Asinara: da isola carcere a futura isola turistica, passando per il Parco nazionale. Valbonesi: «Un grave errore»

 

Nell’ex supercarcere dell’Asinara, ora Parco Nazionale, dovrebbe nascere un albergo diffuso.

A rivelarlo è stato qualche giorno fa Il Sole 24 Ore, che spiega  che:  «Primo passo un intervento a Cala d’Oliva, il borgo dove già sono presenti strutture ricettive e qualche servizio, con la realizzazione di 38 alloggi nell’ex direzione carceraria.

Per portare avanti il programma è già disponibile un primo finanziamento di 800mila euro.

Il piano vede partecipare l’Ente Parco, la Regione attraverso al Conservatoria delle Coste, e il comune di Porto Torres».

Un progetto confermato dall’Ente Parco dell’Asinara ma che sembra non convincere l’ex presidente di Federparchi Enzo Valbonesi che, anche lo contrasta con motivazioni che vanno oltre l’Asinara – turismo sostenibile, carceri insulari, poligoni e servitù militari, ecc. –  e che non mancheranno di aprire  certamente un dibattito.

Ecco cosa scrive Valbonesi in un intervento inviatoci e che pubblichiamo integralmente:

L’errore di trasformare, tanto per cominciare, alcune edifici presenti sull’isola in residenze turistiche nasce di fatto, secondo me, all’atto dell’istituzione del Parco nazionale che, ricordiamolo, fu voluto dal Ministero dell’Ambiente, dalla Regione Sardegna e dalle forze politiche nazionali della sinistra che allora sostenevano giustamente e con forza la creazione di nuovi Parchi nazionali, forse anche dove non era propriamente indispensabile.

Personalmente allora, da vice presidente della Federparchi, manifestai molte perplessità per una ragione molto semplice.

Infatti i Parchi nascono innanzitutto per tutelare la natura più pregiata e all’Asinara non vi era quasi nulla di così prezioso sotto il profilo della biodiversità per motivare un Parco nazionale e in più li la natura non era assolutamente minacciata.

La scelta del Parco fu giustificata dall’esigenza, simbolica, di riconsegnare l’isola ai sardi liberandola dal carcere, per poi “valorizzarla”, dando vita così ad una nuova  area protetta statale in Sardegna dopo che era fallito il positivo tentativo del Ministro Ronchi di istituire il Parco nazionale del Gennargentu.

L’isola era ed è secondo me invece adattissima ad ospitare un carcere:  per le sue ridotte dimensioni, perché da sempre disabitata  e perché dava la possibilità ai carcerati, salvo quelli più pericolosi, di scontare la pena lavorando all’aria aperta.

Tra i primi interventi vennero finanziati dal Ministero quelli relativi alla ristrutturazione dei numerosi edifici carcerari esistenti.

Subito iniziarono le visite turistiche guidate ed a numero chiuso dell’isola.

Fin qui nulla di male.

Ma era chiaro a tutti che prima o poi il problema di cosa fare del patrimonio edilizio esistente si sarebbe posto ed era quasi scontato, per i meno ingenui, che l’opzione sarebbe stata quella della loro destinazione turistica.

Chi ha sostenuto l’istituzione del Parco in  buona fede (di buone intenzioni sono lastricate le strade dell’inferno) oggi dovrebbe mettersi alla testa di una azione di protesta contro la scelta che si sta compiendo; scelta  che sarà inevitabilmente solo il primo passo per l’utilizzo a fini turistici anche dei restanti edifici presenti e quindi di tutta l’isola e del mare prospicente.

Ma protestare,  ammesso che si riesca a fermare l’aggressione all’isola, non basta perché serve proporre una alternativa coraggiosa.

Per difendere l’Asinara c’è solo una strada.

Quella difficile, perché significa dovere ammettere l’errore commesso, di tornare indietro e di ripristinare il carcere,  tanto più in un momento in cui gli istituti di pena scoppiano e se ne dovranno costruire dei nuovi.

Basterebbe una semplice valutazione costi-benefici, mettendo tra questi ultimi prima di tutto quelli ambientali e tra i primi quelli legati al costo della costruzione di nuovi istituti carcerari in giro per l’Italia,  per  fugare ogni dubbio.

Sarebbe una scelta ad un tempo di civiltà, perché darebbe a molti carcerati, oggi ammassati in enormi casermoni alle periferie assolate delle nostre città, la possibilità di scontare la pena in un ambiente naturale e all’aria aperta e al contempo sarebbe una scelta di sostenibilità, perché la presenza di una colonia carceraria non interferirebbe minimamente con la salvaguardia della natura come invece farebbe la presenza di strutture turistico-ricettive.

Finisco con una considerazione che mi nasce alla luce di questa vicenda.

Fermiamoci nella richiesta dello  smantellamento dei poligoni militari posti nei Parchi o in aree naturali di  valore paesaggistico.

Si tratta di aree dove oggi non si può costruire e non si possono svolgere attività antropiche.

Nelle quali le sempre più rare operazioni militari durano solo poche settimane.

So che questa mia scomoda posizione si presta a tante obiezioni anche legittime.

Ma attenzione a non ripetere l’errore di liberare le isole carcerarie per destinarle al così detto “turismo sostenibile”.

di Enzo Valbonesi, già Presidente di Federparchi

Le opinioni dell’autore non necessariamente coincidono con quelle della redazione di greenreport.it

(Articolo pubblicato con questo titolo il 28 agosto 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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