La costituzionalità dei provvedimenti presi dal Governo, dai Presidenti delle Regioni e dai Sindaci dei Comuni

 

L’epidemia da coronavirus ha comportato un susseguirsi di vertici Governo-Regioni-Protezione Civile ed ha portato alla emanazione di tutta una serie di provvedimenti, specie da parte del Governo, che hanno portato ad una oggettiva sospensione di libertà costituzionali.

Al di là dei rapporti civili, nell’attuale fase di emergenza sono compressi diritti imprescindibili e irrinunciabili che la nostra Costituzione pone a fondamento dell’intera struttura sociale, politica e istituzionale, sottraendoli persino alla possibilità di revisione da parte del Parlamento: basti pensare ad esempio al diritto di voto, con il rinvio del referendum confermativo della riforma sul numero dei parlamentari.

I provvedimenti del Governo sono stati fatti oggetto di forti critiche riguardo alla limitazione di diritti che la nostra Costituzione sancisce, consacra e dichiara inviolabili, irrinunciabili e indisponibili.

Parliamo dei diritti di libertà, contenuti nella nostra Carta nel Titolo I della Parte I – rapporti civili: dall’art. 13, sulla libertà personale, inteso qui in particolare come libertà da qualunque tipo di costrizione che possa ostacolare movimenti e azioni, all’art. 16, secondo cui “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”, con il secondo comma che aggiunge la libertà di muoversi da e verso l’estero (con e senza Schengen, tutto è saltato con la pandemia).

C’è poi la libertà di riunione dell’art. 17 per cui, in luogo aperto al pubblico (cinema, teatro, stadio), non sarebbe neanche richiesto preavviso, ma le autorità possono vietarle “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”, come è chiaramente il nostro caso.

Ma noi oggi siamo ben oltre, con il divieto espresso di “andare a trovare un amico” anche a casa sua, e persino di andare da un proprio familiare (si cerca di limitare i contagi, naturalmente).

Si può uscire di casa solo per necessità, è ben chiaro.

C’è poi il  diritto di associazione dell’art. 18 ed il “diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata” per cui l’unico limite previsto dall’art. 19 sarebbe “purché non si tratti di riti contrari al buon costume”, qualunque cosa questo possa ormai significare.

Il problema non si pone, visto che la Chiesa cattolica ha adottato autonomamente e in buon anticipo variazioni nella liturgia e nelle cerimonie per mettere in sicurezza tanto i fedeli quanto gli ecclesiastici: c’è lo streaming a sopperire a tutto ma non sarà la stessa cosa, se pensiamo alle celebrazioni in vista della prossima Pasqua.

E il Papa gira da solo per le strade di Roma.

Un cenno, va fatto anche riguardo a tutte quelle attività che nelle carceri, in osservanza del terzo comma dell’art. 27, vanno a costituire il trattamento finalizzato alla rieducazione del condannato: tutte necessariamente sospese, così come i colloqui con i familiari, con le prevedibili conseguenze cui abbiamo dovuto assistere.

Anche la libertà di opinione e manifestazione del pensiero dell’art. 21 è stata portata in ballo nel caso della trasmissione del giornalista Adriano Panzironi dedicata al coronavirus dal titolo “Quello che non vi hanno detto sul Covid-2” e che ha portato l’AGCOM a prendere un procedimento sanzionatorio invitando i fornitori di servizi media audiovisivi e radiofonici ad assicurare adeguata e completa copertura informativa sul tema del coronavirus Co-Vid 19.

A tal ultimo riguardo si fa presente che, per esercitare pienamente il diritto di critica e di cronaca sancito dall’art. 21 della Costituzione senza incorrere nel reato della diffamazione a mezzo stampa (anche via web),  bisogna sempre rispettare i seguenti tre principi:

1) Verità del fatto;

2) L’interesse sociale (pertinenza);

3) correttezza formale del linguaggio (continenza).

