Il «bio» non basta, la sfida è il vino naturale

 

Il consumo di vino biologico è una realtà in continua crescita come dimostrano i numeri.

Nel 2018, secondo Nomisma, il 41% degli italiani hanno acquistato almeno una volta una bottiglia di vino biologico e, nello stesso anno, la grande distribuzione ha registrato vendite per 21,6 milioni di euro, l’88% in più di quanto fatto nel 2017, con un prezzo medio alla bottiglia di 5,60 euro.

Le 2200 cantine che in Italia producono seguendo i dettami della vinificazione biologica – contenuti in un regolamento dell’Unione Europea entrato in vigore nell’agosto del 2012 (prima sulle etichette veniva riportato «vino da uve biologiche») – registrano, stando ai dati Nielsen elaborati da Ismea, un trend positivo con le vendite aumentate di oltre il 40% in termini di valore e di volume di vino.

IN DEFINITIVA, STANDO A QUANTO RIPORTATO da FederBio, nel 2018 in Italia si sono prodotti circa 5 milioni di ettolitri di vino biologico.

Ancora una fetta piccola rispetto ai quasi 55milioni di ettolitri di vino prodotti nel nostro Paese, ma è certamente un settore che avrà nei prossimi anni una accelerazione di richieste visto che trova grandi estimatori nei Paesi del nord Europa e negli Stati Uniti.

Di pari passo all’aumento del vino cresce nel nostro Paese anche la superficie a vite coltivate con i dettami dell’agricoltura biologica passando dagli oltre 40mila ettari del 2008 ai 105mila ettari del 2017, compresi quelli in conversione e quasi tutti a uva da vino.

È bio il 12% del totale a vigneto in Italia. Le regioni dove si coltiva più superficie a vite bio sono la Sicilia con quasi 36mila ettari, la Puglia (16.327 ettari), la Toscana (13.477 ettari) e le Marche (5.325 ettari).

Con questi numeri le possibili frodi sono sempre dietro l’angolo.

Proprio per garantire la qualità di tutti prodotti biologici è stato

firmato di recente al Vinitaly di Verona il protocollo d’intesa tra Coldiretti e Federbio che prevede iniziative comuni per una riforma efficace del sistema di certificazione di settore che garantisca la massima integrità e capacità di prevenzione delle frodi oltre che la massima trasparenza delle informazioni lungo tutta la filiera anche nel caso di prodotti importati.

Tutto bene allora nel mondo del vino bio?

Secondo Gabriele Da Prato – presidente di Vi.Te – Vignaioli e Territori, associazione che riunisce oltre 150 vignaioli in Italia, Francia, Slovenia, Austria e promuove il vino naturale, artigianale, biologico e biodinamico – occorre andare oltre la semplice parola biologico e prendere invece in considerazione il termine naturale.

«Se da un lato quella del biologico è la principale certificazione che permette al consumatore di riconoscere un prodotto che non derivi dall’agricoltura convenzionale, dall’altro – afferma Gabriele Da Prato – è spesso fraintesa quale garanzia di reale estraneità a pratiche agricole di tipo industriale. Verosimilmente, dati gli evidenti interessi economici, la produzione biologica seguirà la crescita della domanda, al punto da diventare la normalità in ogni scala produttiva.

La nostra esperienza tuttavia ci conferma sempre di più che la sostenibilità, sia da un punto di vista economico che ambientale, risiede nell’azienda piccola o medio-piccola, dove si sviluppa una profonda relazione tra uno specifico territorio e la persona o la famiglia o gruppo di collaboratori, che lo vive, conosce e lavora quotidianamente».

SECONDO IL PRESIDENTE DI VI.TE. è quindi fondamentale spostare l’attenzione dalla produzione quantitativa a quella qualitativa, che significa rispetto del suolo e della sua fertilità, consapevolezza e attenzione nelle proprie azioni e «un lavoro in cantina volto a minimizzare gli interventi che possano alterare l’espressione di quell’uva, di quel luogo e di quell’annata».

La domanda che si pone Da Prato è come permettere al consumatore di riconoscere questo tipo di vino dal biologico di impostazione industriale?

«In questo contesto assistiamo al sempre più frequente moltiplicarsi di eventi che si autoproclamano naturali – spiega – e che agli occhi del consumatore spesso finiscono per divenire l’unico modo per individuare aziende che rispondono ad aspettative di questo tipo; inutile osservare che nella maggior parte dei casi non è questo lo scenario reale.

Il lavoro che da anni con grande impegno cerchiamo di portare avanti attraverso l’associazione Vignaioli e Territori è la costruzione di un percorso dove l’attenzione possa spostarsi dal vino alla persona che lo produce, alle sue idee, alle sue azioni.

In altri termini: il vignaiolo naturale.

In questo caso la garanzia non è più data da un bollino, ma torna nelle facce e nelle mani delle persone, nella responsabilità delle loro scelte e nella fiducia che queste richiedono».

Una tegola per i viticoltori biologici.

Da sempre chi pratica questo tipo di agricoltura utilizza il rame per la difesa delle viti da alcuni parassiti fungini, come per esempio la peronospora.

Da quest’anno sono in vigore delle nuove norme, volute dall’Unione europea, sull’utilizzo di questo prodotto che di fatto ne limitano l’impiego pregiudicando il raccolto, a detta dei viticoltori, in certe annate particolarmente piovose.

GIA’ NEL 2008 ERA STATO POSTO UN LIMITE di 6/kg/anno/ettaro.

Con il nuovo regolamento è stato ulteriormente ridotto a 4 kg/anno/ettaro a causa dell’impatto che tale sostanza ha sul terreno e quindi sull’ambiente.

La sfida ora è quella di riuscire a ridurre al minimo l’impiego del rame per la difesa delle principali malattie della vite e nel contempo trovare dei metodi alternativi che ne escludano l’utilizzo.

Certo sarebbe stato opportuno prevedere un periodo di sperimentazioni prima di abbassare il limite di rame da 6 a 4 kg/anno/ettaro.

Secondo la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti il rischio ora è quello che alcuni viticoltori possano arrivare a dover abbandonare l’agricoltura biologica e a vedersi nel contempo applicare le richieste di restituzione di contributi eventualmente percepiti con i piani di sviluppo rurale non avendo rispettato l’impegno minimo di anni di adesione a questo regime.

 

(Articolo di Giorgio Vincenzi, pubblicato con questo titolo l’11 luglio 2019 sul sito online del quotidiano “il manifesto”)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas