campagna elettorale per le recenti elezioni europee alcuni leader sovranisti, a cominciare dal vicepremier Matteo Salvini in Italia, hanno esibito simboli religiosi nei comizi: bacio del Rosario, affidamenti al cuore immacolato di Maria eccetera.

Che impressione le ha fatto?

Ed è vero che lei non vuole incontrare Salvini?

«Io non ho sentito che nessuno del governo, eccetto il premier, abbia chiesto udienza, nessuno.

Per una udienza si deve parlare alla Segreteria di Stato.

Il premier Conte l’ha chiesta ed è stata fatta come indica il protocollo.

Una bella udienza, un’ora o più forse, un uomo intelligente, un professore.

I vicepremier non li ho ricevuti, altri ministri neppure.

Ho ricevuto il Presidente della Repubblica…

Leggendo i giornali, non sono entrato in queste notizie, come ha fatto propaganda un partito o l’altro…

E poi mi confesso ignorante, non capisco la politica italiana, è vero che devo studiare…

Dire un’opinione sulla campagna elettorale di uno dei partiti non sarebbe molto prudente.

Io prego perché gli italiani si uniscano e siano leali.

Io sono italiano perché sono figlio di emigranti italiani, tutti i miei fratelli hanno la cittadinanza, io non ho voluto perché il vescovo deve essere della patria.

C’è nella politica di tanti Paesi la malattia della corruzione, dappertutto.

Ma domani non dite, “il Papa ha detto che la politica italiana è corrotta”, no, è una malattia universale.

Dobbiamo aiutare i politici a essere onesti, a non fare campagna con bandiere disoneste, la calunnia, la diffamazione, gli scandali o, come accade tante volte, seminando odio e paura: questo è terribile.

Un politico mai, mai deve seminare odio e paura, soltanto speranza.

Giusta, esigente, ma speranza: perché deve condurre il Paese lì».

Lei ha parlato di fraternità ma in Europa cresce il numero di quelli che preferiscono camminare da soli.

Perché è così e cosa deve fare l’Europa per cambiare?

«Tutti siamo responsabili della Unione europea, tutti.

La rotazione del presidente è simbolo della responsabilità che ognuno dei Paesi ha dell’Europa.

Se l’Europa non guarda bene le sfide future, appassirà.

A Strasburgo dissi che sta finendo di essere la mamma Europa e sta diventando la nonna Europa.

Si è invecchiata, ha perso l’impulso a lavorare assieme.

Qualcuno forse si domanderà: non sarà la fine di un sogno durato settanta anni?

L’Europa ha bisogno di riprendere se stessa, superare le divisioni.

Stiamo vedendo delle frontiere, e questo non fa bene.

È vero che ognuno dei Paesi ha la sua cultura e deve custodirla, ma con la mistica del poliedro: si rispettano le culture di tutti, ma tutti uniti.

Che l’Europa non si lasci vincere dal pessimismo o dalle ideologie, perché l’Europa è attaccata non con cannoni o bombe ma da ideologie che non sono europee, vengono da fuori.

Pensiamo all’Europa divisa e belligerante del ’14, del ’33, del ’39…

Impariamo da questo, impariamo dalla storia, non cadiamo nello stesso buco».

Di Benedetto XVI aveva detto che è come avere un nonno in casa, continua a vederlo così?

«È vero, ora di più!

Ogni volta che vado da lui a visitarlo lo sento così, gli prendo la mano, lo faccio parlare, parla poco, parla adagio ma con la stessa profondità di sempre.

Il problema di Benedetto sono le ginocchia, non la testa.

Ha una lucidità grande.

Sentendo Benedetto sento questa tradizione della Chiesa che non è una cosa da museo ma è come le radici: ti danno il succo per crescere, e tu non diventerai come le radici, ma fiorirai e darai frutti, e i semi saranno le radici degli altri…

Sull’Osservatore ho letto una frase di Mahler: la tradizione è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri.

Non è un museo, la tradizione, non custodisce le ceneri, non è la nostalgia delle ceneri».

Milioni di romeni sono emigrati.

Che cosa dice a un genitore che lascia i propri figli per andare all’estero e assicurare loro una vita migliore?
«Mi fa pensare all’amore della famiglia, staccarsi non è una cosa bella, c’è sempre la nostalgia di ritrovarsi.

Il distacco è sempre doloroso, farlo perché non manchi nulla alla famiglia è un atto di amore.

Non se ne vanno per fare turismo, ma per necessità.

Tante volte sono i risultati di una politica mondiale, della situazione mondiale dell’economia, dall’ordine mondiale finanziario.

Ci sono imprese che chiudono per riaprire altrove e guadagnare di più, lasciando la gente per strada.

Questa è ingiustizia mondiale, mancanza di solidarietà, una sofferenza…

Nella società del consumismo, dell’avere di più e del guadagnare di più, tanta gente rimane sola.

Il mio è un appello alla solidarietà mondiale».

Che cosa consiglia ai romeni, quali dovrebbero essere i rapporti tra minoranza cattolica e maggioranza ortodossa, tra etnie, nella società civile?

«Il rapporto della mano tesa, quando ci sono conflitti.

Un Paese in sviluppo con alti tassi di nascita non può permettersi il lusso di avere nemici dentro.

Sempre la mano tesa.

Con l’ortodossia, l’ecumenismo non è arrivare alla fine della partita, si fa camminando insieme e pregando insieme.

Nella storia abbiamo l’ecumenismo del sangue, quando uccidevano i cristiani senza chiedere se fossero cattolici o ortodossi, e c’è anche l’ecumenismo della testimonianza, del povero, lavorare insieme per aiutare gli ammalati, gli infermi, la gente al marine di un minimo di benessere.

Mani tese, guardarsi meglio, non sparlare degli altri».

Nel primo giorno del viaggio, quando lei e il patriarca avete pregato ognuno per conto suo il Padre Nostro, è stato un momento bello ma anche un po’ duro.

Cosa pensava quando è rimasto in silenzio mentre il patriarca pregava in romeno?

«Farò una confidenza, non sono rimasto in silenzio.

Io ho pregato il Padre Nostro in italiano durante la recita…

La maggior parte della gente pregava sia romeno sia in latino.

La gente va oltre noi capi.

Noi capi dobbiamo fare degli equilibri diplomatici, ci sono abitudini e regole che è buono custodire perché le cose non si rovinino, ma il popolo prega assieme.

Anche noi quando siamo da soli preghiamo insieme.

I patriarchi sono aperti.

E anche noi cattolici abbiamo gente chiusa che non vuole, dice che gli ortodossi sono scismatici, cose vecchie: gli ortodossi sono cristiani.

Se ci sono gruppi cattolici un po’ integralisti, dobbiamo pregare per loro».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 3 giugno 2019 sul quotidiano “la Repubblica”

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