Roma sommersa dai rifiuti, l’Ordine dei medici: «Rischio emergenza sanitaria e incendi»

 

Roma non ha abbastanza impianti industriali per gestire i rifiuti prodotti dai propri cittadini: un dato di fatto che la espone a picchi di crisi, come quello che è in corso da settimane, tanto da far scattare l’allarme anche all’Ordine dei medici: «La pericolosa combinazione di cumuli di spazzatura abbandonata intorno ai cassonetti strapieni e il caldo eccezionale di questi giorni sta, infatti, progressivamente trasformando la Capitale in una maleodorante discarica a cielo aperto, con forti rischi per la salute dei cittadini».

Il presidente dell’Ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, ha dunque deciso di (ri)scrivere alla sindaca di Roma, Virginia Raggi, al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, al ministro della Salute, Giulia Grillo, e al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, invitandoli a intervenire «sinergicamente prima che la situazione degeneri ulteriormente» in quanto «Roma sta vivendo un problema nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti urbani che rischia ormai di diventare una vera emergenza sanitaria».

«Roma – constata Magi – è ormai presa nella morsa di rifiuti maleodoranti, montagne di sacchetti che fuoriescono da cassonetti sporchi che vengono abbandonati per terra, con una conseguente allarmante invasione di animali opportunistici quali mosche, blatte, topi, gabbiani che si alimentano di rifiuti.

Le montagne di rifiuti abbandonati in modo incontrollato, specie fuori dai cassonetti, che macerano sotto il sole di questi giorni con le alte temperature, costituiscono un serio rischio per la salute legato alla proliferazione di germi e parassiti con la possibilità di diffusione di malattie infettive attraverso contatto diretto o indiretto tramite gli insetti e soprattutto entrando in contatto con gli escrementi di uccelli e roditori».

Non solo: «Oltre al rischio igienico e sanitario c’è anche quello legato al pericolo di incendi, che sprigionerebbero sostanze molto tossiche per la salute dei cittadini».

L’ultimo di vaste proporzioni risale allo scorso dicembre, quando il Tmb di via Salaria andò a fuoco rilasciando sostanze dannose in atmosfera: l’ex presidente di Ama Daniele Fortini stimò che la combustione incontrollata di 3mila tonnellate di rifiuti abbia sprigionato la quantità di diossina che 100 inceneritori producono in un anno.

Oggi come allora non si tratta però di un problema contingente, ma di una crisi sistemica: Roma è suo malgrado l’esempio di un’economia circolare solo professata, che senza gli impianti industriali necessari per farla funzionare sta portando al collasso la gestione dei rifiuti, fino ad arrivare a gravi conseguenze igieniche e rischi sanitari.

«Basta alzare lo sguardo per rendersi conto che la situazione ritorna a precipitare, senza svuotamento dei cassoni, senza spazzamento e con una città sporca – dichiarava pochi giorni fa Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio – L’amministrazione comunale di Roma, invece di rifiuti zero, porta la capitale all’anno zero sui rifiuti: non c’è un ciclo corretto, non ci sono impianti per gestirlo».

Nella capitale d’Italia crisi cicliche si sono presentate sin dal 2013, quando con Malagrotta chiuse la discarica più grande d’Europa e non vennero realizzati impianti alternativi per recuperare e smaltire i rifiuti che i romani hanno continuato a produrre.

Dal 2017 la Capitale d’Italia ha iniziato «il proprio percorso verso rifiuti zero», riprendendo le parole della sindaca Raggi, e come risultato esporta ad oggi 1 milione di tonnellate di spazzatura l’anno prodotta dai propri cittadini, perché non ha sul territorio gli impianti industriali necessari a gestirla; secondo le stime Ama riportate da Legambiente, si tratta di circa il 44% dei rifiuti capitolini.

La denuncia dell’Ordine dei medici di Roma arriva in un momento in cui la cosiddetta “emergenza” rifiuti sta diventando un problema insostenibile per i residenti capitolini, costretti a vivere ogni giorno in situazioni di grande disagio, con cumuli di spazzatura nelle vie e davanti ad abitazioni, scuole e persino ospedali, obbligati a percorrere strade e marciapiedi sempre più invasi da topi e gabbiani: «Appare chiaro che c’è un problema di gestione del ciclo dei rifiuti che coinvolge più istituzioni – conclude Magi – Comune, Regione e Ministeri ma è arrivato il momento di risolverli superando odiose diatribe di scarico di competenze delle quali i cittadini ne hanno piene le tasche».

L’unica soluzione è realizzare nuovi impianti in grado di gestire tutta la filiera dei rifiuti romani secondo logica di sostenibilità e di prossimità.

«Se non si corre ai ripari subito pianificando la costruzione degli impianti necessari e lavorando seriamente sulle raccolte differenziate, la proiezione per i prossimi anni – ha spiegato recentemente il presidente di Fise Assoambiente, Chicco Testa – è destinata ad allarmare non poco.

Immaginando che Roma sia in grado di riciclare nel 2035 il 65% dei rifiuti, come chiede la Direttiva sui rifiuti del Pacchetto sull’ economia circolare, andranno colmati almeno 30 punti in più di raccolta differenziata, per raggiungere il 75%, visto che non tutto quello che si raccoglie in modo differenziato può essere riciclato.

Un obiettivo oggi ancora molto lontano».

Per il restante 35% (inclusi gli scarti della raccolta differenziata) e per il trattamento della frazione umida, secondo Fise Assoambiente serviranno poi i seguenti impianti: 4/5 impianti di digestione anaerobica per la frazione umida (capacità media pari a 100.000 ton ciascuno); 1 termovalorizzatore per almeno 600.000 ton (più o meno come Acerra); 1 discarica di servizio a Roma o nel Lazio.

Ma nessuno di questi impianti pare ad oggi all’orizzonte.

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 2 luglio 2918 sul sito online “greenreport.it”)

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