Curdi, un popolo senza Stato tradito dall’Occidente

 

Tradimento.

Agli occhi dei curdi siriani il ritiro dei soldati americani dalla Siria settentrionale, annunciato domenica sera dal presidente americano Donald Trump – una sorta di semaforo verde all’invasione militare iniziata ieri dall’esercito turco – appare l’ennesimo voltafaccia di un grande potenza ai danni di un alleato considerato sempre troppo piccolo e scomodo. La storia dei curdi è la storia di grandi illusioni seguite da delusioni cocenti.

La nazione senza Stato

Il “grande Kurdistan” è sempre stato un sogno.

Niente di più.

Anche quando una piccola parte di esso, il Kurdistan iracheno, aveva osato indire un referendum, il 25 settembre 2017, votando un’indipendenza dall’Iraq che non è mai avvenuta.

Anzi, che ha decisamente peggiorato le cose rispetto a prima a causa dell’aperta opposizione di Iran, Iraq, Turchia, ma anche del mancato appoggio di Stati Uniti ed Europa.

Nessuno voleva il Kurdistan iracheno.

Nessuno pare volere un Kurdistan siriano indipendente.

Soprattutto la Turchia.

Ankara teme che un simile scenario possa rinvigorire le aspirazioni secessioniste degli oltre 20 milioni di curdi presenti sul suo territorio.

Il popolo curdo – 35-40 milioni – è forse il più grande gruppo etnico senza uno Stato, sparso su un territorio montagnoso che abbraccia Turchia, Siria, Iraq e Iran.

Dalla scoppio della rivolta contro il regime siriano, nel marzo 2011, il Rojava, così come i curdi siriani (il 10% della popolazione) chiamano la zona dove abitano nel nord est della Siria, è divenuto di fatto autonomo.

È qui che ieri è scattata la campagna turca volta a creare una fascia di sicurezza a ridosso del confine.

Il tradimento del 1923

Il primo grande tradimento risale al 24 luglio 1923, a Losanna quando le grandi potenze si rimangiarono quanto promesso tre anni prima in un trattato che gettava le basi per la creazione a uno Stato curdo indipendente.

La storia successiva è costellata di tentativi di indipendenza, abbozzati o riusciti, come la Repubblica di Mahabad , fondata in una piccola regione del Kurdistan iraniano il 22 gennaio 1946.

Un primo tentativo di autonomismo curdo a cui tutte le potenze alleate voltarono le spalle.

E a cui Teheran pose fine dopo 11 mesi.

LA CRONOLOGIA / 100 anni di lotta per l’indipendenza

Argine contro l’Isis

La storia ha spesso giocato contro i curdi.

Eppure, negli ultimi anni sembrava aver virato dalla loro parte.

Quando, nel giugno del 2014, l’esercito iracheno si squagliò come neve al sole davanti all’offensiva dell’Isis, chi salvò il secondo centro petrolifero iracheno furono proprio i peshmerga, le milizie curdo-irachene.

Poco dopo, nel settembre del 2014, gli Usa si misero alla testa di una coalizione internazionale (solo con raid aerei) contro l’Isis.

Fu proprio ai curdi, questa volta quelli siriani (il 10% della popolazione), a cui si rivolse Washington.

Nessun Paese che partecipava alla missione intendeva dispiegare i propri soldati.

Le Ypg, le milizie curdo siriane, divenivano dunque gli indispensabili “scarponi sul terreno” incaricati di conquistare le città sotto il controllo dell’Isis.

Ci riuscirono con successo, pagando però un alto tributo di sangue.

Mentre, nell’estate del 2017, i curdi iracheni si rendevano protagonisti della liberazione di Mosul, la roccaforte irachena dell’Isis, in autunno le Ypg, la spina dorsale della coalizione voluta dagli Usa (le Sdf), si resero protagonisti anche della riconquista di Raqqa, la capitale dell’Isis.

I curdi siriani controllavano così un territorio pari a un quarto della Siria, che comprendeva i pozzi petroliferi in mano al regime di Damasco fino al 2012.

Le due precedenti campagne di Erdogan contro i curdi siriani

Erdogan osservava da vicino quanto avveniva di là del confine.

Ai suoi occhi le Ypg sono sempre state la costola siriana del (Pkk), gruppo separatista curdo attivo in Turchia.

Quindi nient’altro che “terroristi”.

Con il pretesto di allontanare l’Isis dal confine, ma in realtà per impedire che le Ypg potessero controllare quasi tutta la linea di confine, Ankara diede il via all’Operazione “Scudo dell’Eufrate” (agosto 2016 – marzo 2017).

Soltanto 10 mesi dopo Erdogan riaprì le ostilità con la campagna “Ramoscello d’Ulivo”.

L’obiettivo era conquistare il cantone di Afrin e consegnarlo ai miliziani sunniti siriani alleati di Ankara.

Cosa che avvenne in due mesi.

L’offensiva di Erdogan si fermò a Manbij,la città dove si trovava il contingente americano, circa 2mila soldati. I curdi si erano illusi.

L’ultimo tradimento: il ritiro americano voluto da Trump

Ma ecco l’ultimo tradimento.

Per mano di un presidente che non ha mai gradito la presenza americana in Siria.

In agosto, Trump ed Erdogan si sono accordati per rendere stabile il confine tra Turchia e Siria, creando una zona di sicurezza il cui fine era separare le forze curde da quelle turche.

Le Ypg hanno cominciato ad abbandonare gli avamposti.

Meno di due mesi dopo, Trump ha rimangiato l’accordo.

E per i curdi-siriani le cose si stanno mettendo davvero male.

Amareggiati, forse non vogliono nemmeno porsi una domanda di cui temono di conoscere già la risposta.

Al di là delle dichiarazioni di condanna dell’Unione Europea, chi, dei loro potenti alleati, è davvero disposto a venire loro in aiuto, accettando il rischio di una gravissima crisi con la Turchia o di mettere a repentaglio i proprio uomini?

La risposta la conoscono già.

Probabilmente nessuno.

 

(Articolo di Roberto Bongiorni, pubblicato con questo titolo il 6 ottobre 2019 su “Il Sole 24 Ore”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas