È a scuola che si sedimentano i cambiamenti della storia

 

È a scuola che si sedimentano i cambiamenti della storia, sono le forme di apprendimento e di trasmissione del sapere che rivelano le trasformazioni culturali delle relazioni e dei costumi.

C’era una bottega sotto casa nostra di un uomo che aggiustava radio e televisori.

Era un radiotecnico e c’era una scuola la Radio Elettro Torino che operava anche a distanza.

Con i televisori di nuova generazione non c’è più né quell’uomo con la sua bottega né quella scuola che funzioni come allora.

Quando si parla di DAD, didattica a distanza e in presenza, si sta discutendo di una trasformazione culturale delle nostre abitudini e delle forme istituzionali che regolano le relazioni sociali.

Il virus ci sta cambiando come una guerra in corso.

E sempre le guerre portano cambiamenti nella pratica della medicina e nelle forme di apprendimento e di trasmissione del sapere.

I cambiamenti avvengono quando sono i pericoli a imporli.

La DAD è solo un effetto di un cambiamento.

La tecnologia era già da tempo che ci aspettava su questa pagina.

I nonni una volta insegnavano a fare i compiti casa ai bambini, mostrando come riempire il rigo del quaderno di quelle “mazzarelle” che preparavano a scrivere le lettere dell’alfabeto che allora s’imparavano a una a una con il disegnino.

Insieme poi coi più grandi ci si arrabbiava a confondere le “colonne” dell’astratto e il concreto.

I genitori la sera stavano a “sentire” la storia o la poesia imparata memoria.

Adesso si trovano a non raccapezzarsi con “google classroom”.

I genitori che usano con abilità e frequenza istagramm, tik tok, faceboock, twitter e altro, dicono di non riuscire ad avere tempo a capire e a seguire classroom.

Gli stessi ragazzi che da piccolissimi usano ipad e cellullari per video giochi, si annoiano con la DAD come nelle ore a scuola, ciò che fa riflettere anche sugli strumenti.

Sono anni che la scuola è stravolta da piattaforme, che ne hanno cambiato finanche il gergo.

Ed ora ecco la DAD e il reclamo della scuola in presenza, quando l’evasione scolastica non si è mai fermata e quando la presenza è stata tante volte per “tenere la classe” e registrare le assenze in presenza, finanche lo squillo dei telefonini in classe da parte di qualche docente.

La scuola si fa in presenza.

Proprio questo bisogna chiedere a un filosofo per capire che non basta la semplice presenza per esserci.

Il virus ci mette in guardia, ci riguarda, ci fa riflettere sui nostri comportamenti e relazioni.

È una questione personale, riguarda i nostri comportamenti.

Lo Stato o il governatore di Regione può intervenire per indicare la misura del pericolo collettivo, può dire della frontiera del virus, ma sono poi i cittadini che non possono ignorare quel fronte e l’invasione interna di un nemico così aggressivo.

Accade invece che ci vuole il comando dall’alto, il poliziotto per strada o la persona “rompi scatole” a ricordare di osservare comportamenti che valgano la propria e l’altrui salute.

Sono anni che la politica ispirata allo “Stato leggero” taglia e riduce i servizi sociali.

Sono state chiuse scuole e ospedali.

A San Giovanni a Teduccio l’altro giorno ne ho visitata una di quelle costruite negli anni ’70 rimaste abbandonate e vandalizzate.

Ancora nella logica della riduzione è quella dei banchi monouso.

Invece di estendere gli spazi, di aumentare i servizi pubblici, sempre e ancora la “riduzione” la revisione della spesa.

La DAD allora?

È cambiato l’apprendimento insieme alla trasmissione del sapere.

Quelle che i filosofi moderni hanno a percezione e autocoscienza si stanno perdendo da tempo ormai.

Anche la solitudine è cambiata, diventando isolamento sfiduciato di quanti soli confusi si aggirano fra tanti in una moltitudine di follower che ripetono la folla d’altri tempi con la stessa follia.

