“Le prime vittime sono il Nordafrica e il Medioriente”

Di ROBERTA ZUNINI

Aun mese dall’inizio della guerra in Ucraina – che, assieme alla Russia, è tra i massimi produttori di cereali e fertilizzanti – nel mondo circola la parola “scarsità”. “Per quanto riguarda il grano l’impennata della domanda mondiale si è combinata con una riduzione dell’offerta dovuta alla scarsità dei raccolti in diverse parti del mondo causata innanzitutto da condizioni climatiche avverse”, ci dice Eugenio Dacrema, analista economico del World Food Programme dell’Onu: “Poi l’introduzione di tariffe sull’export da parte della Russia, il più grande esportatore al mondo, ha contribuito a spingere in alto i prezzi”. Quanto ai fertilizzanti, invece, “i prezzi sono saliti a causa dei forti aumenti dei costi di produzione, dovuti al gas, a cui si aggiungono le restrizioni all’export imposte da Cina e Russia, due tra i più importanti produttori al mondo”.
La crisi Ucraina ha accelerato questi trend?
Le difficoltà di far arrivare mercantili nel Mar Nero dall’inizio del conflitto ha di fatto interrotto le esportazioni da Ucraina e Russia. L’imposizione delle sanzioni a Mosca ha poi reso difficile e costoso acquistare i suoi beni. Il mercato, peraltro, incorpora già nei prezzi attuali i forti rischi che verranno dalle produzioni future inevitabilmente ridotte, a cominciare da quella ucraina, quinto esportatore mondiale di grano, che rischia di non riuscire a completare i raccolti e le semine di quest’anno a causa della guerra.
Cosa comporta, invece, la scarsità di fertilizzanti?
Gli alti costi causeranno con ogni probabilità un loro minore impiego in gran parte del mondo, portando a raccolti più limitati e quindi a una diminuita offerta di beni primari nei prossimi mesi. Tutto questo sta causando un effetto domino soprattutto nei Paesi più vulnerabili e un grave rischio di peggioramento delle prospettive. Se pensiamo che già ora sono 44 milioni le persone a un passo dalla carestia e 276 milioni quanti vivono in una insicurezza alimentare acuta, si capisce la gravità del momento attuale. Quello che sta accadendo è una catastrofe al cubo.
Che succederà se la guerra dovesse proseguire abbastanza a lungo?
Nell’immediato ci aspettiamo difficoltà nel reperire le derrate e repentini aumenti dei prezzi al consumatore nei Paesi che si approvvigionano direttamente dal Mar Nero. Tra questi ci sono soprattutto quelli dell’area “Mena”, vale a dire Egitto, Tunisia, Libia, Marocco, Iraq, Libano, Sudan e Yemen. Se pensiamo che il Libano, già in una gravissima crisi economica, importa oltre il 50% del proprio fabbisogno di grano dall’Ucraina, lo Yemen distrutto da 7 anni di guerra il 22%, la Tunisia il 42%, ci si rende conto del devastante impatto che questa guerra sta avendo e avrà sulla sicurezza alimentare di questi Paesi.
Quali altri Paesi rischiano?
Nel giro di due o tre mesi ci saranno problemi anche nell’Africa Subsahariana e in Asia. Russia e Ucraina insieme risolvono quasi il 30% delle esportazioni globali di grano, il 20% di quelle del mais. L’Ucraina produceva cibo che sfamava 400 milioni di persone in vari Paesi nel mondo. Qualora la guerra dovesse proseguire, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, anche perché l’insicurezza alimentare può innescare problemi sociali e portare a rivolte. Nei Paesi con economie più solide, il problema della scarsità dei beni agricoli e l’aumento dei prezzi si avvertirà maggiormente fra sei-nove mesi circa.
Il World Food Programme per cui lei lavora si troverà dunque a dover assistere più persone e ad avere bisogno di più fondi ?
Esatto. Quest’anno il costo stimato delle nostre operazioni di assistenza alimentare – spesso l’unica fonte di sopravvivenza per circa 137 milioni di persone in più o meno 80 Paesi nel mondo – è di 18,9 miliardi di dollari. Già prima dell’invasione dell’Ucraina il gap tra i fondi necessari e quelli disponibili per i prossimi sei mesi superava il 60%. Ma per ciò che sta accadendo in queste settimane in Ucraina stimiamo di dover far fronte a un aumento di circa 70 milioni di dollari al mese”.

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