Per il caso in questione viene contestato che far credere che il coronavirus si possa combattere nel  modo che consiglia Adriano Panzironi, senza essere peraltro un medico, corrisponda ad una verità del fatto e sia pertinente ad una funzione sociale.

La limitazione delle libertà fondamentali e l’interruzione di alcuni servizi di pubblica utilità non possono mai essere accettate a cuor leggero all’interno di un ordinamento liberal democratico, ma esistono parametri giuridici per verificare se il potere dello Stato sia stato esercitato nel pieno rispetto della Costituzione repubblicana che quelle libertà si preoccupa di tutelare.

Cominciamo dallo stato di emergenza per motivi sanitari, riguardo al quale c’è da sapere anzitutto che esiste il Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) entrato in vigore il 15 giugno 2007, dopo la sua adozione da parte della 58° Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio 2005: ha aggiornato e, per alcuni versi, profondamente modificato il testo del precedente Regolamento, approvato nel 1969, emendato nel 1973 e nel 1981, e ratificato e reso esecutivo nel nostro Paese con la legge 6 febbraio 1982, n. 106.

È il sistema legalmente vincolante per i 196 paesi firmatari, inclusi tutti gli Stati membri dell’OMS ed è finalizzato a proteggere le persone, in tutto il mondo, dalla diffusione globale delle malattie: il Regolamento impone agli stati membri di giustificare le misure assunte sulla base di evidenze scientifiche.

In questa sede ne vanno ricordati l’art. 23 (sulle “misure sanitarie all’arrivo e alla partenza”), l’art. 31 (sulle “Misure sanitarie relative all’ingresso di viaggiatori”) e l’art. 43 (sulle “Misure sanitarie aggiuntive”).

In seguito alla segnalazione da parte della Cina (31 dicembre 2019) di un cluster di casi di polmonite ad eziologia ignota (poi identificata come un nuovo coronavirus Sars-CoV-2) nella città di Wuhan ed al suo dilagare in tutto il mondo, il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in base all’art. 12 del Regolamento Sanitario Internazionale ha dichiarato “emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale” (pandemia) l’epidemia di coronavirus in Cina.

La dichiarazione di emergenza internazionale del 30 gennaio 2020, può ritenersi, nel contesto specifico, il primo atto in ordine cronologico e a valenza internazionale, che ha “consentito” le conseguenti limitazioni dell’esercizio dei diritti fondamentali.

Il giorno successivo il Governo italiano, dopo i primi provvedimenti cautelativi adottati a partire dal 22 gennaio, ha proclamato lo stato di emergenza per 6 mesi e messo in atto le prime misure di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale: per un opportuno confronto basti sapere che lo stato di emergenza sanitaria è stato dichiarato dalla Spagna e dagli Stati Uniti il 13 marzo 2020, dalla Francia il 22 marzo 2020.

Il Governo ha proclamato lo stato di emergenza sanitaria con una delibera del Consiglio dei Ministri, come previsto dalla normativa vigente, al fine di consentire anche l’emanazione di tutti i successivi provvedimenti.

A tal riguardo c’è da sapere anzitutto che l’unico stato di emergenza positivamente contemplato dal nostro ordinamento giuridico è proprio quello deliberato dal Consiglio dei Ministri , senza il bisogno di vagli parlamentari, ai sensi della Legge n. 225 del 24 febbraio 1992 sulla istituzione della Protezione Civile, il cui art. 5 consente per l’appunto al Consiglio dei Ministri di deliberare lo stato d’emergenza, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale.

Il comma 1-bis del suddetto  art. 5 dispone che “la durata della dichiarazione dello stato di emergenza non può superare i 180 giorni prorogabile per non più di ulteriori 180 giorni“.

La quarantena imposta dal Governo potrebbe dunque durare fino al 21 luglio 2020.

Lo stesso art. 5 conferisce al Capo del Dipartimento della protezione civile il potere di emanare Ordinanze anche “in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”.

