TRAVERSE CITY (Michigan) – L’amministrazione Trump ha in programma di revocare la protezione per i lupi grigi in gran parte della nazione entro la fine dell’anno. A dirlo è stato lunedì la direttrice del US Fish and Wildlife Service. “Stiamo lavorando intensamente per riuscire a farlo entro la fine dell’anno, direi che è imminente“, ha detto Aurelia Skipwith all’Associated Press. L’amministrazione sta anche portando avanti una riduzione delle protezioni per gli uccelli migratori nonostante una recente battuta d’arresto dovuta alla Corte federale. L’anno scorso il Fish and Wildlife Service ha proposto di eliminare il lupo grigio dalla lista a rischio di estinzione nei 48 Stati inferiori, esentando una piccola popolazione di lupi messicani nel sud-ovest. È l’ultimo di numerosi tentativi di restituire l’autorità di gestione agli Stati, mosse che i tribunali hanno ripetutamente respinto dopo le azioni legali intentate dagli ambientalisti. Uccisi dai cacciatori, intrappolati e avvelenati fino a raggiungere quasi l’estinzione nel secolo scorso, i lupi negli ultimi decenni sono quasi interamente presenti nella regione dei Grandi Laghi e poche altre parti nel nord degli Stati Uniti. Ne restano circa 6mila. E non sono più nell’elenco degli animali a rischio di estinzione in Montana, Idaho, Wyoming e parti dell’Oregon, dello Utah e dello stato di Washington. Le protezioni federali rimangono solo, attualmente, negli altri Stati. Un giudice federale nel 2014 ha ripristinato la loro protezione in Michigan, Minnesota e Wisconsin, decisione confermata da una corte d’appello nel 2017. Ma secondo Skipwith il lupo ormai si è “ripreso biologicamente” e la sua rimozione dalla lista dimostra solo l’efficacia dell’Endangered Species Act. L’abbiamo protetto, sta bene, ora non serve più. Il senso è questo.. La Humane Society degli Stati Uniti e altri gruppi di protezione della fauna selvatica sostengono che i lupi, però, siano ancora vulnerabili. L’abbandono delle protezioni attraverso il Lower 48 […]
Archivi Giornalieri: 2 Settembre 2020
* Foto dall’account twitter di Eudis Girot “La sala macchine imbarca acqua da ore, il ponte inferiore e diverse attrezzature sono già sommerse”. È l’allarme lanciato su Twitter nei giorni scorsi da un importante sindacalista venezuelano che ha pubblicato alcune foto provenienti dalla Nabarima, la petroliera di una compagnia con base a Caracas di cui Eni è socio con il 26%. Nelle foto si vedono effettivamente macchinari sott’acqua, tanto che dal Venezuela sono arrivate nelle scorse ore voci sul rischio di sversamenti di petrolio nel golfo di Paria, un pezzo di oceano racchiuso tra le coste orientali del Venezuela e le isole di Trinidad e Tobago. Alcuni siti hanno scritto addirittura che la Nabarima fosse “sul punto di affondare”. Ma Eni, contattata da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che non ci sono emergenze in corso: “Le condizioni della nave sono stabili e un recente ingresso d’acqua ci risulta essere già stato risolto”. Al momento, dunque, non ci sarebbero rischi di un nuovo disastro ambientale, dopo quello che in questi giorni ha colpito le coste delle Mauritius, dove una petroliera giapponese si è spezzata a metà. Ma la paura è arrivata fino a Trinidad e Tobago, dopo che il 30 agosto Eudis Girot, leader di uno dei sindacati venezuelani del settore petrolifero (la Federación Unitaria de Trabajadores Petroleros de Venezuela), aveva chiesto sui social “aiuto a tutto il mondo per evitare un disastro ecologico globale: 1,3 milioni di barili di petrolio potrebbero essere sversati distruggendo la natura, colpendo il golfo di Paria, il delta dell’Orinoco, il Mar dei Caraibi e l’oceano Atlantico”. La Nabarima è una petroliera battente bandiera venezuelana, ancorata permanentemente da dieci anni vicino al confine con le acque territoriali di Trinidad e Tobago. È utilizzata come deposito del greggio proveniente dal giacimento di Corocoro, le cui operazioni – fa sapere sempre Eni – sono state sospese un anno fa. Il giacimento è gestito dalla JV Petrosucre, una joint venture controllata dalla compagnia statale Petróleos de Venezuela e di cui Eni […]
