Le grandi infrastrutture minacciano le foreste tropicali. Gli impegni dei governi e la realtà dei fatti

 

Secondo lo studio “Opinion: Priorities for governing large-scale infrastructure in the tropics”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di 11 ricercatori, «nei prossimi due decenni, le foreste tropicali in Amazzonia, Indonesia e Mesoamerica dovranno affrontare molteplici minacce per l’estrazione mineraria, petrolio e gas e da imponenti progetti infrastrutturali.

Questa invasione non minaccia solo le foreste e la biodiversità, ma anche le comunità indigene e rurali».

Mentre firmano accordi internazionali e impegni per proteggere le foreste e la biodiversità, in realtà, in tutto il mondo, governi e investitori stanno collaborando ad enormi progetti di sviluppo regionale per costruire strade, ferrovie, strutture portuali e canali navigabili per accedere alle aree più remote delle foreste dove ci sono riserve – note o potenziali – di minerali, petrolio, carbone e gas,  insieme ad altre risorse naturali.

Il principale autore del nuovo studio, Anthony Bebbington della Graduate School of Geography della Clark University e del Global Development Institute dell’università di Manchester, guidava anche il team di ricercatori che nel dicembre 2018 pubblicò, sempre su PNAS, lo studio “Resource extraction and infrastructure threaten forest cover and community rights” nel quale si denunciava che «i governi hanno assunto un quadro di impegni politici per l’integrazione nazionale e transfrontaliera delle infrastrutture, l’aumento della produzione di energia e le strategie di crescita basate su un ulteriore sfruttamento delle risorse naturali.

Questo riflette il fatto che soluzioni politiche concordate tra le élite nazionali prevedono che l’estrazione delle risorse sia un percorso verso lo sviluppo».

Il team di Clark ha collaborato con ricercatori, ONG e istituzioni accademiche che si occupano di comunità e ambiente in Indonesia, Brasile, Perù, Paesi Bassi, El Salvador e Australia e ha utilizzato dati geospaziali e qualitativi, compresi quelli raccolti tramite interviste e workshop con le parti interessate in Brasile, Indonesia, Perù, Messico, Norvegia ed El Salvador.

Gli scienziati sottolineano che «ricerche passate hanno dimostrato che l’espansione delle infrastrutture ha portato alla deforestazione. 

Ma pochi ricercatori hanno studiato come le complesse interazioni tra due forze massicce – investimenti nelle infrastrutture ed estrazione di risorse – si siano combinate per minacciare foreste e comunità.

Questo ricco lavoro sulla deforestazione e sulle raccomandazioni politiche associate si concentra molto di più sull’agricoltura e la silvicoltura che sull’estrazione di risorse o sulle relative infrastrutture su larga scala.

C’è ancora meno analisi dei tipi di relazioni sociali e politiche che sono state create da questi investimenti su larga scala e che si autoalimentano attraverso il lobbismo e il re-entrenchment delle relazioni di potere».

Dati gli enormi finanziamenti governativi per lo “sviluppo” in tutto il mondo, i ricercatori evidenziano l’urgenza di questa ricerca e fanno l’esempio del G20 che  «si è impegnato a investire fino a ulteriori 90 trilioni di dollari in infrastrutture globali entro il 2030 e nel 2016 si è impegnato a collegare i piani generali delle infrastrutture nelle regioni del mondo».

I ricercatori esortano a far luce sulla corruzione nei governi e sulle violazioni dei diritti umani che spesso accompagnano questi massicci investimenti  e a promuovere leggi e politiche che proteggano foreste e comunità. 

L’esempio più eclatante è quello della diga idroelettrica di Aguas Zarcas in Honduras, dove nel 2016 le proteste delle comunità locali sono state contrastate con la violenza e gli omicidi.

Citando i rapporti di Global Witness, i ricercatori fanno notare che «tali investimenti esacerbano i conflitti esistenti e ne creano di nuovi, che si riflettono nei casi più estremi nelle uccisioni di difensori ambientali.

A livello globale, sono stati segnalati 200 omicidi di questo tipo nel 2016 e 207 sono stati segnalati nel 2017, la maggior parte legata a contestazioni a progetti minerari, forestali, idroelettrici, agroindustriali e infrastrutturali».

