L’ultima spallata di Trump all’ambiente: sì al disboscamento della foresta Tongass in Alaska

 

L’ultimo colpo di grazia del presidente Donald Trump alle politiche ambientali e alla lotta contro crisi climatica e perdita di biodiversità arriva a pochi giorni dalle elezioni americane.

Un’altra, ennesima, azione che va in direzione opposta alla salute del Pianeta.

A partire da questa settimana infatti, per volontà dell’amministrazione Trump, più della metà della preziosissima foresta nazionale di Tongass in Alaska, prezioso scrigno di biodiversità con le sue foreste pluviali temperate fra le più grandi del mondo, sarà aperto a disboscamento e costruzioni di strade.

Con l’avviso  pubblicato mercoledì 28 ottobre, in uno degli ecosistemi più ricchi degli Stati Uniti sarà legale per le aziende tagliare alberi, costruire strade e realizzare altre forme di sviluppo urbano in oltre 9,3 milioni di acri di una foresta che ospita antichi boschi di cedri, cicuta e abete Sitka e dove vivono centinaia di specie tra cui lupi, lontre, aquile calve, salmoni, cervi e orsi bruni del Nord America, oltre ad alberi millenari. 

Tongass National Forest, Alaska 

E’ un atto, quello voluto da Trump, che inverte le protezioni di cui godeva la foresta dell’Alaska da quasi vent’anni grazie alle attenzioni volute dal presidente Bill Clinton e alla “roadless rule”, regola che proibisce la costruzione e la manutenzione di strade e tutela ambiente e contribuenti, impedendo sperpero di denaro pubblico per infrastrutture immerse in territori isolati.  

In questa terra, enormi distese boschive offrono un prezioso contributo nell’assorbire CO2 e nella battaglia alla crisi climatica: circa settantamila chilometri quadrati, quella di Tongass è infatti la più grande foresta nazionale degli Stati Uniti che da sola assorbe circa l’8% di tutta l’anidride carbonica che viene assorbita dalle foreste di 48 stati americani. 

Dominick DellaSala, capo scienziato del progetto Wild Heritage dell’Earth Island Institute, lo ha definito “l’ultimo santuario climatico d’America.”

Nonostante l’importanza di questa area, l’amministrazione Trump ha deciso di dare il via libera alle operazioni di disboscamento sostenendo la necessità di agire per aiutare l’economia del sud-est della Alaska, duramente colpito dalla pandemia e dalla perdita di turismo e dove anche la pesca è in crisi.

In sostanza, una mossa per aiutare “l’economia che sta crollando“.

Durissime le critiche da parte dell’opposizione, dei leader tribali, dei democratici e degli ambientalisti, per la scelta di “The Donald“: l’impegno non scritto è che in caso di vittoria dei democratici sarà impedita la “devastazione” di Tongass.

Le comunità locali, ricordando come il “cambiamento climatico sta già colpendo duramente quest’area” e parlano del nuovo via libera come “una azione che devasterà ancor di più quest’area“.

Il fronte repubblicano prova però a calmare le acque ricordando che solo una “minima parte della foresta è idonea per la produzione di legname” o per la “costruzione di strade“, parole che però non sembrano affatto convincere gli oppositori.

Quest’ultima mossa di Trump, giudicata come “scellerata” dall’opposizione, è comunque in perfetta linea con tutte le scelte anti-ambiente sostenute finora da un presidente che gioca a definirsi “il presidente più ambientalista della storia” per poi – lo dicono i fatti – approvare soltanto leggi e decreti a favore delle big oil company e dei combustibili fossili, delle lobby del carbone e minerarie. In quattro anni di amministrazione Trump ha più volte negato il surriscaldamento globale, arrivando a definirlo persino “fantasia“, ritirando gli Usa dagli Accordi di Parigi e dichiarando di voler sciogliere la Environmental Protection Agency (EPA), l’agenzia per la tutela ambientale, cosa che poi non ha fatto (anche se ha nominato due scettici sui cambiamenti climatici alla guida dell’EPA).

Non solo, come ricorda la Columbia University nel “Climate Deregulation Tracker”, Trump ha varato ben 162 atti e provvedimenti per ridurre le misure finora attuate  contro il riscaldamento climatico dato che non favorivano l’industria del fossile e del carbone.

Fra questi per esempio l’abrogazione del “Clean Power Plan” voluto da Obama per abbattere le emissioni di CO2

Non solo: in quattro anni Trump ha cancellato le norme sulle emissioni di carburante di autoveicoli e centrali elettriche  aumentandone i limiti; rilanciato la costruzione di oleodotti; riaperto all’esplorazione petrolifera nell’Artico: agevolato lo sfruttamento delle risorse minerarie e degli idrocarburi; revocato norme relative a lotta ai cambiamenti climatici e impatti minimi su acqua e fauna selvatica; indebolito le restrizioni alla pesca commerciale e persino respinto le proposte di vietare alcuni pesticidi pericolosi per lo sviluppo dei minori. 

Ora, sostiene l’opposizione, l’unica salvezza per la salute dell’ambiente degli Stati Uniti e del Pianeta dalle scelte di Trump, saranno le urne.

(Articolo di Giacomo Talignani, pubblicato con questo titolo il 31 ottobre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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