Il Wwf come ogni anno parte all’attacco della preapertura della caccia: «Da domani, mercoledì 2 settembre, le campagne e i boschi italiani subiranno l’invasione armata dei cacciatori a cui molte Regioni hanno concesso l’avvio della nuova stagione venatoria in “preapertura”: numerose giornate di caccia in più rispetto all’apertura “ordinaria” della caccia che dovrebbe avvenire, secondo la legge nazionale n. 157/1992, la terza domenica di settembre». Il Panda ricorda che «quella che dovrebbe essere una deroga concessa solo in presenza di rigorose e determinate condizioni scientifiche, è ormai una consuetudine. Le “deroghe” sono quasi sempre autorizzate in violazione delle leggi italiane ed europee poste a tutela degli animali selvatici e delle aree dove vivono, si nutrono e si riproducono. Praticamente tutte le regioni hanno consentito la preapertura ricorrendo, in alcuni casi, a tecniche dilatorie pubblicando le delibere che disciplinano i calendari venatori sempre più tardi rispetto alla data del 15 giugno stabilita dalla legge: alcune Regioni stanno pubblicando tra il 25 e il 31 agosto delibere che autorizzano l’apertura anticipata dal 2 settembre! Il motivo è da cercare nel tentativo, maldestro e odioso, al limite del lecito, di rendere difficile, se non impossibile, per il Wwf e le altre associazioni ambientaliste, impugnare i provvedimenti dinanzi ai tribunali amministrativi regionali e bloccare questi provvedimenti illegittimi, in tempo». Nonostante questo il WWF, da solo o insieme ad altre associazioni, sta impugnando una serie di provvedimenti in una vera e propria corsa contro il tempo. «Così è accaduto in Toscana – spiega il Wwf – dove si è riusciti a impugnare la delibera della Regione del 25 agosto sulle preaperture ottenendo dal TAR, con decreto monocratico del 31 agosto, la riduzione del carniere giornaliero da 12 a 5 “capi” per cacciatore: un risultato al di sotto delle aspettative, ma che comunque ridurrà […]
La giunta a guida leghista che avrebbe dovuto rivoluzionare la Regione Umbria dopo decenni di «immobilismo rosso», sembra avere difficoltà anche nell’ordinaria amministrazione e, denuncia il Wwf, «unica in Italia, ha autorizzato le associazioni venatorie, che giuridicamente sono dei soggetti privati, a stampare, diffondere il “Tesserino venatorio provvisorio”. In sostanza per il tramite di tale procedura anomala, si vorrebbe certificare presuntivamente, che l’atto pubblico originale inviato loro tramite e-mail, sia valido. Esso in realtà è privo di ogni tipo di certificazione/validazione pubblica». La preapertura della caccia in Umbria è prevista per domani, ma a causa della mancata consegna nei termini previsti dei tesserini venatori da parte della tipografia incaricata, la Regione ha trovato questo fantasioso escamotage che il Wwf bolla come «un abominio giuridico» e ha inviato alla Regione Umbria una diffida invitandola a revocare il provvedimento in autotutela. Il Panda umbro spiega che «trattasi in realtà di un comune foglio di carta, che dovrebbe attestare legalmente i requisiti base del cacciatore, la sua scelta di caccia, le giornate di caccia fruite ed annotare le prede abbattute, sia per fini statistici, sia per limitare i carnieri, un documento pubblico se validamente riconoscibile, che serve ad attestare una serie di dati, sia ai fini di controllo che statistici. Esso dovrebbe essere consegnato in maniera rigidamente controllata, in un unico esemplare al cacciatore avente diritto, sia per evitare la duplicazione, la doppia consegna, che per eludere i controlli, ormai quasi inesistenti. Peccato che questo foglio di carta, non abbia oggi nessun requisito di sicurezza, attestazione di origine ed efficacia di documento pubblico. Un foglio/tesserino in bianco e nero, liberamente fotocopiabile/riproducibile, a cui non è stata data e prevista, nessuna numerazione progressiva e quindi esso oggi, non è identificabile in maniera inequivoca, su di esso non vi è apposto nessun sistema antifrode […]
