L’Organizzazione meteorologica mondiale: «Nei prossimi cinque anni la temperatura media del Pianeta potrebbe raggiungere la soglia di 1,5 °C al di sopra del livello preindustriale DI SERENA TARABINI, IL MANIFESTO, 11 MAGGIO 2022 Nonostante i summit, gli appelli, i protocolli, le road map, le agende, la temperatura media globale continua a salire: che gli accordi di Parigi non verranno rispettati è una probabilità ventilata da tempo e che ora viene anche quantificata. A mettere i numeri al count down del fallimento è il servizio meteorologico nazionale -Met Office – del Regno Unito, centro leader dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm-Wmo), il quale ogni anno pubblica il Global Annual to Decadal Climate Update, un aggiornamento sul clima globale che si svolge su scala annuale e decennale, redatto sulla base delle elaborazioni dei dati relativi al primo trimestre 2022 della banca dati Noaa, il National Climatic Data Centre che registra le temperature mondiali dal 1880. A PARIGI TUTTI I PAESI che hanno sottoscritto l’accordo si sono impegnati a contenere l’aumento della temperatura media globale, puntando a un aumento massimo di 1,5 gradi al di sopra del livello preindustriale. Secondo lo studio appena pubblicato, c’è una probabilità del 50% di raggiungere questo limite in almeno uno dei prossimi cinque anni. Un dato che non mostra un’ inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. La possibilità di superare temporaneamente 1,5°C era prossima allo zero nel 2015 e da lì è andata aumentando costantemente. Per gli anni tra il 2017 e il 2021 la probabilità di superamento era del 10%, per poi schizzare a quasi il 50% per il periodo 2022-2026. Da qui a poco inoltre ci attende un anno caldissimo: è del 93% la probabilità che tra il 2022 e il 2026 si raggiungano le temperature più alte mai registrate, ancora più alte di quelle registrate nel […]
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TORTURE ALLA SCUOLA DIAZ. La Corte europea ha respinto l’ultimo ricorso dei poliziotti condannati per falso dopo la “macelleria” nella scuola Diaz il 21 luglio 2001 (90 manifestanti feriti, 2 quasi in fin di vita). Ma la polizia e la politica italiane non hanno mai elaborato compiutamente quella lezione DI LORENZO GUADAGNUCCI, IL MANIFESTO, 8 MAGGIO 2022 Sette anni fa mise nero su bianco il vocabolo più scottante del caso Diaz: tortura. Stavolta scrive la parola fine su una vicenda che occupa già un posto di rilievo nella poco brillante storia delle nostre forze di polizia. La Corte europea per i diritti umani ha respinto l’ultimo ricorso pendente, e chissà se Gilberto Caldarozzi, Francesco Gratteri, Giovanni Luperi e gli altri funzionari condannati in via definitiva per la “notte dei manganelli” al G8 di Genova del 2001 speravano davvero di spuntarla così, all’ultimo tuffo, invocando la lesione del principio dell’equo processo, per la mancata riconvocazione in appello dei testimoni. La Corte europea, in sintonia con valutazioni già consolidate in Cassazione, ha respinto il ricorso, ma c’è qualcosa di ironico in tutto ciò, se pensiamo che al processo Diaz quasi tutti gli imputati (compresi i ricorrenti) scelsero di non testimoniare, avvalendosi – pur ricoprendo, alcuni di loro, incarichi di altissimo rango nella polizia di stato – della facoltà concessa a tutti gli imputati di non rispondere alle domande dei pm. Il processo Diaz – non dimentichiamolo – è stato difficile e tormentato per gli evidenti risvolti politici e istituzionali; un processo apertamente ostacolato dai vertici di polizia, con un’omertà di fondo (indicata a chiare lettere nella requisitoria dei pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini) e comportamenti a dir poco irriguardosi: l’invio di fotografie degli agenti pressoché inutilizzabili per eventuali tentativi di riconoscimento personale; la mancata decifrazione della quattordicesima firma (dalla grafia illeggibile) […]
IL CONFLITTO UCRAINO. Il cambiamento in atto è che un numero crescente di osservatori occidentali è sempre più consapevole dello slittamento degli equilibri di potere da Occidente verso Oriente DI LORENZO KAMEL, IL MANIFESTO, 3 MAGGIO 2022 Nel 1989 la sociologa statunitense Janet Abu-Lughod predisse che l’epoca dell’egemonia occidentale sarebbe stata sostituita dal ritorno a un «relativo equilibrio tra molteplici centri di potere». «Come accaduto – continuava – nel sistema mondiale del XIII secolo». È ancora presto per tracciare un bilancio definitivo su queste parole, appare tuttavia probabile che le future generazioni indicheranno l’attuale guerra russo-ucraina come un momento significativo nel processo storico che da tempo vede un progressivo slittamento degli equilibri di potere da Occidente verso Oriente. I PROCESSI di riequilibrio nei rapporti di forza globali sono da sempre accompagnati da annose violenze: il nostro tragico presente è in questo senso destinato a protrarsi nel tempo. Esistono tuttavia alcune evidenti differenze rispetto alle epoche passate. A cominciare dalla crescita esponenziale della popolazione mondiale, – raddoppiata tra il 1969 e il 2012 – passando per i cambiamenti climatici, l’impoverimento della biodiversità e gli stravolgimenti degli habitat naturali. Non si tratta – come nel “cigno nero” di Nassim Nicholas Taleb – di eventi imponderabili o improbabili, bensì di processi già in atto: avranno un ruolo enorme nella ridefinizione degli ordini globali e dei centri di potere che li sottendono. AD OGGI, TUTTAVIA, la questione climatica non sembra dettare l’agenda degli ordini globali. A fare la differenza continuano infatti ad essere le “sfere di influenza”, o, più precisamente, ciò che Amitai Etzioni ha definito “assetti internazionali includenti uno Stato che esercita un potere superiore sugli altri”. L’1 febbraio 2018, l’allora segretario di Stato dell’amministrazione Trump, Rex Tillerson, dichiarò ad esempio che la dottrina Monroe del 1823 «è rilevante oggi come lo era il giorno […]