Con il Decreto Legislativo n.1 del 2 gennaio 2018 è stato emanato il “Codice della Protezione Civile” che al 1° comma dell’art. 3 dispone che “fanno parte del Servizio nazionale le autorità di protezione civile …. che sono:

a) il Presidente del Consiglio dei ministri, in qualità di autorità nazionale di protezione civile e titolare delle politiche in materia;

b) i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in qualità di autorità territoriali di protezione civile e in base alla potestà legislativa attribuita, limitatamente alle articolazioni appartenenti o dipendenti dalle rispettive amministrazioni;

c) i Sindaci e i Sindaci metropolitani, in qualità di autorità territoriali di protezione civile limitatamente alle articolazioni appartenenti o dipendenti dalle rispettive amministrazioni.

A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, ha firmato la 1° Ordinanza che ha disciplinato i primi interventi urgenti relativi “al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.

Restando in tema di “Ordinanze” va fatto sapere che l’art. 32 della legge n. 833 del  23 dicembre 1978, con cui è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), dispone che “il Ministro della sanità  può  emettere  ORDINANZE  di  carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e  di polizia  veterinaria,  con  efficacia  estesa  all’intero  territorio nazionale o a parte di esso comprendente più’ regioni.

Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha fin qui emanato 3 Ordinanze.

Rispetto ad altri paesi europei, l’Italia si caratterizza per un marcato decentramento politico amministrativo che ha reso le 19 Regioni e le 2 Province Autonome gli attori centrali nella gestione del sistema sanitario nazionale.

La normativa del 1978 prevedeva da un lato l’istituzione di USL (Unità Sanitarie Locali), rette da comitati di gestione nominati dai Comuni e con compiti di gestione degli interventi, dall’altro un potere di indirizzo in capo alle Regioni.

Le trasformazioni in atto nella sanità, mostrano come, dagli anni ‘90 ad oggi si sta assistendo in Italia ad un vero e proprio processo di federalizzazione e si possa ormai parlare di “sistemi sanitari regionali‟ (SSR).

La seconda fase dei processi di regionalizzazione è avvenuta nel corso degli anni Novanta in concomitanza sia con una crescente crisi finanziaria dello stato che l’aumento di peso di partiti regionalisti (in particolare la Lega Nord).

Con il Decreto Legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992 è stato operato il Riordino della disciplina in materia sanitaria”, affidandoalle regioni e alle province autonome, nel rispetto dei princìpi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera.” (art. 2, comma 1)

La regionalizzazione del sistema è stata sancita e rafforzata dalla riforma costituzionale del Titolo V approvata nel 2001 (art. 117) che, ben al di là dell’ambito sanitario, segna complessivamente uno spostamento ulteriore degli equilibri di potere tra Stato e Regioni, a favore di quest’ultime.

Non risulta purtroppo che nella cosiddetta fase di “attenzione”, quando in Italia non si registrava ancora nessun  caso perché a quel momento l’epidemia dilagava solo in Cina, le Regioni si siano preoccupate di dotare anzi tempo del dovuto quantitativo di mascherine, guanti ed occhiali quanto meno tutti gli addetti dei pronto soccorso degli ospedali.

Anche la nostra Costituzione prevede lo stato di emergenza, ma solo nel caso che il Governo sia costretto ad  esercitare “poteri sostitutivi”.

L’art. 120 della Costituzione prevede infatti che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di ….. pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica ….

La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

A questo punto è bene far sapere a chi ne fosse ignaro che, dopo la Costituzione, la legislazione nazionale è ordinata secondo la seguente precisa gerarchia.

1) NORME DI PRIMO LIVELLO

  1. Legge
  2. D.P.R. – Decreto del Presidente della Repubblica
  3. D.Lgs. – Decreto Legislativo
  4. D.L. – Decreto Legge (emanato dal Governo -temporaneo: decade dopo 60 gg se non convertito in Legge – emanato solo per questioni a carattere di urgenza)

2) NORME DI SECONDO LIVELLO

  1. D.M. – Decreto Ministeriale (Emanato dai Vari Ministeri)
  2. D.P.C.M. – Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
  3. D.C.I. – Delibera Comitato Interministeriale

3) NORME DI TERZO LIVELLO

  1. Circolari
  2. Interpretazioni
  3. Ordinanze

In questa sede interessano particolarmente i Decreti legge, i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri  e le Ordinanze dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci dei Comuni.

