Vaia, la finta quiete dopo la tempesta

 

Vaia ha colpito il Triveneto e la Lombardia quasi due anni fa, ma i danni riportati sul territorio vanno ben oltre gli 8 milioni di metri cubi di legname abbattuto, secondo i dati forniti dalla società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale: per ritrovare un evento simile negli annali bisogna risalire al 1966.

Inoltre, se la tempesta di fine ottobre 2018 conta almeno quattro precedenti di dimensioni decisamente superiori a livello europeo, l’area interessata da Vaia è molto più circoscritta.

La violenza dei venti, che hanno raggiunto i 200 chilometri all’ora, ha superato anche per più del doppio la velocità sopportabile dalle nostre foreste.

Una delle regioni più danneggiate è stata il Trentino-Alto Adige e solo in provincia di Trento si sono registrati circa la metà degli abbattimenti: le immagini della famosa «foresta dei violini» distrutta dalla tempesta è il simbolo di un problema di dimensioni assai maggiori.

«Sono stati colpiti 19.500 ettari ed è finita a terra una quantità di legname corrispondente grosso modo a quanto ne viene abbattuto nell’arco di nove anni» spiega Giovanni Giovannini, dirigente del servizio foreste e fauna della Provincia Autonoma di Trento.

L’errore oggi sarebbe pensare che – finita l’emergenza delle prime ore – il peggio sia passato.

I problemi invece sono molteplici e si acuiscono con il passare dei mesi.

Giacomo Boninsegna, scario della Magnifica Comunità di Fiemme, rappresenta uno degli enti che da quasi mille anni gestisce il patrimonio forestale della zona, con le valli di Fiemme e Fassa che hanno subito tra i danni più ingenti insieme al Piné, al Lagorai, alla Valsugana e al Primiero.

«Da noi sono andati distrutti 320 mila metri cubi di bosco, ma abbiamo iniziato subito a lavorare per liberare il territorio dalle piante abbattute.

A dicembre 2019, con oltre 180 mila metri cubi recuperati, eravamo ormai oltre la metà degli interventi, ma poi il Coronavirus ci ha bloccato».

Recuperare il legname ovviamente non è un’operazione che si può protrarre oltre un tempo limite.

«Potremo proseguire fino a questo inverno, al massimo la prossima primavera, poi sarà irrecuperabile – sottolinea lo scario – Molti Comuni hanno venduto il bosco a imprese austriache, noi invece abbiamo voluto mantenere il lavoro all’interno del nostro territorio perché le foreste sono un patrimonio che alimenta tutta la nostra economia».

I prezzi sul mercato però sono calati: per un eccesso di offerta, per la crisi dei consumi legati al Coronavirus, per il deterioramento del legname nel corso del tempo.

«Prima di Vaia l’abete valeva 85 euro al metro cubo, dopo la tempesta 65.

Oggi siamo a 55 euro».

L’Austria ha acquistato circa il 40% dei quantitativi, ma ora Vienna ha iniziato a rivolgersi alla Germania, dove si sono verificati eventi atmosferici simili.

La Cina ha acquistato un 10% del legname, ma se nel prossimo futuro non ci sarà un intervento pubblico, le segherie e tutta la filiera della raccolta andranno in crisi.

I derivati dagli scarti della lavorazione del legno in questo momento eccedono di gran lunga la normale necessità e sono stati in parte utilizzati come combustibile per alimentare le centrali del teleriscaldamento di alcuni Comuni: Cavalese ne consuma 20 mila metri steri, 10 mila vanno in provincia di Bolzano.

Dal punto di vista ambientale il bosco per lo meno inizia a riprendere un aspetto più pulito e la messa in sicurezza dei paesi, delle strade e dei sentieri è a buon punto.

«Come sentieristica abbiamo già riaperto 65 chilometri di sentieri su 90, ora si tratta di completare il ripristino delle aree più interessate dal rischio idrogeologico.

