Il Governo italiano continua a (s)mentire sul TTIP

Articolo pubblicato il 26 novembre 2014 sul sito “Campagna stop TTIP”.

 Immagine.Caampagna stop TTIP

Con una pagina creata ad hoc, il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) e la sua Direzione generale per la politica commerciale internazionale, prova a demistificare il TTIP, provando a chiudere una volta per tutte la questione con un semplice elenco di domande e di risposte. 

Di fronte a domande specifiche, il Ministero prova a chiarire definitivamente la diatriba TTIP, perché per il Governo Renzi questo trattato s’ha da fare.

 Immagine.Matteo Renzi

Peccato che le argomentazioni siano imprecise e superficiali, più adatte a una campagna di marketing che non ad un’azione di vera informazione. 

Per questo, come Campagna Stop TTIP Italia, abbiamo scelto di precisare, brevemente, alcune questioni. 

Buona lettura 

Legenda:

Ministero per lo Sviluppo economico o MISE: precisazioni del Governo

Campagna Stop TTIP o Stop TTIP: precisazioni della Campagna 

Ministero per lo Sviluppo Economico. Solo le grandi aziende beneficeranno del TTIP – Secondo il Governo italiano NON È VERO  

Poiché: il TTIP porterà benefici diretti a consumatori e cittadini.

Amplierà la gamma dei prodotti disponibili, offrendo maggiore scelta ai consumatori.

Ridurrà anche i costi del commercio, rendendo le merci più economiche.

L’accordo potrebbe inoltre incidere in maniera apprezzabile sulla futura crescita italiana fino a sfiorare il mezzo punto percentuale per la nostra economia.

Si valuta che dopo tre anni dall’applicazione dell’accordo il PIL aumenterebbe, al netto dell’inflazione, di 5,6 miliardi di euro, con un aumento stimato di posti di lavoro di circa 30 mila unità.

Le piccole e medie imprese saranno dirette beneficiarie del TTIP.

Esportare per le PMI sarà più facile, come diretta conseguenza della riduzione di duplicazioni e burocrazia, ma senza compromettere la sicurezza. 

Campagna Stop TTIP – Precisazione 1

I dati che vengono forniti sono stime sviluppate da studi o che si rifanno a ricerche basate su studi commissionati dalla stessa Commissione Europea (CEPR, Ecorys e Bertelsmann Stiftung).

Neppure quelle più ottimistiche concordano su numeri e tendenze.

In ogni caso l’aumento del PIL secondo il CEPR, tra le ricerche commissionate più citate, sarebbe di poco meno dello 0,5% al 2027 (la data di riferimento non è mai citata dalle comunicazioni istituzionali) per l’UE e dello 0.6% per gli Usa.

Rispetto agli impatti sul mercato interno, non si evidenzia come altre ricerche (come “Risks and opportunities for the agri-food sector in a possible Eu-Us trade agreement” del Directorate-general for Internal Policies dell’European Parliament) parli di un aumento delle importazioni da agroalimentare che potrebbero arrivare al +120% con un impatto significativo sulla competitività e sulla capacità di stare sul mercato delle nostre imprese agricole, molte delle quali sono piccole e medie.

Per ciò che riguarda i prezzi, secondo il report “Stime degli impatti sull’economia italiana derivanti dall’accordo di libero scambio Usa-Ue” redatto da Prometeia e considerato dal Governo italiano come una fonte autorevole, l’impatto sui prezzi all’importazione sarebbe di -00,3%, -0,15% o -0,27% a seconda dello scenario considerato (cauto, medio e ottimistico).

Tra le varie informazioni diffuse dal Ministero, non si fa cenno alla questione della diminuzione strutturale del commercio Intra UE (con punte di diminuzione del -41% tra Germania e Uk, del -23% tra Germania e Francia o del -29% tra Germania e Italia) a vantaggio di un aumento dei flussi transatlantici.

