Gli ambientalisti: “Ecco perché diciamo no all’inceneritore”

CASSONETTI COLMI – Il piano del sindaco di Roma Gualtieri per la costruzione dell’impianto per il trattamento dei rifiuti, fatto senza una discussione con i cittadini. Cosa ne pensano gli esperti

DI ELISABETTA AMBROSI, FATTO FOR FUTURE, 10 MAGGIO 2022

“A Roma occorre aumentare la raccolta differenziata. Servono poi impianti per il trattamento della frazione organica con produzione di biometano. Ma servono anche, dopo i vari trattamenti intermedi, o nuove discariche o un nuovo inceneritore”. Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, cita dati e numeri per mostrare come un termovalorizzatore per la capitale e la sua provincia non sia del tutto da escludersi: “Il punto è questo: anche portando la raccolta differenziata al 62%, alla fine dei trattamenti, su 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti della provincia di Roma, residuano non meno di 500.000/600.000 tonnellate da smaltire all’anno”. D’altronde, nota l’ex ministro dell’ambiente, non c’è un legame tra bassa differenziata e numero degli inceneritori, visto che “la provincia di Milano ne ha 3 con una differenziata al 70% e quella di Roma che non ne ha è al 50,4%”.

Ma sul termovalorizzatore che il sindaco Roberto Gualtieri ha deciso di costruire per Roma – pur non essendo nel suo programma elettorale – non c’è affatto consenso, specie nel mondo ambientalista. “No, il termovalorizzatore non serve perché una volta raggiunto il 65% di raccolta differenziata, il minimo secondo l’Europa, non abbiamo certo bisogno di un impianto da 600.000 tonnellate”, spiega a sua volta Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club. “Va anche ricordato che comunque l’inceneritore ha uno scarto di circa il 20%, il che significa che comunque 120.000 tonnellate finirebbero in discarica. Inoltre, la frazione più importante è l’organico, per la quale sarebbero necessari soprattutto biodigestori, il massimo dell’economia circolare e non è un caso che nel Pnrr questi impianti sono inclusi mentre non sono inclusi gli inceneritori”.

Se il nord fa incetta di impianti (per l’organico e per l’indifferenziata)

Ma quanti sono gli impianti di trattamenti di rifiuti in Italia e di che tipo? Anzitutto, qualche dato sulla raccolta differenziata. L’Italia è avanti, la percentuale è del 63% della produzione nazionale, secondo il Rapporto Rifiuti Urbani Ispra 2021, ma le percentuali sono diverse al nord (70%), al centro (59,2%) e al Sud (53,6%). Anche rispetto alle città metropolitane i dati cambiano notevolmente: Se Venezia si colloca al 73,6%, Milano al 68,9% la Città metropolitana di Roma Capitale raggiunge il 50,4%. A fare la parte del leone, sempre secondo Ispra, è l’organico, che rappresenta il 39,3% del totale. La carta e il cartone rappresentano il 19,2% del totale, segue il vetro con il 12,2% e la plastica con l’8,6%, di cui il 95% è costituito da imballaggi.

Quanto agli impianti: nel 2020, sempre secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca ambientale, gli impianti di gestione dei rifiuti urbani operativi al 202 sono 673: ben 359 al Nord, 120 al Centro e 194 al Sud. Di questi 673 impianti sono dedicati al trattamento della frazione organica da raccolta differenziata 359 impianti, 132 sono impianti per il trattamento meccanico o meccanico biologico dei rifiuti, 131 sono impianti di discarica cui si aggiungono 37 impianti di incenerimento e 14 impianti industriali che effettuano il coincenerimento dei rifiuti urbani. Secondo Ispra l’Italia ha carenza di soprattutto di impianti per la frazione organica, specie al centrosud. Infatti qui le differenze diventano marcatissime: in Lombardia, ad esempio, sono trattati 1,7 milioni di tonnellate, il 26% del totale, con 79 impianti operativi. Segue il Veneto, l’Emilia Romagna, il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana, la Sicilia, la Sardegna. Percentuali molto inferiori per le altre regioni, Lazio compreso, che infatti produce solo 1,1 milioni di metri cubi di biometano contro i 51,6 della Lombardia. Ma al nord c’è anche la maggioranza degli inceneritori: 17 su 26 inceneritori (in Italia il 18% dei rifiuti urbani è incenerito), tanto che Campania e Lazio sono le principali esportatrici di rifiuti.

