Archivi Giornalieri: 23 Ottobre 2020
Dopo le polemiche di quest’estate con la giunta regionale dell’Emilia Romagna e gli amici delle piattaforme petrolifere in Adriatico, Legambiente interviene nuovamente sul dibattito intorno al progetto di eolico offshore a largo delle coste riminesi. In particolare per quanto riguarda le modifiche apportate al progetto, che vedono una riduzione del numero di aerogeneratori, con conseguente allontanamento degli stessi ed un aumento dello spazio utile di navigazione. Secondo l’associazione ambientalista, «si tratta di un passo da cogliere da parte degli Enti per potere avviare un ampio confronto di miglioramento del progetto, non ideologico e tenendo conto di tutti gli interessi in gioco. Un percorso che Legambiente ha già sollecitato lo scorso luglio alla tappa di Goletta Verde a Riccione, in presenza dell’assessore regionale Vincenzo Colla e le istituzioni locali». Ma il Cigno Verde evidenzia che «purtroppo sulla stampa si continuano a leggere ostilità a priori verso la tecnologia, senza che vengano poste in campo soluzioni alternative reali all’urgenza dei cambiamenti climatici». Legambiente sottolinea che «a livello di riduzione di emissioni annue di CO2 l’impianto avrebbe gli effetti di oltre 150.000 impianti fotovoltaici famigliari da 3 kW o la piantumazione di oltre 5 milioni di alberi. Questo anche tenendo conto di disponibilità di vento piuttosto cautelative. E nonostante questo rimane solo una piccola parte di quanto bisognerebbe fare per ottenere la neutralità carbonica al 2050 o il 100% di rinnovabili al 2035 fissati dalla Regione». Eppure, secondo il Piano Energia e Clima nazionale, l’Italia dovrà installare almeno 1 GW di potenza eolica l’anno – con impianti onshore e offshore – per raggiungere gli obiettivi. Legambiente fa notare che «i numeri evidenziano dunque che la produzione rinnovabile associata ad un impianto simile, sarebbe difficilmente ottenibile negli stessi tempi con altre politiche, di cui si legge spesso sulla stampa. Certamente non si può chiamare in […]
La materia degli usi civici e degli assetti fondiari collettivi ha conosciuto progressi notevolissimi negli ultimi anni. Ciò è dovuto soprattutto, oltre che alle novità legislative nazionali, tra cui la Legge 20 novembre 2017 n. 168 (norme in materia di domini collettivi), all’elaborazione giurisprudenziale prodotta dalla Corte Costituzionale. In questa sede si cercherà di tracciare un bilancio di tale percorso che va dalla Sent. 210/2014 all’ultima pronuncia del 24 aprile scorso (Corte Cost. 71/2020). Si tratta di una catena di decisioni che, indubbiamente, hanno introdotto un diritto nuovo nell’ambito della tutela dell’ambiente, della valorizzazione del paesaggio e della pianificazione e gestione del territorio. Ma crediamo debbano essere segnalate alcune criticità che, a nostro parere, emergono da questo insieme di decisioni. Le terre gravate da usi civici si caratterizzano per la loro destinazione ad uso agro-silvo-pastorale da parte delle collettività che ne sono titolari. Con la c.d. legge Galasso (L. 431/1985) le terre collettive sono state sottoposte a vincolo paesaggistico per legge (ora art. 142, comma 1, lett. h D.Lgs. 42/2004 -Codice del paesaggio), assumendo così la funzione di tutela dell’ambiente. Tale funzionalizzazione ha avuto riflessi sul riparto di competenze legislative fra Stato e regioni. Ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s), cost. infatti, la materia ambiente costituisce un ambito di esclusiva competenza statale. Inoltre, i diritti delle popolazioni sulle terre collettive si caratterizzano come diritti soggettivi pieni, coperti pertanto da tutte le garanzie delle libertà costituzionali. Il riflesso di questo assetto è che le competenze legislative regionali in materia non possono invadere la sfera delle materie ‘ambiente’ e ‘ordinamento civile’ di esclusiva spettanza dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettere l) e s). Vanno qui ricordati anche gli articoli 135 e 143 del D.Lgs. 42/2004, che prescrivono la codeterminazione Stato-Regioni dei piani paesaggistici nella parte riguardante le aree di interesse paesaggistico per […]
È a scuola che si sedimentano i cambiamenti della storia, sono le forme di apprendimento e di trasmissione del sapere che rivelano le trasformazioni culturali delle relazioni e dei costumi. C’era una bottega sotto casa nostra di un uomo che aggiustava radio e televisori. Era un radiotecnico e c’era una scuola la Radio Elettro Torino che operava anche a distanza. Con i televisori di nuova generazione non c’è più né quell’uomo con la sua bottega né quella scuola che funzioni come allora. Quando si parla di DAD, didattica a distanza e in presenza, si sta discutendo di una trasformazione culturale delle nostre abitudini e delle forme istituzionali che regolano le relazioni sociali. Il virus ci sta cambiando come una guerra in corso. E sempre le guerre portano cambiamenti nella pratica della medicina e nelle forme di apprendimento e di trasmissione del sapere. I cambiamenti avvengono quando sono i pericoli a imporli. La DAD è solo un effetto di un cambiamento. La tecnologia era già da tempo che ci aspettava su questa pagina. I nonni una volta insegnavano a fare i compiti casa ai bambini, mostrando come riempire il rigo del quaderno di quelle “mazzarelle” che preparavano a scrivere le lettere dell’alfabeto che allora s’imparavano a una a una con il disegnino. Insieme poi coi più grandi ci si arrabbiava a confondere le “colonne” dell’astratto e il concreto. I genitori la sera stavano a “sentire” la storia o la poesia imparata memoria. Adesso si trovano a non raccapezzarsi con “google classroom”. I genitori che usano con abilità e frequenza istagramm, tik tok, faceboock, twitter e altro, dicono di non riuscire ad avere tempo a capire e a seguire classroom. Gli stessi ragazzi che da piccolissimi usano ipad e cellullari per video giochi, si annoiano con la DAD come nelle ore […]
Sono 598 i comuni italiani Rifiuti Free, quelli dove ogni cittadino produce al massimo 75 chili di secco residuo all’anno. E se sono 51 in più dello scorso anno, è anche vero che la crescita maggiore è avvenuta nel Centro-Sud. I comuni rifiuti free del Sud Italia sono passati da 84 a 122 e ora rappresentano il 20,4% dei comuni in graduatoria. Il merito di questa rimonta è, soprattutto, dell’Abruzzo, che porta i comuni virtuosi da 15 a 38 (con un balzo dal 5 al 12% sul totale dei comuni della Regione), della Campania che sale da 23 a 36 comuni (dal 4 al 7%) e della Sicilia che passa da uno a otto comuni (da 0 a 2%), tra cui Misilmeri (Palermo) con oltre 30mila abitanti. Questi i numeri principali di Comuni Ricicloni 2020, l’indagine presentata oggi, durante la seconda giornata del talk show online EcoForum sull’Economia circolare dei rifiuti, organizzato da Legambiente, Editoriale La Nuova Ecologia e Kyoto Club. I DATI DELL’INDAGINE – I comuni del Centro rappresentano il 6,5% del totale dei Comuni in classifica e il Nord per la prima volta scende dal 77% al 73,1% (anche se registra un incremento in numeri assoluti). La Lombardia cresce di 22 comuni (da 85 a 107). Tra i capoluoghi di provincia sono solo quattro le città che rientrano nei parametri dei Comuni Rifiuti Free: Pordenone, Trento e Treviso in testa, seguiti da Belluno. Il Veneto resta la Regione con il numero più elevato di Comuni rifiuti free: sono 168, il 30% del totale. Seguono il Trentino-Alto Adige con 78 comuni (28%), due in più rispetto al 2019 che lo aveva visto in forte crescita, e il Friuli-Venezia Giulia, che con 48 comuni rimane a quota 22%. Poi l’Abruzzo e il Molise che passa da nove a 13 comuni (dal 7% al 10%). IL DIVARIO CHE RESTA E I NUOVI OBIETTIVI – Secondo gli ultimi dati Ispra disponibili (2018), nel complesso in Italia […]