Secondo lo studio “Opinion: Priorities for governing large-scale infrastructure in the tropics”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di 11 ricercatori, «nei prossimi due decenni, le foreste tropicali in Amazzonia, Indonesia e Mesoamerica dovranno affrontare molteplici minacce per l’estrazione mineraria, petrolio e gas e da imponenti progetti infrastrutturali. Questa invasione non minaccia solo le foreste e la biodiversità, ma anche le comunità indigene e rurali». Mentre firmano accordi internazionali e impegni per proteggere le foreste e la biodiversità, in realtà, in tutto il mondo, governi e investitori stanno collaborando ad enormi progetti di sviluppo regionale per costruire strade, ferrovie, strutture portuali e canali navigabili per accedere alle aree più remote delle foreste dove ci sono riserve – note o potenziali – di minerali, petrolio, carbone e gas, insieme ad altre risorse naturali. Il principale autore del nuovo studio, Anthony Bebbington della Graduate School of Geography della Clark University e del Global Development Institute dell’università di Manchester, guidava anche il team di ricercatori che nel dicembre 2018 pubblicò, sempre su PNAS, lo studio “Resource extraction and infrastructure threaten forest cover and community rights” nel quale si denunciava che «i governi hanno assunto un quadro di impegni politici per l’integrazione nazionale e transfrontaliera delle infrastrutture, l’aumento della produzione di energia e le strategie di crescita basate su un ulteriore sfruttamento delle risorse naturali. Questo riflette il fatto che soluzioni politiche concordate tra le élite nazionali prevedono che l’estrazione delle risorse sia un percorso verso lo sviluppo». Il team di Clark ha collaborato con ricercatori, ONG e istituzioni accademiche che si occupano di comunità e ambiente in Indonesia, Brasile, Perù, Paesi Bassi, El Salvador e Australia e ha utilizzato dati geospaziali e qualitativi, compresi quelli raccolti tramite interviste e workshop con le parti interessate in Brasile, Indonesia, Perù, Messico, Norvegia ed El […]
«I responsabili politici possono aumentare le possibilità di raggiungere gli obiettivi climatici e limitare il riscaldamento globale a 1,5 C assumendo impegni più specifici per trasformare i sistemi alimentari nazionali». A dirlo è il rapporto “Enhancing Nationally Determined Contributions (NDCs) for Food Systems”, pubblicato oggi da United Nations environment programme (Unep), Wwf International, EAT e Climate Focus, che però avverte che «i Paesi stanno perdendo opportunità significative per ridurre le emissioni di gas serra» ma identifica 16 modi in cui i responsabili politici potrebbero agire di più e meglio, dalla fattoria alla tavola. Presentando il rapporto, l’Unep ricorda che «attualmente, le diete, la perdita e lo spreco di cibo sono ampiamente ignorati, ma aggiungendoli ai piani nazionali sul clima, i responsabili politici possono migliorare, fino al 25% i loro contributi provenienti dalla mitigazione e dall’adattamento dei sistemi alimentari». In base all’Accordo di Parigi del 2015, tutti i Paesi del Mondo dovrebbero rivedere o ripresentare i loro Nationally Determined Contributions (NDC) ogni 5 anni. Quest’anno, quindi, i governi hanno l’opportunità di adottare soluzioni per i sistemi alimentari e fissare obiettivi e misure più ambiziosi per ridurre le emissioni di gas serra e, a loro volta, migliorare la biodiversità, la sicurezza alimentare e la salute pubblica. I sistemi alimentari – che riuniscono tutti gli elementi e le attività che riguardano la produzione, lavorazione, distribuzione, preparazione e consumo di cibo – rappresentano fino al 37% di tutte le emissioni di gas serra e l’Unep dice che «continuare su una traiettoria “business as usual” esaurirà, da sola, i budget delle emissioni compatibili con gli 1,5° C per tutti i settori. Sebbene l’89% degli NDC menzioni la produzione agricola, gli obiettivi di riduzione delle emissioni agricole sono inclusi principalmente nei più ampi obiettivi di utilizzo del suolo». Ad essere ignorate dalla politica e dai governi sono in particolare altre azioni per modificare […]