Termovalorizzatore per evitare il ricorso alla discarica?

Si può dunque dire che al centro-sud, e anche nella provincia di Roma, manchi un po’ tutto, ovvero sia impianti inceneritori che di trattamento dell’organico? Sì, secondo il Libro Bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani del 2020, redatto da Utilitalia, Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas. In generale, all’Italia servirebbero impianti per trattare 5,7 milioni tonnellate di spazzatura all’anno e la carenza di impianti è soprattutto al centro-sud: una carenza che fa sì che si ricorra eccessivamente allo smaltimento in discarica, con maggiori emissioni di CO2.

Anche secondo Giuseppe Mininni, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, “il termovalorizzatore è un impianto indispensabile per Roma, perché ad oggi il rifiuto indifferenziato subisce un trattamento meccanico biologico nei cosiddetti TMB che separa il rifiuto in due frazioni, secca e umida stabilizzata, destinate in discarica e/o in un termovalorizzatore. Il punto è che non ha senso continuare con questo tipo di impianti visto che ad oggi la frazione organica viene raccolta in maniera differenziata e quindi il rifiuto indifferenziato è già sufficientemente secco”. Inoltre, “il riciclaggio di materia da rifiuti urbani indifferenziati rimane comunque un’utopia e i termovalorizzatori sono tecnologie standard da oltre vent’anni, che si sono sempre più affinate soprattutto nella sezione di depurazione dei fumi, tanto che a Zurigo, com’è noto, il termovalorizzatore è al centro della città”. Ma un impianto da 600.000 tonnellate non è eccessivo? “La potenzialità prevista dal nuovo impianto di Roma”, risponde Mininni, “rappresenta il 25% del totale dei rifiuti prodotti nella provincia di Roma. Anche intercettando il 100% dell’organico, residuerebbe il 15% di rifiuto urbano indifferenziato, al quale devono essere sommate le frazioni non intercettate dalla raccolta differenziata e tutti i residui dei trattamenti di raffinazione dei rifiuti per la produzione di materie prime secondarie. Quindi il 25% di rifiuti indifferenziabili e di residui di trattamenti è ineliminabile”.

Una scelta non condivisa con la popolazione

Il ragionamento però non convince Rossella Muroni, deputata di FacciamoEco: “Ciò che contesto, senza ideologie, è il piano industriale del sindaco Gualtieri. Decidere per un impianto da 600.000 tonnellate vuol dire rinunciare a fare la raccolta differenziata oltre quel 65% che ci impone l’Europa, una scelta in contraddizione con la bozza presentata dallo stesso ministero della Transizione ecologica dove si prevede che il residuo indifferenziato debba essere del dieci per cento. Mi sembra una sorta di rinuncia al futuro, basato su un sistema di raccolta porta a porta molto spinto e sui digestori, chiesti tra l’altro proprio per Roma con i fondi del Pnrr”. Il paragone con l’estero, inoltre, secondo la deputata è fuori luogo, “anche in Danimarca hanno un impianto sovradimensionato e per questo non vorrei che un termovalorizzatore così grande renda la capitale l’hub dell’immondizia del centro-Italia”.

Ma l’argomento decisivo rispetto al termovalorizzatore deciso dal sindaco è soprattutto un altro: il modo in cui l’impianto è stato deciso: “Gualtieri poteva dire: ci avviciniamo al Giubileo, la situazione è tragica, apriamo una discussione, facciamo incontri municipio per municipio. Invece tutto è stato stabilito dall’alto, ma i romani hanno perso ogni fiducia e infatti già nessuno vuole questo impianto, chiameremo l’esercito? La chiusura del ciclo dei rifiuti è un tema infrastrutturale importantissimo che andava discusso con la città. Roma se lo meritava”.

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