L’Europa a caccia dell’idrogeno

 

I cacciatori di idrogeno si muovono nei palazzi governativi o tra impersonali stanzette degli edifici europei di Bruxelles.

Vestono in giacca e cravatta, sono funzionari pubblici, lobbisti, manager di stato, ministri o capi di governo.

Si parlano anche in videoconferenza, come hanno fatto a metà dello scorso mese Angela Merkel ed Emmanuel Macron: a conversare con loro c’era Ursula von der Leyen, mentre l’Italia di Giuseppe Conte, a pochi passi dalla partenza, resta già indietro.

Un rischio per il Paese in quanto l’oro del prossimo decennio non si troverà nelle miniere, ma negli imponenti stanziamenti di fondi europei e nazionali dedicati allo sviluppo dell’idrogeno.

Recovery Fund e Green deal sono le mete della nuova corsa all’economia verde attraverso l’idrogeno.

E come nei romanzi di Jack London, vince chi arriva per primo.‘idrogeno

Tredici mesi fa la Commissione europea di Ursula von der Leyen ha lanciato il Green deal, mille miliardi di investimenti per azzerare le emissioni inquinanti nel 2050 con la tappa intermedia di un taglio del 55% entro il 2030 (target non ancora sdoganato dai leader che, divisi sul tema, ci torneranno a dicembre).

La scommessa è di creare centinaia di migliaia di posti di lavoro verdi capaci di compensare quelli persi con l’addio al fossile e dimostrare che la svolta pro clima conviene all’economia.

Nella speranza di portarsi dietro il resto del mondo nella lotta al surriscaldamento, Stati Uniti e Cina su tutti.

Il secondo pilastro della strategia è arrivato con il Recovery Fund, che destina al green il 37% dei 750 miliardi approvati a luglio.

Nel frattempo l’Europa ha realizzato che senza idrogeno sarà impossibile decarbonizzare il continente entro la metà del secolo e ha iniziato a puntare forte sull’H2, non a caso definito da Frans Timmermans, vice di von der Leyen e responsabile del Green deal, “la rockstar dell’energia“.

E così la scorsa estate la Commissione europea ha lanciato “l’Alleanza per l’Idrogeno” – partenariato pubblico-privato nel quale è presente Snam e dove anche Eni ed Enel avranno un ruolo – e la “Strategia per l’idrogeno” che consegna alla molecola poderosi investimenti in modo da affidarle almeno il 14% del mix energetico pulito per arrivare alla neutralità climatica nel 2050.

Un ruolo centrale per l’idrogeno che dovrà concretizzarsi attraverso la decarbonizzazione dell’industria, dei trasporti (con tempistiche differenti auto, camion, bus, tram, treni, navi e aerei), dell’energia elettrica e dell’edilizia.

La tabella di marcia prevede 120-130 miliardi di investimenti in ricerca e sviluppo della tecnologia per il prossimo decennio per arrivare alla piena maturità dell’idrogeno e introdurlo su larga scala tra le principali fonti rinnovabili nel periodo 2030-2050.

Si partirà con l’idrogeno non completamente verde, prodotto dai fossili, per passare gradualmente a quello totalmente pulito, derivato da energia solare ed eolica (o dal nucleare, come vorrebbe la Francia).
In questo quadro, il commissario europeo all’industria, il francese Thierry Breton, punta a lanciare una serie di Ipcei, ovvero grandi “Progetti di interesse comune europeo” che incasseranno soldi dal Recovery Fund e sussidi pubblici nazionali in quanto sfuggiranno alle normali regole Ue sugli aiuti di stato.

Un finanziamento straordinario dovuto alla peculiarità dei programmi considerati innovativi e strategici, ma a rischio di fallimento sul mercato poiché l’idrogeno al momento non è remunerativo: i finanziamenti serviranno proprio a farlo crescere e renderlo redditizio entro un decennio in modo da consentirgli poi di svilupparsi a condizioni di mercato.

Bruxelles non ha ancora deciso quanti Ipcei lanciare, forse uno, forse di più.

L’Italia e gli altri paesi mediterranei puntano tutto sul solare, ovvero a usare l’energia della nostra stella per attivare gli elettrolizzatori, grandi vasche d’acqua dove separare l’idrogeno dall’ossigeno per poi trasportarlo ai consumatori finali attraverso idrogenodotti, ovvero utilizzando le reti del gas naturale esistenti che necessiterebbero di marginali interventi di adeguamento.

I nordici, guidati dalla Germania, puntano a un identico processo, ma attraverso l’eolico che abbonda dalle loro parti.

Qualche settimana fa i vertici della Commissione europea hanno riservatamente contattato il governo italiano chiedendo se fosse interessato a guidare un Ipcei.

Sarebbe un passaggio chiave per la futura economia del Paese.

Ma serve velocità di reazione.

La lentezza non è ammessa nella partita, perché potrebbe costare diversi miliardi di investimenti e compromettere un futuro ruolo da leader nell’economia europea per il nostro Paese, che  immagina di produrre idrogeno attraverso il sole nella penisola e in Nord Africa per poi trasportarlo in tutta Europa attraverso le attuali reti gas trasformando l’Italia in un vero e proprio hub energetico.

I nordici hanno simili intenzioni, ma puntano sul vento dei loro paesi e delle nazioni confinanti a Est, come l’Ucraina. Le due visioni non sono alternative, possono tranquillamente convivere, sempre che Roma si dia da fare a Bruxelles.

C’è fretta, insomma, tanto più che gli altri governi si sono già attivati con la consueta determinazione e compattezza.

Lo dimostra la videochiamata del 13 ottobre tra Angela Merkel, che ha già pubblicamente espresso l’interesse di Berlino a guidare un Ipcei, Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen al termine della quale la presidente della Commissione europea ha spiegato: “Abbiamo parlato di idrogeno“.

E  informalmente si racconta che nel corso della telefonata Merkel e Macron abbiano convenuto con von der Leyen il lancio a dicembre di un Ipcei tutto nordico, a guida franco-tedesca. 

L’Italia dunque è già indietro nella partita europea?

Rimane comunque  un secondo progetto europeo nel 2021 nel quale Roma, i partner mediterranei e il solare possono avere un ruolo centrale.

Bisognerà non farsi sfuggire l’occasione.

Roma è in ritardo anche nella  partita domestica visto che tra i grandi paesi dell’Unione il nostro è l’unico a non avere ancora adottato un piano nazionale per l’idrogeno.

Lo ha fatto la Germania, che a giugno ha presentato un piano da 9 miliardi per diventare leader di mercato in termini produttivi e tecnologici.

A settembre è stato il turno della Francia, che ha stanziato 7,2 miliardi per l’idrogeno.

In carreggiata anche Spagna e Portogallo.

Senza una strategia nazionale sull’idrogeno, indietro nell’assegnazione dei grandi progetti finanziati dall’Unione, il governo Conte sembra arrancare anche sul Recovery plan italiano: diversi cluster del piano dovrebbero contenere iniziative legate all’H2, ma in questi giorni è in corso la bagarre tra ministeri e Palazzo Chigi su quali dicasteri li guideranno e su quanti fondi mettere a disposizione di ciascuno.

Intanto gli altri partner Ue corrono verso il futuro…

(Articolo di Alberto d’Argenio, pubblicato con questo titolo il 2 novembre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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