Uno scenario che secondo alcune recenti ricerche indipendenti (“The Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership: European Disintegration, Unemployment and Instability” – Jeronim Capaldo – GDAE Working Paper 14-03 – October 2014) porterebbero a un impatto più che negativo sull’economia europea, con una diminuzione della domanda interna, del PIL e con un indebolimento del processo di integrazione europea.

MISE. Il TTIP farà sì che cibi geneticamente modificati e carni bovine agli ormoni invadano gli scaffali dei nostri supermercati – Secondo il Governo italiano NON È VERO 

Poiché: L’UE non ha ricevuto mandato per abbassare ridurre le nostre norme alimentari.

Sarà più facile per i produttori delle due parti esportare, ma solo se si conformeranno alle regole di ciascuna parte sulle norme alimentari e sulle colture geneticamente modificate. 

StopTTIP – Precisazione 2

I guadagni stimati e propagandati dalla Commissione Europea e dal Governo, anche e soprattutto in campo agricolo, sono possibili a condizione che si intervenga sulle Barriere non tariffarie.

Un intervento sulle sole tariffe avrebbe, anche secondo le stime più ottimistiche, conseguenze risibili.

La questione legata agli Ogm e alla carne agli ormoni è una semplificazione di una situazione reale e obiettivamente a rischio, per diversi motivi che sono ben spiegati in due report redatti per il Parlamento europeo diffusi tra il 2013 e il 2014 (“ENVI Relevant Legislative Areas of the EU-US Trade and Investment Partnership Negotiations (TTIP)” e “Legal Implications of TTIP for the Acquis Communataire in ENVI Relevant Sectors” del Directorate-general for Internal Policies dell’UE). 

Il rischio non risiede solamente nella possibilità, peraltro ancora sul tavolo, che le lobbies dell’agroalimentare statunitense riescano a creare una breccia nella posizione europea (se gli Ogm non fossero parte della trattativa, ci si domanda come mai le industrie statunitensi continuino a forzare sul tema (come riporta “Inside U.S. Trade, una delle pubblicazioni più autorevoli sul commercio internazionale in una delle ultime edizioni, 31 ottobre 2014: “We have continued to be supportive of the overall TTIP efforts, but a big part of these efforts is regulatory coherence,” he said (one biotech industry source). “I can’t see how there would be a quick adoption of TTIP without some kind of normalization of the trading situation of biotech commodities”).

Ma sta nella sostanziale differenza tra le due regolamentazioni e in particolare sulla difficoltà di tracciare un prodotto Ogm già presente sul mercato statunitense:mentre esiste un registro europeo degli Ogm, obbligatorio, non esiste un procedimento simile negli Usa, dove esiste un elenco senza obbligo di verifica e non prontamente accessibile al pubblico.

Inoltre mentre per i prodotti contenenti Ogm (limite dello 0.9%) è obbligatoria l’etichettatura, rimane volontaria secondo le leggi federali USA. Se si pensa che più dell’85% della soia prodotta dagli Usa è Ogm e che il 50% dei campi coltivati a grano sono Ogm, si capisce come in carenza di un sistema di tracciabilità adeguato sia molto difficoltoso controllare la situazione.

Con l’aggravante della questione dei mangimi per animali, dove già oggi è consentita l’entrata di prodotti derivanti da materie prime Ogm in Europa, e che con il TTIP non farebbe che ampliarsi.

Lo stesso problema vale per gli animali clonati e per i loro sottoprodotti.

Né l’FDA né l’USDA stanno attualmente tracciando e monitorando questi prodotti per sapere se sono presenti nel mercato statunitense (sebbene sia stata richiesta una moratoria volontaria da parte delle autorità Usa).

Più in generale, la legislazione statunitense sulle avvertenze da mettere sul packaging dei prodotti alimentari è profondamente diversa, sia nella pratica che nell’ispirazione teorica da quella europea.

Una divergenza che permette ad un’azienda Usa di notificare alle autorità dell’FDA la commercializzazione di un prodotto con una serie di avvertenze legate alla salute fino a 30 giorni dopo la sua messa sul mercato.