L’abbassamento del grado culturale fa emergere lo scarto tra eccellenze e mediocrità che riflettono quello tra la sovranità di pochi e l’inferiorità di molti.

Lo stesso della distribuzione della ricchezza.

Non c’è democrazia partecipata se i cittadini non hanno e non sanno degli strumenti di partecipazione.

La corruzione dei politici rispecchia la mediocrità del tessuto sociale.

Per anni abbiamo protestato contro le ore dietro i banchi dei più piccoli e per anni ancora lottato per una scuola aperta ai luoghi della città e al coinvolgimento delle famiglie e ci troviamo a protestare per stare in classe nei giorni in cui non sono pochi i docenti assenti per timore di contagio o per quarantena, mentre si chiudono a singhiozzo classi di uno stesso istituto lasciando proliferare il virus.

S’impone allora il sospetto di tenere aperte le scuole per non avere i ragazzi in casa, stando alle prese con classroom.

Ci sono ancora docenti che dichiarano di non sapere usare quelle piattaforme e non reggere la lezione stando “di stanza” a casa propria.

C’è poi che le piattaforme in uso ripetono la noia della scuola con registri, assegni, file, che lasciano i ragazzi come contro un muro davanti alla parete dello schermo.

Ci sono App per ogni cosa, non ce ne sono di quelle dedicate per discipline.

Anche la tecnologia deve allora “apprendere” e “imparare” a come trasmettere sapere oltre a chat e videogame.

Il pericolo è sempre quello: la discriminazione del distanziamento sociale, quando non si dà wifi gratuito e quando si lasciano ai bambini telefonini e ipad per tenerli impegnati, quando la presenza a scuola è irrigidita in banchi “monouso”, per una scuola ridotta in semplice presenza.

La DAD non può essere esclusiva né sostituire il ritrovarsi insieme in una comunità di apprendimento di relazione.

La DAD è però sempre di più l’applicazione all’uso di forme di apprendimento e di trasmissione del sapere già in atto da tempo con le università.

Deve essere alternata alla presenza, alle escursioni, alle visite guidate, all’aperto della città e del fuori le mura, all’essere “di stanza” in se stessi, ciò che significa cambiamento delle forme di apprendimento e di trasmissione del sapere che segnano una nuova storia.

Non basta la semplice presenza per esserci.

La scuola cambia ed è sempre la stessa.

Cambiano le forme e i mezzi di trasmissione.

La scuola non è un edificio.

Sckolé in greco indica il tempo proprio, il luogo interiore, l’essere “di stanza”, l’avere stanza, abitarsi.

A scuola si apprende il proprio tempo e a dar luogo a se stesso, ad abitarsi ospitando e lasciandosi ospitare in una comunità di apprendimento.

La scuola è un luogo di passaggio, dove si passa in se stessi dalle parti dell’altro e si ritorna come in quel Sé interiore uguale in ognuno.

C’è quell’immagine antiche su una parete di stanza a Pompei dove è ripreso un giovane che ci guarda da quello schermo della parete tenendo in mano uno stilo e quello che un tempo avremmo chiamato quaderno e poi notes magico e che adesso è chiamiamo ipad.

Quel ritratto di giovane è come rivolto alla voce di lato.

È assorto altrove.

Mentre proviamo a incrociare i suoi occhi per farci vedere.

Sembra essere anche questo il suo messaggio, guardarci in chi ci insegna e ci accompagna ad apprendere quel che siamo e diventiamo ed è al nostro fianco e dentro noi «quando più distante, quanto più vicino».

La scuola cambia ed è sempre la stessa la sua funzione, quella di conoscere se stessi e avere cura di sé come degli altri in una società comune di comunità sociali diverse perché differenti.

Non sono gli strumenti di trasmissione e le forme dell’apprendimento, è il nostro starci accanto che cambia la storia dello stare insieme.

(Articolo del  Prof. Giuseppe Ferraro , pubblicato il 20 ottobre 2020 sulla sua pagina facebook)

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