Il 1° provvedimento del Governo per combattere l’epidemia è stato  il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020, con cui sono state dettate le «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19».

Il decreto-legge è  stato emanato ai sensi degli artt. 77 ed 87 della Costituzione.

L’art. 77 dispone che “quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.

Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.”

Ne deriva che il D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 dovrà essere approvato dal Parlamento, a pena di decadenza, entro e non oltre il prossimo 12 aprile.

Il Governo a tutt’oggi ha emanato 5 decreti-legge (n. 6 del 23 febbraio 2020, n. 9 del 2 marzo 2020, n. 11 dell’8 marzo 2020, n. 14 del 9  marzo 2020 e n. 18 del 17  marzo 2020, cosiddetto “Cura Italia”): il 24 marzo 2020 il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro della salute, Roberto Speranza, ha approvato un 6° decreto-legge che introduce misure urgenti ancora più stringenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e che deve essere ancora pubblicato.   

I termini delle misure di contenimento, già fissati fino al 25 marzo 2020, sono prorogati fino al 3 aprile 2020.

È stato fatto presente a questo riguardo che l’ipotesi di reiterare i decreti del Governo, senza passare per il voto del Parlamento, non si possa escludere a priori: anzi.

In una situazione di emergenza nazionale, con il rischio che le Camere siano impossibilitate a svolgere appieno la loro funzione per un tempo limitato, può rientrare nei casi in cui è possibile procedere con la reiterazione di un decreto.

Del resto, ricorda il costituzionalista Stefano Ceccanti, la sentenza della Corte costituzionale n. 360 del ’96 non dice che, in assoluto, non si possono reiterare i decreti.

Ma afferma “l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77 della Costituzione, dei decreti-legge iterati o reiterati, quando tali decreti, considerati nel loro complesso o in singole disposizioni, abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decreto-legge che abbia perso efficacia a seguito della mancata conversione“.

Dunque, essendosi in questo caso nuovi e sopravvenuti presupposti straordinari di necessità ed urgenza, si potrebbe procedere con la reiterazione.

Per l’attuazione delle misure di contenimento previste, il 1° comma dell’art. 3 dispone che “le misure di cui agli articoli 1 e 2 sono adottate, senza  nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con uno o più decreti  del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’interno, il Ministro  della  difesa, il Ministro dell’economia  e  delle  finanze  e  gli  altri  Ministri competenti  per  materia,  nonché  i   Presidenti   delle   regioni competenti, nel  caso  in  cui  riguardino  esclusivamente  una  sola regione o alcune  specifiche   regioni,  ovvero  il  Presidente  della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in  cui  riguardino il territorio nazionale.

In applicazione della suddetta disposizione Giuseppe Conte ha emanato fino ad oggi 7 Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, compreso l’ultimo del 22 marzo 2020, coordinandosi sempre con gli altri ministri, per cui non hanno fondamento le accuse che gli sono state portate dall’opposizione di stare agendo come “uomo solo al comando” o peggio ancora di fare una “comunicazione da regime totalitario”, ma anche da una parte della maggioranza che ha invitato il Governo (cioè anche sé stessa) a rispettare  le regole della democrazia.

Il Decreto del presidente del consiglio (Dpcm) è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti.

Anche il Decreto del presidente della Repubblica (Dpr) rientra in questa categoria di atti amministrativi e serve per emanare atti di nomina o regolamenti.

Per il costituzionalista Fulco Lanchester “stiamo seguendo le regole dello Stato di diritto”, a maggior ragione considerando quali sono i valori e i diritti costituzionali in gioco, a cominciare dal bene pubblico passando per la salute: “È evidente che alcune potrebbero sembrare delle forzature, ma il fatto che ci siano organi di controllo, dal Presidente della Repubblica alla Corte costituzionale, fino alla stampa (e ieri il dpcm ha stabilito che le edicole possono restare aperte) garantisce che ci sarà il necessario controllo sulle decisioni del governo.

Se dovessero esserci delle sbavature, ci sono questi organismi di controllo che possono intervenire”.

E non è un caso, assicura il costituzionalista, che proprio a ridosso dell’emanazione dei primi DPCM Sergio Mattarella sia intervenuto pubblicamente, con un messaggio alla nazione, “che ha dato la sua adesione implicita ed esplicita a ciò che sta accadendo, una copertura istituzionale dell’organo di garanzia interno che è il Capo dello Stato”.

Del resto in ballo ci sono valori costituzionali fondamentali come il diritto alla salute, alla vita e al bene comune, che vanno però messi bene in gerarchia.

Per Salvatore Curreri, professore di istituzioni di diritto pubblico all’Università Kore di Enna, per quel che riguarda il ricorso ai DPCM per assumere decisioni relative a forti restrizioni della libertà personale, “in generale non vi è dubbio che la soluzione intrapresa dal governo, che ha varato prima un decreto legge in cui si prevedevano limitazioni alle libertà costituzionali, rinviandone l’applicazione nei Dpcm, sia una soluzione che potrebbe anche ritenersi ammissibile, proprio perché alla base c’è un decreto, ma di contenuto generico.

Quanto all’adottare misure restrittive delle libertà con un dpcm, ovvero un atto sostanzialmente amministrativo, che quindi sfugge al controllo preventivo del presidente della Repubblica e a quello successivo del Parlamento, desta un pò di perplessità.

Di solito si procede, per l’urgenza, con i decreti” e non con i dpcm.

Per l’attuazione sempre delle misure di contenimento previste, il 1° comma dell’art. 3 del D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020  dispone che “nelle  more  dell’adozione  dei  decreti  del  Presidente   del Consiglio dei ministri di  cui  al  comma  1,  nei  casi  di  estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1  e  2  possono essere adottate ai sensi dell’articolo 32  della  legge  23  dicembre 1978, n. 833, dell’articolo 117  del  decreto  legislativo  31  marzo 1998, n.  112,  e  dell’articolo  50  del  testo  unico  delle  leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.”

Il 2° comma del già citato art. 32 della legge n. 833/1978 dispone che “nelle medesime materie sono  emesse  dal  presidente  della  giunta regionale o  dal  sindaco  ORDINANZE  di  carattere  contingibile  ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a  parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale.”

Il richiamato D.Lgs. n. 112 del 31 marzo 1998 riguarda il “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”.

L’art. 117 (relativo agli “Interventi urgenti”) dispone testualmente:

1. In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal SINDACO, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo STATO o alle REGIONI in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

2. In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del comma 1.

Il richiamato D.Lgs. n. 267 del 31 agosto 200 riguarda il “Testo Unico Enti Locali” (TUEL): il suo art. 50 è relativo alle “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”.

In applicazione delle suddette disposizioni sia i Governatori delle Regioni che i Sindaci dei Comuni hanno emanato una serie di Ordinanze che hanno limitato a loro volta libertà individuali, ma che non sono state fatte oggetto delle stesse critiche che sono state portate al Presidente del Consiglio dei Ministri.

A tal riguardo va messo in risalto il rapporto che intercorre in base alla gerarchia delle fonti normative tra i provvedimenti del Governo e quelli dei Governatori delle Regioni e dei Sindaci dei Comuni.

Allo Stato spetta di dettare una disciplina di “cornice” di carattere generale, come l’ha definita ieri pomeriggio lo stesso Giuseppe Conte nel corso della sua Conferenza stampa per omogeneizzare in tutta Italia le misure di contenimento, fissando nel nostro caso delle limitazioni, di cui Regioni e Comuni debbono rispettare i tetti massimi  inderogabili, ma con la possibilità di potere a loro volta prescrivere “misure di contenimento più restrittive”.

   

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

 

 

 

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