Per proteggere le foreste e i diritti umani, gli autori  dello studio suggeriscono «nuovi e diversi approcci allo sviluppo che diano la priorità a questi obiettivi pur tenendo conto di alcune priorità di estrazione delle risorse e dell’agroindustria» e tra questi citano la suddivisione in zone per mettere al sicuro  le aree forestali e mantenere le comunità; strategie energetiche incentrate sulla riduzione della costruzione di dighe, dell’estrazione di combustibili fossili e sull’eliminazione del carbone; una gestione forestale basata sulle comunità; incentivi finanziari per diminuire la conversione delle foreste; la promozione della produzione e della produzione socialmente e ambientalmente responsabili; e, soprattutto, un importante programma comunitario e sui diritti umani.

Gli autori spiegano cosa sono i modelli convergenti di estrazione di risorse e perdita di foreste: «Dal 2000 al 2014, gli impatti diretti delle attività minerarie e dell’estrazione di petrolio e gas sulle foreste sono stati limitati.Tuttavia, ci sono state delle eccezioni. 

Le foreste sono state particolarmente colpite dall’estrazione del carbone a Sumatra e nel Kalimantan (Borneo indonesiano); dall’estrazione di minerali di ferro e dalla produzione di carbone e ghisa in Brasile; dall’estrazione dell’oro artigianale e su piccola scala a Madre de Dios, Perù, lungo i fiumi dell’Amazzonia brasiliana e colombiana, in tutto il  Kalimantan e in Nicaragua.

D’altra parte, la perdita e il degrado delle foreste sono il risultato degli impatti indiretti dell’estrazione delle risorse, combinati con gli investimenti nelle infrastrutture. 

Quando vengono costruite strade per accedere alle risorse, il governo “segnala” che quelle aree potrebbero essere abitate e sviluppate».

Un fenomeno che si è verificato in aree come la regione del Petén nel nord del Guatemala e a Madre de Dios nel sud-est del Perù, nel bacino amazzonico. 

Ad esempio, dopo la costruzione dell’autostrada interoceanica meridionale che collega Brasile e Perù, l’estrazione dell’oro artigianale e su piccola scala si è intensificata. 

Lo studio evidenzia che dato l’impegno dei diversi governi dal 2000 al 2014 a investire su strade, canali, ferrovie, o addirittura la designazione da parte del Venezuela come un “arco minerario” del 12%  del suo territorio – ora sotto controllo militare con sospensione dei diritti costituzionali –  in futuro, lo sviluppo minerario potrebbe espandersi altrove nel bacino amazzonico.

Dall’altra parte del mondo, in Indonesia, le foreste e le comunità del Kalimantan sono minacciate dall’estrazione del carbone e dalla proposta di una ferrovia che attraversa la foresta fino a un porto costiero.

Gli Autori dello studio affermano che «nel frattempo, le politiche governative che promuovono la crescita avranno impatti importanti sulle foreste e contribuiranno ad aumentare le emissioni di gas serra» e citano come esempi il Programma di accelerazione della crescita del Brasile, con la costruzione di autostrade, corsi d’acqua e centrali idroelettriche in tutta l’Amazzonia; gli investimenti dell’Honduras nell’energia idroelettrica, nell’estrazione mineraria e nell’esplorazione petrolifera;  l’attenzione del Nicaragua per l’estrazione e l’esportazione dell’oro. »

Uno degli autori dello studio, César Gamboa  della ONG peruviana Derecho, Ambiente y Recursos Naturales, fa notare che «questo impegno politico nei progetti infrastrutturali senza una sufficiente considerazione dei possibili impatti sociali e ambientali è evidente anche a livello subnazionale, dove le normative sono ancora più deboli. 

Questo ha portato a ulteriori sovrapposizioni con terre indigene e aree protette come nel caso di Loreto, in Perù».

A tutto questo si aggiungono infrastrutture e accordi energetici multi-statali, comprese importanti iniziative che aumenteranno i trasporti attraverso l’Amazzonia e la Mesoamerica e aumenteranno l’integrazione dei commerci nell’arcipelago indonesiano.

I ricercatori concludono: «Quello che accadrà alle foreste dell’Amazzonia, dell’Indonesia e della Mesoamerica nei prossimi due decenni dipenderà da quali rivendicazioni su queste foreste prevarranno in queste contestazioni sull’uso del suolo».

(Articolo pubblicato con  questo titolo il 1 settembre 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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