La transizione ecologica serve ora, il mare si alzerà di 70 metri”

La Pianura padana sarà completamente allagata, Padova, Ravenna, Venezia e tante altre città saranno interamente sommerse, mentre altre, come Roma e Firenze, sopravvivranno solo grazie a un sistema di palafitte. È l’Italia descritta da Telmo Pievani e Mauro Varotto nel libro Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro (Aboca editore, i proventi andranno al Museo Geografico di Padova), dove il filosofo della scienza e il geografo immaginano, a mille anni dal Grand Tour di Goethe, e cioè nel 2786, un viaggio – in barca – tra le rovine dell’Italia tropicale e sommersa, dove si resiste alle ondate di calore vivendo sottoterra o fuggendo sempre più in alto. Con città come Belluno e Trento trasformate in metropoli prese d’assedio.

Perché proprio il 2786?

La nostra, ovviamente, è una provocazione su quale sarà l’Italia del futuro. Lo scenario è parossistico, ma la tendenza nella quale siamo inseriti è questa. Noi immaginiamo che il mare si alzi di circa settanta metri, cosa che succederebbe in caso di fusione completa dell’Artide e dell’Antartide, lungi da venire.

Secondo lei arriverà davvero un momento in cui vivremo sottoterra, aiutati quanto più possibile dalla tecnologia?

Per quanto riguarda le temperature, sappiamo che nello scenario peggiore alla fine del secolo l’innalzamento sarà di quattro gradi. Ma si tratta di una media globale, è noto che ai poli la temperatura salirà di più così come nelle città, che rischiano di diventare bolle di calore. Calabria, Puglia e Sicilia saranno come la Libia oggi, con un clima desertico. Questo ovviamente se non facciamo nulla.

Nel libro ci sono strategie di adattamento di ogni tipo, dal cemento e asfalto che assorbono calore all’acqua degli impianti di desalinizzazione. È il fallimento delle politiche di mitigazione, quelle che impongono la riduzione delle emissioni e un cambio del nostro modo di vivere?

Sì, noi immaginiamo un grande investimento nelle politiche di adattamento, ma è chiaro che questo è sbagliato. È chiaro che ci adatteremo, ma il grande tema è a quale prezzo sociale, economico e politico lo faremo, quante sofferenze ci saranno, quante persone, specie povere e nelle fasce tropicali, dovranno abbandonare la propria terra. C’è un enorme problema di giustizia sociale.

Secondo lei un eventuale cambiamento come avverrà? Grazie alla politica, oppure dal basso, o attraverso choc come la pandemia?

Credo che il cambiamento dal basso proseguirà ma con una certa gradualità, a differenza di quello dall’alto, cioè della regolamentazione internazionale, che invece reagisce solo agli choc. La pandemia è uno di quelli, va messa nella categoria dei costi ambientali, è un prezzo che paghiamo per l’Antropocene.

Le tecnologia che ruolo avrà? Ci potrà salvare?

La tecnologia sarà importantissima, ma non può essere in nessun modo la salvezza, né tantomeno un alibi per non fare altre cose. La geoingegneria – come l’idea di bombardare le nuvole etc – non può essere la scusa per continuare a depredare la natura. Bisogna cambiare i nostri modelli economici e di consumo.

Cosa pensa del nostro ministero della Transizione ecologica?

Valuto positivamente la scelta a livello politico-istituzionale, ma bisogna ricordare che si tratta, appunto, di una transizione ecologica, non solo tecnologica. E che dunque occorre tenere conto degli equilibri ambientali, della biodiversità – l’Italia è il paese che ne è più ricco – delle riserve, dei parchi. Il Green Deal europeo è scritto molto bene, con le parole giuste, l’Italia deve fare in modo che i fondi rispettino questa guida: dobbiamo attenerci a quelle indicazioni, sia perché sono corrette sia per evitare sanzioni.

In conclusione: il vostro è un libro pessimista?

No, nonostante la sua geografia apocalittica, il libro vuole stimolare positivamente l’azione. In particolare tre sono le cose importanti: modificare il nostro paradigma energetico, creare una volontà politica condivisa a livello planetario, mettere in discussione il nostro modello di crescita, riducendo la carne, gli imballaggi, evitando sprechi. Se lo facciamo davvero tutti, ce la possiamo fare.

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