Un’aggiunta, sebbene non sia riferibile alla questione degli Ogm, va fatta sulla questione della sicurezza alimentare visto che si parla di protezione dei consumatori.

La differenza di costo dei prodotti, soprattutto quelli agroalimentari, non è dettata solo dalle tariffe (peraltro alte solo su certe categorie e non su altre) e dalle barriere non tariffarie, ma anche da una gestione del rischio negli Stati Uniti che è oggettivamente meno costosa ma che non assicura le stesse sicurezze che si trovano in Europa.

Il Center for Desease Control (CDC) stima che ogni anno quasi 48 milioni di persone (un americano su sei) si ammalano in conseguenza di intossicazioni alimentari, di questi 128mila vengono ospedalizzati e circa tremila muoiono (http://www.cdc.gov/foodsafety/facts.html).

Il report Efsa-Ecdc riporta nel 2012 in Europa 5363 epidemie di origine alimentare (http://www.ecdc.europa.eu/en/publications/Publications/EU-summary-report-zoonoses-food-borne-outbreaks-2012.pdf), che hanno portato a 55.453 casi, 5118 ospedalizzazioni e 41 morti. Un’evidenza di come le modalità differenti di controllo del rischio sanitario in alimentazione portino a differenti risultati.

Che il negoziato non porti a una mediazione, alzando gli standard americani ma abbassando quelli europei, non per nulla una certezza, al punto che persino le associazioni di categoria mostrano preoccupazione (http://www.cia.it/ncia/svl/documentiRead?doc_id=37366&tpl_id=7) 

MISE. Il TTIP diminuirà i nostri standard ambientali – Secondo il Governo italiano NON È VERO 

Poiché: gli alti standard ambientali e gli obiettivi che abbiamo in atto non sono negoziabili.

Questo punto è stato chiarito ripetutamente sia da parte degli Stati Uniti che dall’Unione Europea. L’UE si servirà anche di uno studio indipendente che fissa delle raccomandazioni al fine di minimizzare gli impatti ambientali del TTIP per mettere a punto la propria posizione.

StopTTIP. Precisazione 3

Il Ministero puntualizza una questione che non è verificabile.

Al contrario il rischio di una messa in discussione degli standard è sul tavolo negoziale, attraverso una loro armonizzazione.

Tra le regolamentazioni ambientali su cui c’è un obiettivo rischio c’è il Reach e la sua regolamentazione delle sostanze chimiche.

Le differenze con l’attuale sistema in vigore negli Stati Uniti (il Toxic Substances Control Act del 1976) sono molte, secondo l’EU “Il sistema REACH obbliga le imprese che fabbricano e importano sostanze chimiche a valutare i rischi derivanti dal loro uso ed a prendere le misure necessarie per gestire qualsiasi rischio venga individuato. L’onere della prova con riguardo alla sicurezza delle sostanze chimiche fabbricate o commercializzate spetta all’industria”, mentre il TSCA ha un approccio molto meno vincolante, sia nel tipo che nel numero di restrizioni, sia nel potere che concede all’autorità di controllo (EPA).

Il Congresso statunitense da diversi anni sta cercando di riformare il TSCA con il Chemical Safety Improvement Act (CSIA), ma sebbene se approvato possa rendere più stringenti le normative, l’onere della prova rimarrebbe comunque a carico del pubblico e non dell’azienda e non presenterebbe requisiti minimi obbligatori (vedi uno studio della Cambridge University: http://blog.journals.cambridge.org/2013/07/reach-hardly-reaching-into-us-chemicals-regulation-reform/).

Come si possa trovare un’armonizzazione o un riconoscimento mutuo tra le due normative, anche quella riformata, senza che ci sia un allentamento degli standard è tutto da capire.

Altra questione è legata ai combustibili fossili e alla loro concentrazione di CO2.

La Fuel Quality Directive si focalizza soprattutto sulle emissioni di CO2, il contenuto in zolfo, altri additivi e i criteri di sostenibilità per le biomasse.

