Pescatori spazzini a San Benedetto: “Tra sogliole e mazzancolle, tonnellate di plastica nelle nostre reti”

 

C’ERA anche una testa che spuntava in mezzo a seppie, calamari e gamberetti, rimasta impigliata nelle reti a strascico dei pescatori di San Benedetto.

Il capo mozzato di una bambola o un manichino.

Tornato in superficie assieme a quei frammenti smarriti o dimenticati del consumismo usa e getta che finiscono in una delle sacche più chiuse (l’Adriatico) della più grande pattumiera del mondo, i mari e gli oceani.

Quasi un quarto del peso che i pescatori sollevano dall’acqua e riversano sul ponte è fatto di rifiuti.

Più della metà di questi è plastica.

Con la mia barca tiriamo su una media di 100 chili di pesce in una giornata di lavoro, e ogni sera sbarchiamo 20 o 30 chili di rifiuti – racconta Carlo Governatori, che pesca sogliole, canocchie e mazzancolle a bordo del suo Martin Pescatore – normalmente, se li portassimo a terra, rischieremmo di dover pagare lo smaltimento.

Così eravamo costretti a ributtarli in mare“.

Per un mese i 40 pescherecci di San Benedetto che hanno aderito all’iniziativa “A pesca di plastica”, una volta rientrati nel porto, hanno scaricato non solo il pescato, pronto per essere venduto, ma anche gli altri oggetti tirati su.

Una tonnellata alla settimana.

Il buco legislativo

Per legge non potrebbero farlo.

Il trasporto di rifiuti, infatti, è riservato a chi è iscritto a un apposito registro: “È possibile solo in accordo con il Comune e la Capitaneria di porto, ma sono situazioni sporadiche, come nel caso di ‘A pesca di plastica’ – spiega Eleonora De Sabata, giornalista e fotografa, che ha ideato e coordina 

Clean sea life, progetto europeo finanziato nell’ambito dei programmi Life – perché le direttive che disciplinano il trasporto rifiuti non si fa accenno a quelli marini e nessuno sa o ha il dovere di trattarli“.

Un paradosso: gli unici che sottraggono rifiuti a quella zuppa di plastica che stanno diventando i mari, sono costretti a rigettarli in acqua.

E non potrebbero nemmeno buttarli di nuovo in mare una volta pescati, perché anche quello sarebbe illegale.

I pescatori di San Benedetto hanno dato grande disponibilità a collaborare all’iniziativa.

Oltre a migliorare, il loro lavoro assumerebbe anche una valenza sociale, per la salute dei mari ma anche del pesce che mettiamo in tavola.

Lo facciamo volentieri – afferma il pescatore – e magari avere sconti proprio sulle tasse dei rifiuti che a San Benedetto paghiamo per la nostra attività potrebbero essere un incentivo“.

Il ddl ‘Salva mare’

Il Consiglio dei ministri ha licenziato ad aprile il 

disegno di legge ‘Salva mare’, che una volta approvato dal Parlamento dovrebbe permettere ai pescatori di trasportare i rifiuti in porto per poi essere trattati, smaltiti o riciclati.

La deputata Paola Deiana è la relatrice del ddl, ed è stata in visita a proprio a San Benedetto del Tronto: “È venuta per confrontarsi con noi e con le aziende su questa esperienza, per correggere e migliorare il testo.

Siamo stati un banco di prova per questo disegno di legge, nel momento giusto per scriverlo come si deve“, sottolinea la fotografa.

Dalle buste agli scooter

Il campionario di oggetti finiti tra le reti dei pescatori marchigiani è un catalogo da museo degli orrori: si va dalle buste di detersivi, alle sedie da giardino, dai manichini ai palloncini.

Dal fondo del mare emerge anche la tastiera di un pc e persino una maschera antigas: “Il tipo di rifiuti dipende anche da dove avviene la pesca – aggiunge De Sabata – più sottocosta troviamo soprattutto le reti per l’allevamento delle cozze. Al largo, sulle rotte delle grandi navi, gli oggetti sono diversi. Per esempio le latte di vernice“.

Quando trovano gli scarti, i pescatori si arrabbiano tantissimo, perché possono contaminare il pesce e così sono costretti a gettare via tutto.

Ore di lavoro perse: “Mi è capitato di trovare latte di vernice e fusti di catrame pescando al largo, – conferma Governatori – quando vuoti il carico si aprono e il pesce prende puzze strane, diventa irrecuperabile.

Ho trovato anche un proiettile esploso della guerra del Kosovo.

Un amico mi ha mandato la foto di uno scooter nella sua rete“.

Palloncini killer

E poi ci sono i palloncini.

Uno ripescato ha ancora i colori vivaci e i disegni Disney dei film d’animazione Cars: “Galleggiano in acqua come calamari e gli uccelli se ne cibano.

Secondo uno studio, sono 32 volte più letali della plastica rigida, perché aderiscono alle pareti dello stomaco.

Siamo riusciti a convincere tre sindaci di comuni pugliesi, Maruggio, Bitonto e Giovinazzo, a bandirli“, continua la responsabile di Clean sea life.

Spazzatura che, quando non ammazza uccelli, 

balene e capodogli, resta in acqua, si degrada, e avvelena noi.

Lo smaltimento: il riciclo impossibile

“A pesca di plastica” è stato anche un banco di prova anche per la filiera dello smaltimento.

Finora non sapevamo cosa potesse emergere – specifica De Sabata – ora, grazie alle analisi di Piceno Ambiente sappiamo che dal 20 al 25% dei rifiuti è potenzialmente riciclabile.

Ma tutto dipende dallo stato delle bottiglie e degli imballaggi“.

Organizzata da Clean sea life assieme alla Capitaneria di Porto, all’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale, al Comune di San Benedetto, e alle aziende Picenambiente e Garbage, che si occuperanno dello smaltimento dei rifiuti, “A pesca di plastica” doveva terminare il 7 giugno, alla vigilia della Giornata degli Oceani.

Ma continuerà: “Nella conferenza stampa che terremo venerdì 14 – aggiunge De Sabata – illustreremo i risultati ottenuti finora e annunceremo che l’attività andrà avanti fino a Ferragosto, grazie anche ai nostri sponsor, Fpt e Cnh industrial“.

 

(Articolo di Matteo Marini, pubblicato con questo titolo l’8 giugno 2019 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

 

 

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