Per quanto riguarda il rimboschimento abbiamo già messo a dimora 60 mila piantine, un decimo del totale che dovrebbe essere completato in circa 5 anni» conclude Boninsegna.

Il lavoro viene svolto sotto la direzione della Provincia.

«Il progetto di riforestazione non prevede il rimboschimento totale – sottolinea Giovannini – ma in parte si lascia che sia il bosco a ricrescere spontaneamente.

Noi andiamo a intervenire subito nelle situazioni più esposte al rischio del dissesto idrogeologico e a rimboschimento completo il 95% del territorio sarà coperto».

Una piccola percentuale residua sarà lasciata incolta, soprattutto in vicinanza delle malghe che hanno visto negli anni ridursi le superfici di pascolo, ma anche a livello qualitativo l’intervento sarà mirato a variare le percentuali delle specie presenti.

«Questi sono boschi da piantagione ormai da moltissimi anni e l’abete rosso è l’elemento principale» ricorda Giovannini.

Il peccio copre addirittura l’85% delle foreste interessate dal danno e rappresenta il 92-93% del legname abbattuto.

Sulla composizione del bosco un 10% circa invece è dato dal larice, che ha caratteristiche migliori in caso di eventi climatici estremi: innanzitutto la radice penetra molto in profondità nel terreno, trattenendolo bene.

«Ma è una pianta eccezionale per vari motivi. È una latifoglia caduca e per questo motivo è più resistente dell’abete».

Il fatto che il larice perda le foglie in inverno lo rende più adatto a sopportare condizioni di stress e per questo motivo verrà impiantato in misura maggiore rispetto alla sua presenza originaria.

La silvicoltura in Trentino è un arte che viene tramandata fin dai tempi dell’impero austroungarico e l’attenzione dei tecnici sarà rivolta in futuro ancora a variare l’età media degli alberi.

«Uno dei problemi è che molte foreste presentano piante che hanno sostanzialmente la stessa età – prosegue Giovannini – Ma un bosco giovane per esempio è capace di immagazzinare quantità di anidride carbonica superiore a piante vecchie e in alcune situazioni è da preferire, anche al di là del bilancio economico.»

Il vero nemico dei boschi colpiti da Vaia in questo momento è il bostrico tipografo.

«È un insetto che prolifera in condizioni di caldo e umidità e che si sta diffondendo nelle nostre zone dopo avere già fatto parecchi danni in Germania ed Est Europa.

Dai rilevamenti più recenti riscontriamo una presenza marcata» conclude il dirigente provinciale

Visti i diversi pericoli che investono le nostre foreste, l’attenzione al problema e la determinazione a proseguire nel programma di recupero è fondamentale.

«Per farlo servono risorse che spesso il settore pubblico da solo non possiede – spiega Palo Viganò dell’ente non profit Rete Clima -. Tra le altre cose noi ci occupiamo di convogliare le risorse per la riforestazione con un progetto che si chiama Ancora Natura.

Le donazioni raccolte vengono girate ai consorzi locali».

Ancora Natura collabora con PEFC, una certificazione che fornisce garanzie di tracciabilità e mantiene il valore del legname stesso al di là delle oscillazioni di prezzo dovute alle aste.

Secondo Viganò è però fondamentale che l’attenzione sul problema rimanga alta.

«Spesso dopo l’evento catastrofico c’è un momento di grande vicinanza sia da parte della comunità che dei media, il che si traduce anche in iniziative di sostegno.

Noi stessi abbiamo riscontrato una buona partecipazione di singoli soggetti privati, sia grandi che piccoli, per quanto riguarda Vaia.

Il pericolo però è che proprio ora, nel momento in cui sono stati rimossi gran parte degli alberi caduti e bisogna piantare quelli nuovi, ci sia invece un calo di attenzione.

È adesso che sarebbe invece necessario più che mai aiutare il progetto».

(Articolo di Guido Sassi, pubblicato con questo titolo il 27 agosto 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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