Una normativa che, secondo (“ENVI Relevant Legislative Areas of the EU-US Trade and Investment Partnership Negotiations (TTIP)” sarà chiaramente sotto attacco delle lobbies industriali.

Sulla parte delle regolamentazioni e della loro armonizzazione (sia per la questione ambientale, che agricola, che per tutti gli ltri settori), difficilmente viene detto che il tutto verrà definito da una struttura ad hoc, che vedrà la luce a trattato concluso.

L’organismo che sarà coinvolto nella supervisione e lo sviluppo della cooperazione regolatoria sarà il “Regulatory Cooperation Council”.

Consisterà in un pugno di funzionari del Segretariato generale della Commissione Europea, delle autorità statunitensi e europee delegate al commercio e dell’US Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA).

Il lavoro di armonizzazione procederebbe con un controllo molto relativo da parte degli organi democraticamente eletti, lasciando così maggiore spazio di intervento alle lobbies economiche. 

MISE. ll TTIP apre la strada alla privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale – Secondo il Governo italiano NON È VERO

Poiché: Il TTIP non cambierà il funzionamento del SSN né di altri servizi pubblici.

L’accesso ai servizi del SSN continuerà a basarsi sui bisogni dei pazienti e non sulla loro capacità di pagare.

Ciascuno Stato Membro dell’Unione potrà decidere in proprio se aprire o no servizi pubblici al mercato.

StopTTIP. Precisazione 4

Il mandato non esclude automaticamente la messa sul mercato dei servizi pubblici, anzi evidenzia come “I servizi forniti nell’esercizio della competenza esclusiva del Governo (governmental authority) come definito dall’articolo 1.3 del Gats saranno esclusi da questi negoziati”.

L’articolo 1.3 del Gats precisa come un servizio fornito in governmental authority indichi “ogni servizio che è fornito né in forma commerciale né in competizione con un altro fornitore di servizi”. Una clinica pubblica, così come una scuola pubblica, non sono automaticamente parte dei servizi esclusi.

Nel documento “Schedule of specific commitments and reservations – European Uion” che riguarda le offerte in campo dei servizi da parte dell’Unione Europea, (https://data.awp.is/filtrala/2014/06/13/4.html) le uniche limitazioni al “Trattamento nazionale” che l’Italia ha inserito nel capitolo sui servizi educativi (pag 18) riguardano i diplomi riconosciuti dallo Stato siano quelli solamente forniti da persone giuridiche italiane (per la scuola primaria e secondaria).

Limitazioni al “Trattamento nazionale” poste dall’Unione Europea e quindi anche dall’Italia riguardano i servizi sanitari e sociali (pag 20).

Non c’è però nessuno esclusione né limitazione all’accesso al mercato, cosa che non impedisce la privatizzazione di servizi pubblici o sociali.

Un’altra limitazione riguarda la richiesta che servizi di interesse strategico possano rimanere di monopolio pubblico o di diritto esclusivo garantito a operatori privati (pag 36).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a seguito dell’”apertura del settore sanitario al commercio, i processi di riforma hanno suddiviso gli acquirenti e i fornitori e con un aumento della segmentazione e della frammentazione dei sistemi sanitari …. La Commissione ritiene l’assistenza sanitaria un bene comune, non una merce. Alla base di queste riforme c’è l’abbandono dell’impegno alla copertura universale per porre l’accento sulla gestione individuale di rischio. Invece di agire in modo protettivo, l’assistenza sanitaria in tali riforme finisce per escludere attivamente e impoverire” (pagina 95, vedi

http://www.who.int/social_determinants/thecommission/finalreport/en/).

Molti dubbi emergono dalla impossibilità di distinguere una assistenza sanitaria ‘finanziata con fondi pubblici’ dall’assistenza sanitaria ‘finanziata privatamente’ (vale a dire, quali criteri di finanziamento?

Al 100% o meno?

Si tiene conto dei costi di formazione dei medici o della fornitura di infrastrutture?) e, soprattutto, non si tiene conto che un buon sistema sanitario (o istruzione o fornitura d’acqua) deve funzionare nel suo complesso.

