Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), nato per articolare la messa a terra dei 209 miliardi di euro in arrivo con in fondi europei Next generation Eu per la ripresa post-Covid, è ancora in bozza ma attorno alla sua gestione le forze di maggioranza nel Governo si stanno incartando nell’ennesima crisi politica in pectore.

Uno scenario dove paradossalmente i contenuti del Piano restano sullo sfondo: a riportarli al centro del dibattito sono le associazioni ambientaliste – Wwf, Legambiente, Greenpeace, Kyoto club e Transport&Environment – che in un appello congiunto chiedono una procedura di consultazione della società civile.

Una delle illusioni che (forse) la pandemia è riuscita definitivamente a debellare è quella della decrescita felice, tant’è che mai come nel 2020 stiamo sperimentando la decrescita – si stima un crollo del Pil pari al 12% a livello nazionale – e non c’è molto da essere contenti.

Per impostare un percorso di sviluppo sostenibile, torna dunque fortemente alla ribalta la necessità di definire come e cosa far crescere: innovazione, formazione, servizi pubblici, manifattura e infrastrutture verdi ad esempio.

Tutte parole che restano vuote però, senza un’adeguata politica (anche industriale) alle spalle.

«Il Pnrr – osservano nel merito gli ambientalisti – deve essere una strategia che moltiplichi le risorse, non può essere una somma di progetti che possono anche passare il vaglio dell’Europa, ma senza impostare la crescita necessaria e assicurare la decarbonizzazione».

Eppure il rischio sembra essere proprio questo: «La bozza di Piano circolata risulta generica ed ancora priva di una visione complessiva.

Non troviamo nel testo il nesso tra la scelta degli interventi e la necessità che questi si traducano in moltiplicatori per la crescita, come gli investimenti nella decarbonizzazione permetterebbero.

Le spese in progetti non inquadrati in una strategia complessiva rischiano di non innescare lo sviluppo necessario a superare non tanto la crisi di oggi, ma quelle a cui la next generation dovrà fare fronte e per le quali il Pnrr contrae un forte debito (dei 209 miliardi di euro 127 sono prestiti, per quanto a tassi molto convenienti, ndr) a loro carico».

Nell’analisi del problema, gli ambientalisti (ri)portano alla luce delle debolezze strutturali per il nostro Paese.

«La capacità industriale italiana è fortemente concentrata in settori produttivi che senza capacità di innovazione diventeranno presto incompatibili con le traiettorie di decarbonizzazione.

Acciaio, (secondo produttore europeo), cemento, (secondo produttore europeo), raffinerie, (secondo paese per capacità installata) e metalmeccanica rappresentano il cuore dell’industria nazionale. Hanno bisogno di innovazione», dato che decarbonizzare anche l’industria pesante si può ma di certo non si tratta di un processo spontaneo.

Anche «la presenza delle Pmi nel Paese può tradursi in risorsa per l’economia circolare o in difficoltà ad innovare processi e produzioni, soprattutto in un contesto di difficoltà di accesso al credito post Covid».

Pure qui la parola chiave, per gli ambientalisti, è innovazione.

Senza dimenticare che l’Italia è anche «il Paese europeo con la maggiore rapporto di automobili per popolazione ed uno sviluppo infrastrutturale ed urbanistico a questo conseguente.

Il settore dei trasporti è solo agli inizi del processo di decarbonizzazione ed è quello in cui maggiormente si avverte un ulteriore rischio di lock in infrastrutture ancora disegnate per il ricorso alle fonti fossili».

Tutti fattori non adeguatamente presi in esame, ad oggi, nel Pnrr.

Per questo gli ambientalisti chiedono «un confronto e una procedura di consultazione» sulle garanzie  che l’impostazione del Piano corrisponda ad una visione strategia di decarbonizzazione, sulle riforme di fiscalità ambientale (a partire dalla progressiva cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi) a fronte di una riduzione del costo del lavoro, su una proposta di governance efficace sul clima per tutti i livelli di sussidiarietà e infine su una lista d’esclusione per progetti che impiegano combustibili fossili (gas compreso).

«Il Pnrr deve essere uno strumento utile a superare la crisi economica e innescare la marcia per la ripresa e l’economia decarbonizzata, ma per questo – concludono gli ambientalisti – mancano alcuni elementi chiave, sia di processo che di contenuto: una visione sistemica che assicuri una spesa coerente con gli obiettivi e che agisca da leva per l’innovazione e una procedura di consultazione su un documento chiave del futuro del paese per risollevarci dalla crisi Covid-19».

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 22 dicembre 2020 sul sito online “greenreport.it”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas