Nel corso di diecimila anni gli esseri umani hanno ricavato beni utili da esseri viventi vegetali e animali con tecniche, spesso anche molto raffinate, che chiamerei senz’altro biotecnologiche: hanno usato il legno come combustibile e materiale da costruzione; hanno imparato a far fermentare e a cuocere il pane; con la fermentazione degli zuccheri hanno prodotto bevande alcoliche; hanno imparato a conservare la carne col sale o col caldo o col freddo, a seconda dei climi, a estrarre coloranti e fibre tessili da molte piante e animali, e cuoio dalla pelle degli animali macellati. Anzi la chimica e la biologia sono nate come scienze proprio dai tentativi di comprendere e perfezionare tali processi naturali. Ancora oggi gli alimenti, usati dai sette miliardi di persone del mondo in ragione di circa dieci miliardi di tonnellate all’anno, vengono dalla trasformazione di esseri viventi, vegetali o animali. Molte delle materie prime naturali richieste dalla crescente industria dei paesi emergenti, Europa e poi Stati Uniti, provenivano, però, dai campi di paesi coloniali lontani nei quali serpeggiavano aspirazioni di indipendenza: cotone dall’Africa, carne dall’Argentina, indaco dall’India, gomma dal Brasile e dall’Indocina. I chimici dei paesi industriali si misero perciò di buona lena a cercare di produrre dei surrogati partendo dai combustibili fossili esistenti sul posto: carbone in Europa, petrolio in America, e per circa un secolo, dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento, la parola magica è stata: “sintetico”. “Sintetico” rappresentava la rivoluzione, l’aspirazione a liberarsi dalla schiavitù dei prodotti naturali. Il prof. Giuseppe Testoni tenne la prolusione al corso di Merceologia nell’Università di Bari nel 1929 con una conferenza dal titolo Le merci sintetiche e lo stesso titolo scelsi per la prolusione al mio corso di Merceologia nella stessa Università nel 1959. Con la scoperta dell’”ecologia”, dagli anni sessanta del Novecento, si è visto che […]