I Governi devono essere in grado di regolare tutti i fornitori di servizi al fine di garantire che gli obiettivi di servizio pubblico siano soddisfatte (universalità, parità di accesso, accessibilità, continuità, non discriminazione).

Pur se la Commissione dice che i governi possono regolare tanto quello che hanno scelto, ma, tuttavia, gli accordi commerciali mirano a rimuovere le barriere normative.

La direttiva sui servizi (Bolkestein), per esempio, ha rimosso e / o messo in discussione i regolamenti governativi in una vasta gamma di settori (requisiti di licenza, test di necessità …) che sono importanti per i servizi pubblici.

L’assistenza sanitaria è stata esclusa dalla direttiva sui servizi comunque sia finanziata, ma questa esclusione potrebbe essere messa in discussione in qualsiasi revisione della direttiva stessa (http://www.epsu.org/r/668)

C’è da aggiungere che l’Unione Europea (e quindi l’Italia) sta seguendo comunque il negoziato TISA sulla liberalizzazione dei servizi, dove secondo diversi commentatori (come Rosa Pavanelli, segretaria generale del sindacato internazionale dei servizi, PSI (vedi http://www.world-psi.org/en/issue/TISA) e Roman Wolff, presidente dei sindacati autonomi europei CESI) si concentreranno gli attacchi sui servizi pubblici. 

MISE. La sovranità del nostro paese sarà minacciata da un accordo sul TTIP. Le grandi aziende potranno utilizzare le disposizioni di protezione degli investimenti per stravolgere le leggi del paese – Secondo il Governo italiano NON È VERO

Poiché: L’Unione Europea ha chiarito che la libertà dei governi nazionali di legiferare sarà esplicitamente protetta.

Le disposizioni del meccanismo ISDS in discussione non possono stravolgere le leggi.

Lo scopo dello strumento è di proteggere i nostri investitori da trattamenti discriminatori da parte di governi protezionisti, salvaguardando la libertà del governo di legiferare nel pubblico interesse. La Commissione riconosce che ci sono preoccupazioni da parte dell’opinione pubblica su questo tema e ha lanciato una pubblica consultazione per mettere a punto la propria posizione. 

StopTTIP. Precisazione 5

La posizione dell’Unione Europea non è così chiara e definita come il Governo vorrebbe far credere.

Sia il Governo francese che quello tedesco hanno espresso perplessità, mentre è del 25 novembre la mozione approvata dal parlamento olandese di opposizione all’ISDS (http://www.tweedekamer.nl/kamerstukken/detail?id=2014Z21132&did=2014D42718).

La consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea ha avuto decine di migliaia di accessi (oltre 150mila), la stragrande maggioranza dei quali contrari alla procedura di arbitraggio.

In più diverse voti si sono levate in modo critico sulla possibilità di inserimento di un ISDS nel TTIP, a cominciare dalle pagine autorevoli dell’Economist (http://www.economist.com/news/finance-and-economics/21623756-governments-are-souring-treaties-protect-foreign-investors-arbitration) per arrivare a ricercatori accademici come Peter Muchlinski (SOAS School of Law), Horatia Muir Watt (Sciences Po Law School), Gus Van Harten (Osgoode Hall Law School) e Harm Schepel (Kent Law School) (http://www.kent.ac.uk/law/isds_treaty_consultation.html). 

MISE. La Commissione Europea sta trattando accordi in segreto – Secondo il Governo italiano NON È VERO

Poiché: Bisogna ricordare che si tratta di un negoziato e rendere pubblica la nostra posizione metterebbe a rischio la possibilità di ottenere il miglior accordo per l’Unione Europea.

La Commissione, consultata pubblicamente sulle priorità nei negoziati e sulla tutela degli investimenti, tiene regolari incontri con la società civile e ha pubblicato 11 position papers che hanno fornito informazioni dettagliate sui negoziati.

Sta conducendo uno dei negoziati più trasparenti mai fatti. 

StopTTIP. Precisazione 6

La questione della mancanza di trasparenza è sottolineata non solo dalle prese di posizione dello stesso Governo italiano (e dal Ministro Calenda https://twitter.com/CarloCalenda/status/520209248375287809 che peraltro dovrebbe essere il responsabile del Dicastero sul cui sito queste FAQ sono state pubblicate), ma anche dall’intervento dell’Ombudsman dell’UE che stanno portando avanti una consultazione pubblica sull’argomento. Mai era successo che per un accordo di libero scambio si mobilitasse persino l’Ombudsman.

Nel verbale del gruppo di lavoro del Consiglio dell’Unione Europea su “Trasparenza e accesso ai documenti” (n° 14713-14 del 24 ottobre 2014) ben 5 pagine (da pagina 3 a 8) sono dedicate a come affrontare il tema della trasparenza e della comunicazione sul TTIP.

In più il DG Trade (la direzione commercio della Commissione Europea, incaricata dei negoziati) “recognizes that the current system which enables Member States to access the negotiation documents is not ideal” (pag. 7).

Insomma, sebbene il Governo dica il contrario, una questione di accesso limitato da parte degli Stati membri ai documenti negoziali c’è eccome.

Gli incontri che il DG Trade tiene con la società civile sono esclusivamente informativi, come spesso avviene con i meeting del Civil Society Dialogue.

Da una ricerca svolta dal centro studi indipendente CEO dei 154 meeting organizzati dalla Commissione Europea sul TTIP: 113 si sono svolti con le lobbies delle industrie (74%), il 12% con gruppi che si occupano di interesse pubblico (19), un altro 12% con altri e un 2% non identificato (http://www.corporateeurope.org/international-trade/2014/07/who-lobbies-most-ttip).

Un approccio che negli Stati Uniti è stato criticato persino dal Washington Post (http://www.washingtonpost.com/wp-srv/special/business/trade-advisory-committees/index.html).

Che ci sia stato un problema di segretezza è poi evidenziato dalla dichiarazione dell’Ombudsman europeo dopo che la Commissaria europea al Commercio Malmstrom ha promesso maggiore trasparenza del negoziato

(http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2014/11/25/ue-usattipmalmstromdora-in-poi-negoziati-piu-trasparenti_0a1ad6f5-32ae-47b8-a8c4-487a03c2ac18.html). 

MISE. Il TTIP è stato concordato da un’istituzione europea che non è stata eletta democraticamente – Secondo il Governo italiano NON È VERO  

Poiché: Il Parlamento italiano, una volta concluso il negoziato, avrà l’opportunità di valutare l’accordo attraverso il procedimento di ratifica che interesserà entrambe le Camere.

L’accordo TTIP al termine delle negoziazioni tecniche dovrà essere comunque valutato ed approvato sia dal Consiglio dell’Unione Europea (che rappresenta i governi eletti dai paesi dell’Unione Europea) che dal Parlamento Europeo (i cui membri sono democraticamente eletti). Questo è il medesimo processo attraverso il quale altri accordi commerciali sono stati approvati.

 StopTTIP. Precisazione 7

La possibilità da parte del Parlamento europeo di ratificare i trattati di libero scambio (come il TTIP) è considerata ma solo a trattativa avvenuta con un approccio “prendere o lasciare”.

Non c’è possibilità di controllare il processo negoziale da parte dei parlamentari europei se non tramite l’INTA Commitee, la Commissione ad hoc, partecipata solo dai parlamentari competenti. Sul TTIP diversi parlamentari europei hanno lamentato una mancanza di comunicazione adeguata e approfondita tra i negoziatori del TTIP e i membri dell’INTA

(https://twitter.com/EP_Trade/status/489318805118525440).

Di fatto il TTIP viene negoziato da un’istituzione europea non eletta (la Commissione europea) con un suo settore (il DG Trade) in cui i negoziatori sono per lo più tecnici e funzionari.

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